Convenzione di arbitrato estero e rilevabilità del difetto di giurisdizione del giudice italiano
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. un., 27 maggio 2022, n. 17244, Pres. Curzio – Est. De Chiara
[1] Arbitrato – Arbitrato internazionale – Rilevabilità d’Ufficio dell’assenza di giurisdizione – Impossibilità (art. 806 c.p.c.)
Massima: “Il fondamento di qualsiasi arbitrato – e quindi anche di quello internazionale – è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, la quale soltanto consente di derogare al precetto contenuto nell’art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24, comma 1, Cost.; con la conseguente impossibilità di individuare la fonte dell’arbitrato in una volontà autoritativa, e la necessità di attribuire alla norma di cui all’art. 806 c.p.c. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell’intero ordinamento. Le parti possono, quindi, optare per il giudizio dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria non solo espressamente, ovvero mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, ovvero attraverso l’adozione di condotte processuali convergenti verso l’esclusione della competenza o giurisdizione arbitrale e segnatamente mediante l’introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell’eccezione di arbitrato”.
CASO
[1] Il 26 marzo 2002 una s.r.l. italiana e una società algerina stipulavano un contratto mediante il quale la prima si impegnava a vendere alla seconda un impianto per la macinazione del grano duro, con montaggio, messa in opera e addestramento dei tecnici addetti. Dopo la sottoscrizione del contratto, la società acquirente chiedeva il rilascio di apposita garanzia di buona esecuzione, garanzia che veniva rilasciata dalla venditrice in forma bancaria. Successivamente alla consegna dell’impianto e alla sua messa in opera, la società acquirente segnalava la presenza di alcuni guasti, che la venditrice imputava all’erronea manutenzione dell’impianto. A fronte della necessità di trasferire l’impianto in Italia, la società algerina attivava tuttavia la garanzia di buona esecuzione, e il successivo 2 aprile 2004 l’istituto di credito garante invitava la venditrice a provvedere alla copertura finanziaria della garanzia posta in esecuzione.
Di conseguenza, la società venditrice, con atto di citazione, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Modena la società algerina e l’istituto di credito affinché fossero accertati il corretto funzionamento dell’impianto e l’illegittimità dell’escussione della garanzia, con conseguente inibizione alla banca di provvedere al suo pagamento e/o negazione dell’azione di regresso nei suoi confronti, oltre alla condanna della società acquirente al risarcimento dei danni causati dalla abusiva escussione della garanzia.
La società convenuta rimaneva contumace, mentre l’istituto di credito, per quanto di interesse ai fini del presente commento, eccepiva la presenza di clausola compromissoria.
A tale riguardo il Tribunale di Modena, con sentenza del 22 febbraio 2011, dichiarò d’ufficio, ai sensi dell’art. 11 della l. n. 218/1995, il difetto di giurisdizione del giudice italiano per effetto della presenza, nel contratto di compravendita, di clausola recante la previsione secondo cui tutte le controversie derivanti o relative al contratto dovessero essere risolte, in difetto di accordo, a mezzo di un arbitrato estero applicando il regolamento arbitrale della Camera di commercio internazionale di Parigi e secondo il diritto algerino.
La Corte d’Appello di Bologna respingeva il gravame proposto dalla parte soccombente, confermando la rilevabilità d’ufficio, nella contumacia della società algerina convenuta, del difetto di giurisdizione del giudice italiano ai sensi dell’art. 11 della l. n. 218/1995, in virtù della clausola compromissoria contenuta nel contratto di compravendita.
Avverso la sentenza d’appello, la società italiana proponeva ricorso per cassazione articolato in otto motivi, cinque dei quali riguardanti la questione di giurisdizione, come visto risolta dai giudici di merito nel senso della sottrazione al giudice italiano del rapporto dedotto in lite, per essere la relativa controversia oggetto di clausola compromissoria per arbitrato estero. In particolare, la ricorrente dapprima denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della l. n. 218/1995, per avere la Corte d’Appello ritenuto di poter dichiarare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice ordinario solo perché la parte convenuta era contumace; e, poi, richiamava l’art. 6 della Convenzione di Bruxelles del 1968 – richiamata dall’art. 3 della l. n. 218/1995 – a mente del quale, in caso di pluralità di convenuti, il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato davanti al giudice di un altro Stato contraente, nel cui territorio sia domiciliato uno degli altri convenuti, come nel caso di specie l’istituto di credito, avente sede in Italia.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione, dopo aver qualificato la questione sottopostale, scaturente dalla presenza di una convenzione per arbitrato estero, quale attinente alla giurisdizione, esamina congiuntamente i cinque motivi di ricorso proposti e decide, in accoglimento di tali censure, nel senso della spettanza al giudice italiano della giurisdizione sul rapporto dedotto in lite, intercorrente tra la società italiana venditrice e quella algerina, acquirente.
La Suprema Corte, infatti, ritiene che il giudice italiano fosse stato correttamente adito, anche nei confronti della società algerina, ai sensi del richiamato art. 6 della Convenzione di Bruxelles, avendo sede in Italia l’altra convenuta, ossia l’istituto di credito.
All’opposto, la Cassazione ritiene illegittimo il rilevo ufficioso del difetto di giurisdizione effettuato dalle corti di merito, ai sensi dell’art. 11 della l. n. 218/1995, in forza della clausola compromissoria per arbitrato estero contenuta nel contratto di compravendita.
In particolare, non basterebbe a giustificare tale rilievo ufficioso la mera contumacia della società convenuta: secondo la Corte, infatti, la previsione di cui al richiamato art. 11 non contiene uno specifico riferimento all’ipotesi in cui, a base del difetto di giurisdizione, vi sia una convenzione di arbitrato estero tra le parti, sicché diviene lecito dubitare se tale fattispecie sia effettivamente ricompresa in tale dato normativo ovvero debba ritenersi esclusa per effetto di previsioni più specifiche.
Secondo le Sezioni Unite, plurimi argomenti militerebbero a favore dell’esclusione di tale fattispecie dalla previsione di rilevabilità d’ufficio di cui all’art. 11 in discorso.
Il punto di partenza viene identificato nell’art. 2, 3°co., della Convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, adottata a New York il 10 giugno 1958, dove è espressamente previsto che il rinvio delle parti davanti agli arbitri, per effetto di una convenzione arbitrale (per arbitrato nazionale o estero), possa essere disposto dal giudice solo a domanda di parte.
Tale norma risponderebbe a un principio acquisito nell’ordinamento italiano e fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità, che già ha avuto modo di affermare che “Il fondamento di qualsiasi arbitrato – e quindi anche di quello internazionale – è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, la quale soltanto consente di derogare al precetto contenuto nell’art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24, comma 1, Cost.; con la conseguente impossibilità di individuare la fonte dell’arbitrato in una volontà autoritativa, e la necessità di attribuire alla norma di cui all’art. 806 c.p.c. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell’intero ordinamento” (in tal senso, Cass., 6 novembre 2015, n. 22748).
Se è la volontà delle parti a costituire l’unico fondamento della competenza degli arbitri, deve necessariamente riconoscersi che le parti possono optare per una decisione da parte del giudice ordinario anche tacitamente, mediante condotte processuali convergenti verso l’esclusione della competenza arbitrale, e segnatamente mediante l’introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell’eccezione di arbitrato.
QUESTIONI
[1] Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione inerente alla possibilità, per l’adito giudice ordinario, di dichiarare il difetto di giurisdizione a favore di arbitrato estero, una volta rilevata la presenza di una clausola compromissoria e nella contumacia della parte convenuta.
Sotto diversa prospettiva, la questione riguarda la corretta interpretazione da fornire all’art. 11 della l. n. 218/1995 che, come noto, prevede che «Il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. È rilevato dal giudice d’ufficio, sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 5, ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale [corsivo nostro]».
È chiaro che, in via preliminare, dev’essere chiarito come i rapporti intercorrenti tra giudice interno e arbitri esteri siano da riguardare come integranti una questione di giurisdizione, e non una questione di competenza (principio ormai consolidato, a partire da Cass., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24135).
Ciò detto, l’interpretazione che la Suprema Corte offre del richiamato art. 11, l. n. 218/1995, in relazione alla presenza di una convenzione di arbitrato estero, supera, evidentemente, il dato letterale della disposizione, dal quale si potrebbe anzi evincere proprio la conclusione opposta, ossia la possibilità di rilievo ufficioso del difetto di giurisdizione in ipotesi di contumacia della parte convenuta.
A sostegno della soluzione negativa, la Cassazione afferma come tale norma – in mancanza di utili dati che depongano in tal senso – non troverebbe applicazione nel caso arbitrato estero.
E sulla stessa, in ogni caso, dovrebbe prevalere il principio generale della volontarietà dell’arbitrato, che implicherebbe che il ricorso alla giustizia privata non possa essere imposto alle parti tramite scelte autoritative compiute dal giudice (tramite, appunto, il rilievo d’ufficio del difetto di giurisdizione).
Tale principio era già stato affermato, dalla giurisprudenza di legittimità, con riguardo a una fattispecie di arbitrato nazionale (in tal senso, la richiamata Cass., 6 novembre 2015, n. 22748): la pronuncia in commento ritiene, a maggior ragione, di doverlo estendere anche all’ipotesi di arbitrato estero, in ragione dell’imprescindibile carattere volontario dell’arbitrato, radicato nei principi di cui agli artt. 24 e 102 Cost.
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