Costituzionalmente legittimo l’art. 96 c.p.c., comma 3, nel prevedere una sanzione “punitiva” civile a favore della parte vittoriosa, anziché a favore dell’Erario
di Stefano Nicita Scarica in PDFCorte Costituzionale, 23 giugno 2016, n. 152 – Pres. Grossi, Est. Morelli
Procedimento civile – Spese giudiziali civili – Condanna del soccombente – Lite temeraria – Somma equitativamente determinata a favore della parte vincitrice – Non manifesta irragionevolezza della mancata devoluzione della somma aell’Erario – Discrezionalità del legislatore (Cost. artt. 3, 24 e 111; C.p.c. artt. 96)
[1] E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, in quanto non è da ritenersi manifestamente irragionevole la scelta del legislatore che identifica nella parte vittoriosa, anziché nell’Erario, il beneficiario della somma liquidabile a titolo sanzionatorio (Rigetta, Trib. Firenze, Ord. 16 dicembre 2014)
(Massima Redazionale, 2017)
CASO
[1] Con Ordinanza del 16 dicembre 2014, il Tribunale di Firenze, rilevato il carattere palesemente dilatorio di un’opposizione a decreto ingiuntivo (chiesto da un Istituto bancario nei confronti di un proprio debitore), solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, comma 3, c.p.c. in riferimento gli articoli 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui dispone: «In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata», anziché a favore dell’Erario.
Nell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, il Tribunale di Firenze riconduce la previsione dell’art. 96, comma 3, c.p.c., ad una fattispecie di “natura sanzionatoria ed officiosa”, per l’applicazione della quale (contrariamente a quella contemplata nei primi due commi dell’art. 96 c.p.c.), pur essendo necessario l’accertamento della malafede o della colpa grave, non è richiesta né la domanda della parte, né la prova del danno. La norma è considerata dal giudice a quo quale presidio di un “interesse ulteriore ed eterogeneo rispetto a quelli già salvaguardati dal disposto del primo comma”: l’art. 96, comma 3, c.p.c. si riconnette al principio della ragionevole durata del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost. Ad avviso del Tribunale, con la disposizione in oggetto, il Legislatore ha approntato uno strumento giuridico, assai differenziato dal risarcimento danni da illecito civile (di cui all’art. 96, commi 1 e 2, c.p.c.), e finalizzato al contrasto dell’abuso del ricorso alla giurisdizione.
Al giudice fiorentino appare, perciò, irragionevole la previsione della legge che condanna la parte soccombente ad una somma, equitativamente determinata, a favore della controparte vittoriosa anziché dell’Erario. Secondo tale prospettiva, infatti, l’offensività della condotta di abuso processuale di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c., riguarda un interesse di rango costituzionale tutelato dallo Stato (ragionevole durata di un giusto processo e al corretto utilizzo della giurisdizione).
SOLUZIONE
[1] La Corte Costituzionale, pur mostrando di condividere la riconduzione ad una natura sanzionatoria della norma in esame, rigetta il ricorso proposto risolvendo la questione nel senso riportato in massima (sentenza commentata da Visconti, Processo civile – «La Corte Costituzionale e l’art. 96, comma 3°, cod. proc. civ.», Nuova giur. civ., 2016, 1642; Asprella, L’art. 96, comma 3, c.p.c. tra danni punitivi e funzione indennitaria, Corriere giur., 2016, 1586).
QUESTIONE
[1] La questione dibattuta scaturisce da un problema di carattere sistematico: l’individuazione del differente fondamento delle previsioni normative contenute nei tre commi dell’art. 96 c.p.c..
In vero, con l’intento di conferire maggior vigore alle sanzioni per l’uso scorretto del processo civile, la L. 18 giugno 2009, n. 69 ha aggiunto all’articolo 96 c.p.c., un terzo comma.
In parte, i commentatori sollevano sulla norma critiche tecnico-lessicali e sistematiche (cfr. Scarselli, Le novità per il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69). Le modifiche in tema di spese, in Foro It., 2009, V, 263; Salvatori, Tra abuso del diritto e funzione punitiva: una lettura ricognitiva dell’art. 96, comma 3°, cod. proc. civ. e prospettive de iure condendo, in Nuova Giur. Civ., 2015, 20630). Altra parte della dottrina, invece, vede con favore l’innovazione normativa, considerandola una garanzia del rispetto del dovere di lealtà e probità (di cui all’art. 88 c.p.c.), riconducendo, quindi, ad essa un funzione sanzionatoria delle “condotte processuali sleali o scorrette che si concretino in un utilizzo distorto e per fini diversi o deviati da quelli tipici dei mezzi di tutela previsti dall’ordinamento” (Nappi, Sub art. 96 c.p.c., in Consolo (dir. da) Codice di procedura civile commentato. La riforma del 2009, Milanofiori Assago, 2009, 50).
La giurisprudenza di merito, dal canto suo, ritiene che la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3 possa essere effettuata d’ufficio; non abbia limite nella determinazione dell’importo della condanna; non richieda l’instaurazione del contraddittorio, essendo essa conseguenza della decisione di merito (Trib. Reggio Emilia, 25 settembre 2012 e Trib. Piacenza, 15 novembre 2011) e, inoltre, che si fondi sulla mala fede o la colpa grave del soggetto risultato poi soccombente nel giudizio (Trib. Bari 14 febbraio 2012).
Anche per la giurisprudenza di legittimità, poi, la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, ha natura sanzionatoria e officiosa, sicché essa presuppone la mala fede o colpa grave della parte soccombente, ma non richiede un’apposita domanda della parte vittoriosa (Cass. 11 febbraio 2014, n. 3003).
Nello stesso senso, da ultimo, la pronuncia in esame considera sanzionatoria la norma in questione e, sotto l’aspetto dell’individuazione del beneficiario della somma, non rileva una manifesta irragionevolezza od arbitrarietà (non corretto esercizio della discrezionalità legislativa) tale da indurre ad una pronuncia di illegittimità costituzionale.
In particolare, la Corte ha ritenuto che la motivazione, che abbia indotto il Legislatore a porre «a favore della controparte» la previsione di condanna della parte soccombente al «pagamento della somma» è “plausibilmente ricollegabile all’obiettivo di assicurare una maggiore effettività, ed una più incisiva efficacia deterrente, allo strumento deflattivo apprestato da quella condanna, sul presupposto che la parte vittoriosa possa, verosimilmente, provvedere alla riscossione della somma, che ne forma oggetto, in tempi e con oneri inferiori rispetto a quelli che graverebbero su di un soggetto pubblico.” Inoltre, i giudici della Corte rinvengono in una norma siffatta “una concorrente finalità indennitaria nei confronti della parte vittoriosa (pregiudicata anch’essa da una temeraria, o comunque ingiustificata, chiamata in giudizio) nelle, non infrequenti, ipotesi in cui sia per essa difficile provare l’an o il quantum del danno subito, suscettibile di formare oggetto del risarcimento di cui ai primi due commi dell’art. 96 cod. proc. civ. “.
Coerentemente, tale angolo visuale riconduce “la condanna del soccombente temerario ad un ambito pubblicistico, consentendo di ricostruirla come una vera e propria sanzione e non come un risarcimento privatistico” (così Carrato, Lite temeraria? Ragionevole la condanna in favore della parte vittoriosa anziché dello Stato, Quotidiano Giuridico, Pluris on line, 30 giugno 2016); ma, appunto, non impone di concludere che il beneficiario sia lo Stato.
In conclusione, secondo la Corte Costituzionale, con la previsione del terzo comma, art. 96 c.p.c., il Legislatore ha introdotto una sanzione “punitiva” civile, onde scoraggiare un esercizio del diritto di difesa che non risulti corretto e serio (in applicazione dell’art. 24 e 111 Cost.). Tuttavia, il Legislatore, nell’ambito della propria discrezionalità, ha la facoltà di decidere chi debba beneficiare della somma sanzionatoria di tale illecito uso del processo civile. La norma non risulta, quindi, palesemente irragionevole.