10 Settembre 2024

Costituzione di fondo patrimoniale e capacità processuale del fallito

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 22 maggio 2024, n. 14349, Pres. Scarano – Est. Condello

[1] Fallimento – Effetti sul debitore – rapporti processuali.

I rapporti relativi alla costituzione di un fondo patrimoniale non sono da ritenersi compresi nel fallimento, trattandosi di beni che, pur appartenendo al fallito, rappresentano un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento di specifici scopi che prevalgono sulla funzione di garanzia per la generalità dei creditori, cosicché permane rispetto ad essi la legittimazione del debitore.

CASO

[1] Un istituto di credito promuoveva, davanti al Tribunale di Lecco, domanda ex art. 2901 c.c. allo scopo di far dichiarare l’inefficacia dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale stipulato da due coniugi.

Tale richiesta veniva accolta dal Tribunale adito, con provvedimento prontamente appellato dai soccombenti davanti alla Corte d’Appello di Milano.

Durante lo svolgimento del giudizio di seconde cure, in cui si costituiva anche la società cessionaria del credito vantato dall’attore, sopravveniva la dichiarazione di fallimento a carico di uno dei coniugi. La Corte d’Appello, conseguentemente, dichiarava l’interruzione del giudizio, che veniva riassunto dal coniuge in bonis esclusivamente nei confronti della società cessionaria del credito.

All’esito del procedimento, il giudice di seconde cure rigettava l’appello proposto, stante l’accertata sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2901 c.c.

Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione il coniuge in bonis, censurando, per quanto di interesse nella presente sede, l’intervenuta violazione degli artt. 101, 102 e 331 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c. Nel dettaglio, parte ricorrente denunciava l’errore commesso dalla Corte territoriale, la quale aveva ordinato, in un primo momento, l’interruzione del processo a seguito del fallimento personale del coniuge, senza però disporre, in un secondo momento, l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tale soggetto, a seguito della mancata riassunzione del processo anche nei suoi confronti; secondo il ricorrente, infatti, nelle azioni revocatorie aventi ad oggetto la costituzione di fondo patrimoniale entrambi i coniugi sarebbero legittimati passivi e litisconsorti necessari e il coniuge fallito non perderebbe la legittimazione processuale. Da ciò sarebbe derivata la nullità della sentenza impugnata in quanto pronunciata a contraddittorio non integro

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte ha giudicato fondato tale motivo di ricorso.

Secondo la Cassazione, nel caso di specie la legittimazione passiva nel giudizio avente ad oggetto l’azione revocatoria promossa nei confronti dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale spetta a entrambi i coniugi: non solo in quanto entrambi hanno partecipato alla relativa stipula, ma anche perché a norma dell’art. 168, primo comma, c.c., la proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che venga diversamente stabilito nell’atto di costituzione.

Inoltre, sopravvivrebbe, all’interno di tale giudizio, la legittimazione passiva del coniuge dichiarato fallito: infatti, i rapporti relativi alla costituzione di un fondo patrimoniale non sono da ritenersi compresi nel fallimento, trattandosi di beni che, pur appartenendo al fallito, rappresentano un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento di specifici scopi che prevalgono sulla funzione di garanzia per la generalità dei creditori, cosicché permane rispetto ad essi la legittimazione del debitore.

Ne deriva che, nel caso di specie, il giudizio avrebbe dovuto comportare la partecipazione necessaria del coniuge fallito, proprietario dei beni conferiti nel fondo patrimoniale, il quale aveva a tal fine stipulato il rogito notarile. Poiché il giudizio di appello, a seguito della dichiarazione di fallimento, è stato interrotto e, a seguito di riassunzione, è stato celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari, esso è da considerarsi affetto da nullità per violazione del principio del contraddittorio.

In conclusione, la Cassazione accoglie il ricorso proposto, rinviando alla Corte d’Appello di Milano affinché proceda a nuovo esame della controversia.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dal provvedimento in commento attiene alla sopravvivenza della legittimazione processuale del coniuge dichiarato fallito all’interno del giudizio avente ad oggetto l’azione revocatoria (ordinaria) promossa, prima dell’apertura della procedura, nei confronti dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale da egli stesso stipulato.

Su un piano generale, e in via preliminare, è utile ricordare che la giurisprudenza di legittimità riconosce la legittimazione passiva in tali giudizi ad entrambi i coniugi, anche se l’atto sia stato stipulato da uno solo di essi, non potendosi negare l’interesse anche dell’altro coniuge, quale beneficiario dell’atto, a partecipare al giudizio; sarebbe, infatti, la natura reale del vincolo di destinazione impressa dalla costituzione del fondo patrimoniale per i bisogni della famiglia, e la necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito, a comportare che nel giudizio avente ad oggetto l’azione revocatoria promossa nei confronti dell’atto costitutivo la legittimazione passiva spetti ad entrambi i coniugi (così, Cass., 13 luglio 2006, n. 15917; Cass., 18 novembre 2011, n. 21494; Cass., 3 agosto 2017, n. 19330; Cass., 22 febbraio 2022, n. 5768; Cass., 24 marzo 2023, n. 8447).

Ciò vale, a maggior ragione, quando – come nel caso di specie -, all’atto costitutivo del fondo patrimoniale abbiano partecipato entrambi i coniugi.

La situazione, tuttavia, è destinata a complicarsi nel caso in cui, in pendenza di tale giudizio, sopravvenga la dichiarazione di fallimento di uno dei due coniugi, in quanto la summenzionata legittimazione passiva è destinata a confrontarsi con le regole previste dalla normativa in materia di procedure concorsuali (ieri, nell’art. 43 l.fall., applicabile ratione temporis al caso in commento; oggi, nell’art. 143 CCII).

Tali norme prevedono, infatti, che nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito (o del debitore) compresi nella procedura, stia in giudizio il curatore.

La ratio della perdita della capacità processuale in capo al debitore si ricollega, evidentemente, con la necessità di salvaguardare gli interessi della procedura; tale perdita, peraltro, non è assoluta ma solo relativa alla massa dei creditori, residuando, in capo al debitore, la facoltà di avvalersi personalmente della tutela giurisdizionale, al fine di far valere non solo i diritti strettamente personali (non considerati dagli artt. 43 l.fall. e 143 CCII), ma anche quelli patrimoniali dei quali si disinteressino gli organi della procedura (tra le tante, Cass., 15 dicembre 2006, n. 26935)

Come correttamente rilevato dal provvedimento in commento, assume dunque carattere dirimente verificare se il giudizio in questione rientri, oppure no, nell’ambito applicativo dell’art. 43 l.fall. (ovvero dell’art. 143 CCII).

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità offre costantemente una risposta negativa, evidenziando come, mediante la costituzione del fondo patrimoniale, i beni ad esso devoluti fuoriescano dal patrimonio del debitore per essere destinati a un patrimonio separato e destinato a specifici scopi. Tale posizione si fonda, evidentemente, sul disposto dell’art. 46 l.fall. (ripetuto, oggi, dall’art. 146 CCII), che espressamente esclude l’attrazione al patrimonio della procedura dei beni costituiti in fondo patrimoniale e dei frutti di essi. L’esclusione dei beni costituiti in fondo patrimoniale dal patrimonio della procedura implica, sul versante processuale, che sui relativi rapporti patrimoniali perduri la legittimazione in capo al coniuge dichiarato fallito, non essendo destinata a venire in gioco la disposizione di cui all’art. 43 l.fall. (oggi, 143 CCII).

Anche con riferimento alla realtà concorsuale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, a fronte delle azioni che il curatore intraprende per ricostituire la massa attiva, recuperando denaro, crediti e beni di cui il fallito abbia disposto, quest’ultimo non è in assoluto privo della capacità di stare in giudizio ove abbia a ritrovarsi in una situazione di conflitto con la curatela in ordine alla avocabilità dei beni al fallimento, conservando la legittimazione processuale nel giudizio avente ad oggetto la revocatoria del fondo patrimoniale, non essendo compresi nel fallimento i redditi dei beni costituiti in fondo patrimoniale (Cass., 26 giugno 2023, n. 18164; Cass., 9 maggio 2019, n. 12264; Cass., 18 ottobre 2011, n. 21494; Cass., 20 giugno 2000, n. 8379).

Ciò posto, potrebbe forse sollevarsi un argomento ostile alla posizione assunta da parte ricorrente. Ci si riferisce alla circostanza per cui è stato proprio il coniuge in bonis a (irritualmente) riassumere il giudizio solo nei confronti della società cessionaria dei crediti, senza estendere il contraddittorio nei confronti del coniuge dichiarato fallito, a successivamente dolersi dell’errore commesso dalla Corte d’Appello di Milano, la quale ha omesso di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei quest’ultimo. In altri termini, tale condotta sembrerebbe confliggere con il disposto di cui all’art. 157, terzo comma, c.p.c. secondo cui, come noto, la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa. Tale norma, tuttavia, si riferisce solo ai casi nei quali la nullità non possa pronunciarsi che su istanza di parte, e non riguarda, perciò, le ipotesi in cui, invece, questa debba essere rilevata d’ufficio, con la conseguenza che essa non trova applicazione quando, come nel caso di mancata integrazione del contraddittorio, la nullità si ricolleghi a un difetto di attività del giudice, al quale incombeva l’obbligo di adottare un provvedimento per assicurare il regolare contraddittorio nel processo (Cass., 7 giugno 2023, n. 16137; conf., Cass., 8 marzo 2024, n. 6252).

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