Conversione del pignoramento o pagamento satisfattivo nelle mani del creditore: tertium non datur
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 16 settembre 2022, n. 27329 – Pres. Rubino – Rel. Saija
Massima: “Una volta che è stata disposta la vendita del bene pignorato, l’istanza di conversione del pignoramento non è più proponibile, sicché il debitore che intenda sottrarsi al vincolo pignoratizio deve procedere al pagamento diretto e totalmente satisfattivo a mani del creditore – se del caso, ricorrendo all’offerta formale ai sensi dell’art. 1208 c.c. – e può proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c. qualora il creditore integralmente soddisfatto non rinunci all’esecuzione ex art. 629 c.p.c.”
CASO
L’esecutata, assumendo di avere depositato in cancelleria somme idonee a estinguere la propria esposizione debitoria nei confronti del creditore procedente, proponeva opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione che aveva rigettato la sua istanza volta a ottenere la revoca dell’aggiudicazione dell’immobile pignorato.
L’opposizione veniva respinta, dal momento che non solo le somme versate non erano sufficienti per coprire il credito del pignorante e le spese della procedura, ma, in ogni caso, l’iniziativa assunta dall’esecutata era da considerarsi irrituale, essendosi già verificata la decadenza dalla facoltà di chiedere la conversione del pignoramento ai sensi dell’art. 495 c.p.c.
Avverso la sentenza di rigetto dell’opposizione veniva proposto ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che, scaduto il termine per chiedere la conversione del pignoramento, al debitore che intenda sottrarre il bene all’espropriazione forzata non resta che effettuare il pagamento diretto nelle mani del creditore, il quale, una volta integralmente soddisfatto, dovrà rinunciare agli atti ai sensi dell’art. 629 c.p.c., legittimando, in caso contrario, l’opposizione all’esecuzione – anche tardiva – del debitore esecutato.
QUESTIONI
[1] Con l’ordinanza che si annota, la Corte di Cassazione ha precisato le modalità con le quali l’esecutato può evitare la vendita forzata del bene pignorato e quali rimedi possa attivare una volta che ne sia intervenuta l’aggiudicazione.
L’ordinamento accorda al debitore tre strumenti per sottrarsi all’aggressione esecutiva.
Il primo è il versamento della somma per cui è stata chiesta l’esecuzione del pignoramento – che viene così evitato – e dell’importo corrispondente alle spese nelle mani dell’ufficiale giudiziario, che dovrà consegnare il tutto al creditore (art. 494, comma 1, c.p.c.): in questo caso, l’adempimento avviene prima del pignoramento, ossia quando ancora non è radicata una procedura esecutiva, sicché l’ufficiale giudiziario deve redigere il processo verbale del versamento (inserendo l’eventuale riserva di ripetizione che il debitore è pur sempre legittimato a fare) e lo deposita immediatamente in cancelleria con la prova del versamento al creditore di quanto ricevuto, affinché ne venga presa nota nel ruolo generale delle esecuzioni (art. 157 disp. att. c.p.c.).
Il secondo è il deposito nelle mani dell’ufficiale giudiziario di una somma di denaro pari all’importo del credito o dei crediti per cui si procede e delle spese, aumentata di due decimi, per evitare che vengano espropriate cose (art. 494, comma 3, c.p.c.): in questo caso, il pignoramento si perfeziona e ha per oggetto il denaro versato, che andrà depositato in cancelleria nelle forme dei depositi giudiziari, per essere successivamente distribuito ai creditori nell’ambito di un’ordinaria espropriazione.
Il terzo è la conversione del pignoramento, disciplinata dall’art. 495 c.p.c. e consistente nella sostituzione dei beni assoggettati al vincolo esecutivo con una somma di denaro, che può essere versata ratealmente e dev’essere pari all’importo (per capitale e interessi) dovuto al creditore pignorante e a quelli intervenuti fino a quel momento, oltre alle spese. Ai fini della liquidazione di tale somma, nell’ambito dell’espropriazione immobiliare, è prescritto che i creditori che partecipano al processo esecutivo depositino, almeno trenta giorni prima dell’udienza prevista dall’art. 569 c.p.c., un atto di specificazione del credito (contenente l’indicazione degli interessi maturati, del criterio di calcolo di quelli in corso di maturazione e delle spese sostenute) previamente notificato al debitore esecutato, in assenza del quale si terrà conto degli importi esposti nell’atto di precetto e nei ricorsi per intervento, maggiorati dei soli interessi al tasso legale e delle spese successive.
L’istanza di conversione del pignoramento può essere presentata una sola volta, prima che sia stata disposta la vendita o l’assegnazione e dev’essere accompagnata, a pena d’inammissibilità, dal deposito in cancelleria di una somma non inferiore a un sesto dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti; tale previsione è volta a evitare abusi da parte del debitore esecutato che possano destabilizzare il regolare svolgimento del processo esecutivo.
Proprio in ragione di ciò, nella fattispecie esaminata dai giudici di legittimità, è stato evidenziato che il versamento di somme in cancelleria (peraltro insufficienti per soddisfare i crediti azionati) in assenza di un provvedimento del giudice dell’esecuzione che, a fronte di una tempestiva istanza dell’esecutato, abbia autorizzato la conversione del pignoramento, si pone come iniziativa del tutto irrituale e connotata da mala fede.
Nel caso di specie, di fatto, il debitore aveva inteso coniare una sorta di conversione del pignoramento extra ordinem, al di fuori dello schema delineato dalla legge processuale, impegnando il giudice dell’esecuzione (che aveva impropriamente assecondato questa iniziativa) in un irrituale procedimento volto alla determinazione delle somme dovute al creditore per il loro successivo versamento in cancelleria (sempre e non a caso effettuato in concomitanza o in prossimità delle date fissate per la vendita del bene staggito).
Solo a fronte dell’impossibilità di raggiungere un accordo sul quantum debeatur, il giudice dell’esecuzione aveva, alfine, revocato la sospensione delle attività esecutive già concessa, con conseguente ripresa delle operazioni di vendita da parte del professionista delegato, cui avevano fatto seguito dapprima l’aggiudicazione del bene all’esito dell’esperimento di vendita celebrato e, alfine, l’emissione del decreto di trasferimento.
Come sottolineato nell’ordinanza annotata, tuttavia, una volta disposta la vendita ai sensi dell’art. 569 c.p.c., la conversione del pignoramento ex art. 495 c.p.c. non è più percorribile, essendosi consumata la facoltà per l’esecutato di chiederla, per effetto della decadenza maturata.
Di conseguenza, non vi era alcuno spazio per la pronuncia di un provvedimento di sospensione del processo esecutivo da parte del giudice dell’esecuzione, salvo ipotizzare che il creditore procedente e gli eventuali altri creditori muniti di titolo esecutivo con i quali fossero state intavolate trattative per la definizione della vertenza ne avessero fatto richiesta ai sensi dell’art. 624-bis c.p.c., posto che la relativa istanza può essere proposta anche dopo che sia stata disposta la vendita del bene (quando, dunque, la conversione del pignoramento non è più consentita) e, precisamente, fino a venti giorni prima della scadenza del termine per il deposito delle offerte d’acquisto.
Di conseguenza, non è immaginabile che, per sottrarre il bene al vincolo pignoratizio con l’adempimento della propria obbligazione, il debitore pretenda di ottenere dal giudice dell’esecuzione la quantificazione del dovuto e di depositare somme nella cancelleria del tribunale, dovendo eventualmente procedere al pagamento diretto – totalmente satisfattivo – a mani del creditore, se del caso ricorrendo all’offerta formale disciplinata dagli artt. 1208 e seguenti c.c., onde conseguire la completa liberazione.
In questo caso, se il creditore integralmente soddisfatto non rinuncia agli atti del processo esecutivo ai sensi dell’art. 629 c.p.c., il debitore esecutato sarà legittimato a proporre opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c., fondata sulla mancanza del diritto di proseguire l’esecuzione forzata nei suoi confronti, attesa l’intervenuta estinzione del credito azionato.
A ciò non osta la barriera preclusiva fissata dal comma 2 dell’art. 615 c.p.c. (cui si ricollega la prescrizione – recata dal comma 3 dell’art. 492 c.p.c. – dell’inserimento, nell’atto di pignoramento, dell’avvertimento al debitore che l’opposizione all’esecuzione non può essere proposta una volta che sia stata disposta la vendita), giacché, in simile ipotesi, ricorrerebbero senz’altro quei fatti sopravvenuti che, al pari di quelli non imputabili all’esecutato, consentono a quest’ultimo di svolgere tale opposizione anche dopo la pronuncia dell’ordinanza di vendita.
Non solo, dunque, il giudice dell’esecuzione, nel caso di specie, non avrebbe nemmeno dovuto esaminare la questione della sufficienza o meno delle somme irritualmente versate dall’esecutata in cancelleria, ma non avrebbe, in ogni caso, neppure potuto revocare la disposta aggiudicazione per effetto del (preteso) pagamento estintivo successivamente intervenuto, stante il disposto dell’art. 187-bis disp. att. c.p.c., in base al quale, quando il processo esecutivo si estingua o venga dichiarato improcedibile ovvero improseguibile dopo l’aggiudicazione, anche se provvisoria, o dopo l’assegnazione, l’acquisto dell’aggiudicatario o dell’assegnatario è comunque salvo e non può essere inficiato, restando fermi nei loro confronti, in forza dell’art. 632, comma 2, c.p.c., gli effetti di tali atti.
Pertanto, quand’anche, in epoca successiva all’aggiudicazione dell’immobile, fosse intervenuta la rinuncia del creditore procedente ai sensi dell’art. 629 c.p.c. o fosse stato irritualmente concesso all’esecutata un termine per consentirle di completare il versamento del dovuto (al di fuori, tuttavia, di un ordinario procedimento di conversione del pignoramento), nondimeno non si sarebbero potuti porre nel nulla gli effetti dell’aggiudicazione e l’emissione del decreto di trasferimento si sarebbe posta come attività doverosa e necessitata.
Per lo stesso motivo, del resto, qualora l’espropriazione sia proseguita nonostante la tempestiva e rituale formulazione dell’istanza di conversione, essa diviene improcedibile una volta che sia intervenuta l’aggiudicazione o l’assegnazione, prevalendo e dovendosi tutelare – per effetto del richiamato art. 187-bis disp. att. c.p.c. – l’acquisto del terzo.
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