Correzione dell’errore materiale: se «imputabile alla parte» il giudice può respingere l’istanza?
di Paolo Patrito Scarica in PDFProcesso amministrativo – Istanza di correzione dell’errore materiale – Errore imputabile alla parte – Inammissibilità (Cod. proc. amm., art. 86; Cod. proc. civ., art. 287)
[1] Gli artt. 86 cod. proc. amm., e 287 cod. proc. civ., prevedono espressamente la possibilità di procedere alla correzione dei soli errori materiali commessi dal giudice, ma non anche di quelli imputabili alle parti.
CASO
[1] Il caso è semplice e anche piuttosto frequente, almeno nel processo amministrativo: nell’ambito di un ricorso collettivo-cumulativo proposto da numerosissimi ricorrenti (si trattava dell’impugnativa dei provvedimenti di esclusione dalle graduatorie permanenti degli insegnanti delle scuole secondarie), il cognome di uno di costoro, per disattenzione dell’avvocato, viene leggermente storpiato. A seguito dell’accoglimento dell’istanza di sospensione dell’efficacia dei provvedimenti impugnati e del susseguente ordine all’Amministrazione di provvedere all’inserimento dei ricorrenti nelle graduatorie, la parte interessata, resasi conto dell’errore, propone istanza per correzione dell’errore materiale a sé imputabile.
SOLUZIONE
[1] L’istanza come formulata viene respinta: gli artt. 86 cod. proc. amm., e 287 cod. proc. civ., dispongono in ordine alla correzione degli errori materiali commessi esclusivamente dal giudice e non anche di quelli imputabili alle parti. Il provvedimento, inoltre (ed è questa, forse, la vera ratio decidendi), lamentando che l’erronea indicazione dei dati anagrafici dei ricorrenti è assai frequente nei ricorsi collettivi e collettivi-cumulativi, dove, spesso, gli stessi difensori omettono di controllare la rispondenza al vero dei dati indicati, tradisce una certa insofferenza per la frequenza di tali disattenzioni e vuole, forse, ‘punire’ l’avvocato: ad esempio, in relazione al medesimo ricorso, la Sezione, già con precedente ordinanza (27 settembre 2016, n. 3984, dovuta al medesimo relatore del provvedimento in rassegna, che, a sproposito, cita in terminis Cons Stato, Sez. IV, 5 agosto 2014, n. 4166, ord.), aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di correzione di errori materiali (sempre in relazione all’errata indicazione dei dati anagrafici) imputabili alla parte, richiamando, allora come ora, il principio di autoresponsabilità delle parti.
La questione, a questo punto, passa all’Amministrazione, che, in sede di attuazione dell’ordinanza cautelare, dovrà valutare se inserire anche la parte il cui cognome è stato erroneamente indicato, una volta ritenuta la certa identità del ricorrente.
QUESTIONI
[1] Al netto di quella che si è appena definita come vera ratio decidendi (che, pure, ‘umanamente’, potrebbe anche essere comprensibile), il provvedimento in epigrafe segna una divaricazione tra l’applicazione dell’istituto della correzione dell’errore materiale dinanzi al giudice ordinario e quella dinanzi al giudice amministrativo, che, sino a questo momento, era stata del tutto omogenea (in dottrina, in argomento, v., per il processo civile, A. Chizzini, sub art. 287, in Codice di procedura civile commentato, a cura di C. Consolo e F.P. Luiso, Milano, 2007, 2239 ss.; M. Acone, voce “Correzione e integrazione dei provvedimenti del giudice”, I, in Enc. Giur. Treccani, X, Roma, 1988; per il processo amministrativo, S. Menchini – A. Renzi, sub art. 86, in Codice della giustizia amministrativa a cura di G. Morbidelli, 3° ed., Milano, 2015, 843 ss.; R. Montefusco, La correzione di errore materiale del provvedimento, in Il codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo a cura di B. Sassani – R. Villata, Torino, 2012, 1191 ss.; in giurisprudenza, Cass., Sez. Un., 5 marzo 2009, n. 5287, secondo cui “deve qualificarsi come errore materiale quello che si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza o come tale percepibile e rilevabile ictu oculi, senza bisogno di alcuna attività ricostruttiva del pensiero del giudice il cui contenuto resta individuabile e individuato senza incertezza”; analogamente, per la giurisprudenza amministrativa, ad es., Cons. Stato., Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4209, secondo cui l’errore materiale è quello che riguarda la manifestazione del pensiero all’atto della formazione del provvedimento e che si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e, come tale, percepibile e rilevabile ictu oculi).
In effetti, la giurisprudenza ordinaria, da tempo, ritiene che l’errore materiale del provvedimento del giudice che sia dovuto ad errore contenuto negli atti di parte possa e debba essere corretto ai sensi dell’art. 287 c.p.c.: oltre alle risalenti Cass., 21 agosto 1952, n. 2732, in Giur. It., 1953, I, 1, 419, con nota di A. Massari, In tema di correzione delle sentenze, e Id., 9 maggio 1953, n. 1307, in Mass. Giur. It., 1953, 303, il principio di diritto in parola è stato affermato, ad esempio, da Id., 24 luglio 2003, n. 11458, in Mass. Giust. civ., 2003, 7-8, secondo cui “il presupposto di legge per la correzione di errore materiale – e cioè che il giudice ‘sia incorso’ in tale errore – si verifica anche quando l’iscrizione inesatta sia stata provocata, senza colpa del giudice, dall’erronea indicazione fattane dalla parte”, richiamata da Id., 14 febbraio 2017, n. 3775; da Id., 8 agosto 2003, n. 11972, in Giur. It., 2004, 1373, con nota di M. Campus, ove il prenome dell’attrice era stato erroneamente indicato nell’atto di citazione, si era riverberato nella sentenza di primo grado ed era stato corretto ex art. 287 cod. proc. civ. in sede di appello.
Del resto, come del tutto condivisibilmente spiegato dalla dottrina a giustificazione del principio, “l’errore oggettivato nel provvedimento è errore di chi questo ha pronunciato. Non si tratta di stabilire l’imputabilità dell’errore o la sua eziologia, ma di constatare se sussista difformità tra il dato della realtà oggettiva e quello enunciato nel provvedimento, questo considerato anche nei suoi requisiti formali” (così A. Massari, Correzione e integrazione dei provvedimenti del giudice, in Novissimo Dig. it., IV, Torino, 1959, 880, poi, sul punto, richiamato dalla successiva dottrina: v., ad es., D. Noviello, sub art. 287, in Codice di procedura civile a cura di N. Picardi, B. Sassani, A. Panzarola, I, 6° ed., Milano, 2015, 1724 ss.).
Pure la precedente giurisprudenza amministrativa era del medesimo tenore di quella ordinaria: ad es., Tar Lazio, 2 marzo 2006, n. 1625, ha ritenuto emendabile l’errore commesso dall’avvocato (che, per mera svista, aveva dato atto, in alcune note difensive, che esse erano state depositate per conto degli eredi del ricorrente, quando, in realtà, costui era in vita), poi refluito nella sentenza, mentre, più in generale, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha, sin da tempi risalenti, ritenuto l’ammissibilità dell’istanza anche con riferimento ad errori non commessi dal giudice ma dai funzionari di segreteria (ad es., Cons., Stato, Sez. V, 28 marzo 1972, n. 227, in Cons. Stato, 1971, I, 434 ha disposto la correzione dell’errore di ‘copiatura dattilografica’ imputabile al funzionario e risultante dalla discrasia tra la minuta della sentenza e l’originale).
Peraltro, la successiva giurisprudenza amministrativa (T.a.r. Lazio, Roma, 3 gennaio 2018, n. 30, decr. coll.), si è allineata al principio indicato dal provvedimento in epigrafe, espressamente richiamandolo.
La soluzione del problema si sposta, necessariamente, in sede di esecuzione del provvedimento: o l’Amministrazione, ritenuta la certa identità del ricorrente, esegue spontaneamente il dictum anche nei suoi confronti, o, in caso di renitenza da parte dell’Amministrazione, la parola è destinata a passare nuovamente al giudice amministrativo, che, in sede di ottemperanza, dovrà compiere quella valutazione sull’esatta identità della parte che lo stesso giudice amministrativo non ha voluto compiere nella sede che, in realtà, a ciò dovrebbe essere deputata.