Conversione del sequestro conservativo in pignoramento ed estinzione del processo esecutivo per mancato tempestivo deposito del titolo esecutivo ex art. 156 disp. att. c.p.c.
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 18 dicembre 2023, n. 35365 – Pres. De Stefano – Rel. Fanticini03
Sequestro conservativo – Sentenza di condanna esecutiva – Conversione in pignoramento – Inizio dell’espropriazione forzata – Adempimenti prescritti dall’art. 156 disp. att. c.p.c. – Mancata esecuzione entro il termine perentorio – Estinzione del processo esecutivo
Massima: “Il sequestro conservativo si converte in pignoramento ipso iure allorché il creditore ottenga una pronuncia di condanna esecutiva, avendo inizio da tale momento l’esecuzione forzata e costituendo gli adempimenti prescritti dall’art. 156 disp. att. c.p.c. atti di impulso da compiere entro un termine perentorio, a pena di decadenza; conseguentemente, l’inutile spirare del termine prescritto dalla citata disposizione non implica un vizio dell’atto di pignoramento, né dell’espropriazione con esso iniziata, ma integra un’inattività della parte che comporta l’estinzione del processo esecutivo a norma dell’art. 630 c.p.c.”.
CASO
A seguito di sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Torino nell’ambito di un procedimento penale, la parte civile era autorizzata a eseguire un sequestro conservativo ai danni dell’imputata: la misura cautelare attingeva le quote di proprietà di alcuni immobili e il vincolo veniva trascritto nei pubblici registri immobiliari.
La sentenza di primo grado veniva riformata all’esito del giudizio di appello quanto alle statuizioni penali, mentre venivano confermate quelle civili di condanna al versamento delle somme stabilite dal Tribunale di Torino.
Sul presupposto dell’intervenuta conversione del sequestro in pignoramento, il creditore che lo aveva eseguito presentava al Tribunale di Avellino istanza di vendita degli immobili sequestrati; l’esecutata, tuttavia, proponeva opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi e chiedeva che fosse dichiarata l’estinzione della procedura esecutiva ai sensi dell’art. 630 c.p.c., eccependo la mancata o tardiva esecuzione degli adempimenti prescritti dall’art. 156 disp. att. c.p.c., ovvero del deposito, presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione, della sentenza di condanna esecutiva (da identificarsi nella pronuncia penale resa in primo grado dal Tribunale di Torino) e della sua annotazione a margine della trascrizione del sequestro.
Avverso la sentenza di rigetto dell’opposizione veniva proposto ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, affermando che la proposizione di un’opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c. per fare valere il mancato tempestivo adempimento degli incombenti previsti dall’art. 156 disp. att. c.p.c. (che configurano atti di impulso processuale, la mancata esecuzione dei quali configura un’ipotesi di inerzia qualificata del debitore, idonea a determinare l’estinzione tipica del processo esecutivo), anziché del reclamo di cui all’art. 630 c.p.c., doveva condurre alla declaratoria di inammissibilità della domanda proposta dall’esecutata, che non poteva quindi essere scrutinata nel merito.
QUESTIONI
[1] Il sequestro conservativo è la misura cautelare che consente al creditore che non disponga ancora di un titolo esecutivo di vincolare beni del proprio debitore in previsione della futura soddisfazione in sede esecutiva.
A seconda dell’oggetto del sequestro, esso andrà eseguito secondo le norme stabilite per il pignoramento presso il debitore o presso terzi (se si tratta di beni mobili o di crediti), oppure trascrivendo il provvedimento autorizzativo presso l’ufficio del conservatore dei registri immobiliari del luogo in cui sono situati i beni (se si tratta di immobili).
La peculiarità del sequestro conservativo risiede nel fatto che, quando il creditore che l’ha eseguito ottiene una sentenza di condanna esecutiva, la misura cautelare si converte automaticamente in pignoramento, avendo così inizio l’espropriazione forzata: per effetto della conversione prevista dall’art. 686, comma 1, c.p.c., gli effetti prodotti dal sequestro ai sensi dell’art. 2906 c.c. si saldano con quelli del pignoramento e divengono così attuali.
L’art. 156 disp. att. c.p.c., tuttavia, pone a carico di chi ha eseguito il sequestro convertitosi in pignoramento alcuni adempimenti: più precisamente, entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di condanna esecutiva, copia della stessa dev’essere depositata presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione e dev’essere formulata richiesta di annotazione della medesima sentenza a margine della trascrizione del sequestro eseguito sugli immobili; inoltre, dev’essere eseguita la notificazione dell’avviso prescritto dall’art. 498 c.p.c. ai creditori che vantino sui beni pignorati un diritto di prelazione risultante da pubblici registri.
Peraltro, quando – come avvenuto nella fattispecie sottoposta all’esame dei giudici di legittimità – la sentenza di condanna sia stata emessa nell’ambito di un procedimento penale (e salvo che si tratti di provvisionale o che sia stata dichiarata provvisoriamente esecutiva dal giudice che l’ha emessa), la pronuncia, come sancito dall’art. 650 c.p.p., acquisisce efficacia esecutiva solo a seguito del suo passaggio in giudicato, cioè con la sua irrevocabilità, che si determina allorché la Corte di cassazione pronuncia l’ordinanza o la sentenza di rigetto del relativo ricorso, se proposto (art. 648 c.p.p.), ossia quando viene pronunciato in udienza il relativo dispositivo, che equivale a pubblicazione della decisione (art. 615 c.p.p.); è, dunque, in quel momento che, da un lato, il sequestro conservativo si converte in pignoramento e diviene possibile ottenere dalla cancelleria del giudice che l’ha emessa il rilascio della copia della sentenza di merito di condanna passata in giudicato munita della formula esecutiva, esibendo la copia del dispositivo della sentenza della Corte di cassazione e, dall’altro lato, inizia a decorrere il termine per porre in essere gli adempimenti prescritti dall’art. 156 disp. att. c.p.c. (in questi termini, Cass. civ., sez. I, 12 febbraio 2024, n. 3875).
Secondo la tesi prevalente, tali adempimenti non incidono sulla conversione – automatica e già verificatasi per effetto della pronuncia della sentenza di condanna esecutiva – del sequestro in pignoramento, ma costituiscono atti di impulso del processo esecutivo: in virtù di quanto disposto dall’art. 686 c.p.c., infatti, nel momento in cui il sequestrante ottiene una sentenza di condanna esecutiva, il sequestro conservativo si converte ipso iure in pignoramento e ha così inizio il processo esecutivo, di cui sussiste il primo atto (il pignoramento, per l’appunto, in cui si è convertito ope legis il sequestro).
Il compimento degli atti previsti dall’art. 156 disp. att. c.p.c., pertanto, non incide sull’avvio del processo esecutivo (come detto, già verificatosi ipso iure), ma sulla sua progressione, costituendone atti di impulso da porre in essere nel termine perentorio – di sessanta giorni – stabilito dalla legge.
Secondo un orientamento risalente, quando il debitore voglia contestare l’inosservanza del suddetto termine perentorio, deve proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.
Per altro e più recente orientamento, invece, il mancato tempestivo compimento delle attività di impulso processuale prescritte dall’art. 156 disp. att. c.p.c. provoca l’estinzione del processo esecutivo ai sensi dell’art. 630, comma 1, c.p.c. e la conseguente inefficacia del pignoramento in cui si è convertito il sequestro in virtù di quanto stabilito dall’art. 632, comma 1, c.p.c., che dev’essere eccepita dagli interessati prima di ogni altra difesa e comunque entro l’udienza fissata per l’autorizzazione della vendita prevista, rispettivamente, dall’art. 530 c.p.c. (per l’espropriazione mobiliare) e dall’art. 569 c.p.c. (per l’espropriazione immobiliare).
In altre parole, la violazione delle prescrizioni dettate dall’art. 156 disp. att. c.p.c. integra una fattispecie di inerzia qualificata del creditore, idonea a determinare, per effetto di quanto stabilito dall’art. 630 c.p.c., l’estinzione tipica del processo esecutivo, sicché il rimedio per impugnare l’ordinanza che l’ha dichiarata o che ha rigettato la relativa eccezione è rappresentato dal reclamo previsto dalla medesima norma (essendo, invece, l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. riservata ai casi nei quali si è in presenza di un’estinzione atipica del processo esecutivo, ovvero di improcedibilità).
In definitiva, con la conversione in pignoramento, gli effetti del sequestro conservativo divengono attuali, sempre che il pignoramento non divenga inefficace per il mancato o intempestivo adempimento delle formalità prescritte dall’art. 156 disp. att. c.p.c.; l’inefficacia del pignoramento in cui si è convertito il sequestro opera di diritto, ma dev’essere eccepita dal debitore esecutato prima di ogni altra difesa con lo strumento del reclamo apprestato dall’art. 630 c.p.c., giacché l’inutile spirare del predetto termine perentorio non comporta un vizio dell’atto di pignoramento, né dell’espropriazione che con esso ha avuto inizio, ma integra un’inattività della parte idonea a comportare l’estinzione della procedura esecutiva a norma del richiamato art. 630 c.p.c.
Per questo motivo, nel caso di specie, l’esecutata avrebbe dovuto proporre reclamo e non l’opposizione all’esecuzione (per farne valere l’improseguibilità dopo che si è verificata la causa di estinzione) o agli atti esecutivi (per contestare il provvedimento del giudice dell’esecuzione che abbia dichiarato l’estinzione o abbia omesso di farlo, nonché gli atti del processo esecutivo adottati successivamente al manifestarsi della causa di estinzione non dichiarata).
Pertanto, l’erroneità del mezzo di impugnazione prescelto doveva condurre il giudice a dichiararne l’inammissibilità in rito; per questo motivo, la sentenza che, al contrario, aveva deciso nel merito l’opposizione svolta dall’esecutata è stata cassata senza rinvio.
Sempre in tema di rapporti tra sequestro conservativo e sentenza penale di condanna, la recente sentenza di Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2024, n. 4290, ha precisato che, in caso di emissione di condanna generica in sede penale, debbono reputarsi applicabili le regole dettate dagli artt. 669-octies e 669-novies c.p.c., con la conseguente perdita di efficacia della misura cautelare in caso di tardiva o mancata introduzione del giudizio civile volto a ottenere l’accertamento del nesso di causalità dell’illecito civile e la determinazione del quantum debeatur, vuoi per il carattere di piena strumentalità del sequestro conservativo rispetto al giudizio di merito, vuoi perché la mancata tempestiva introduzione della causa civile sottende il sopravvenuto venire meno del periculum in mora, che costituisce presupposto indispensabile per la concessione – e la conservazione dell’efficacia – della misura cautelare.
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