29 Dicembre 2015

Contumacia: no (ancora una volta) alla ficta confessio

di Mattia Polizzi Scarica in PDF

Cass., Sez. VI – 2, ord. 4 novembre 2015, n. 22461

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Procedimento civile – Processo in contumacia – Principio di non contestazione – Operatività – Esclusione – Fondamento (Cod. proc. civ., art. 115, 167)

[1] Il principio di non contestazione (o onere di contestazione specifica) non opera in danno della parte contumace, in considerazione del dettato letterale dell’art. 115 c.p.c. che, facendo esplicito riferimento alla parte costituitasi in giudizio, è espressione del più generale atteggiamento di neutralità che informa il processo contumaciale. 

CASO
[1] La società ricorrente impugna la sentenza con cui il Tribunale di Piacenza – in funzione di giudice dell’appello – in riforma della pronuncia del Giudice di Pace l’aveva condannata al pagamento di una somma di denaro, qualificando come ammesse le circostanze non contestate dalla ricorrente medesima, rimasta contumace in appello.

Quest’ultima denuncia la violazione, in particolare, degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c., per aver il giudice del gravame ritenuto applicabile il principio di non contestazione di cui all’art. 115, co. 1, c.p.c. nei confronti della parte rimasta contumace. 

SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte accoglie il ricorso, affermando in primo luogo l’errore in cui è incorso il Tribunale piacentino nel ritenere operativo il disposto di cui all’art. 115 c.p.c. nel giudizio di seconde cure – inibito, nelle parole della Corte, dal corretto operare dell’effetto devolutivo dell’appello – e, per ciò che qui più da vicino interessa, per averlo reputato applicabile in danno di una parte non costituitasi in giudizio, soluzione questa impedita dal dato letterale della disposizione citata, espressione di una più generale considerazione del fenomeno contumaciale in termini di neutralità da parte dell’ordinamento. 

QUESTIONI
[1] L’ordinanza in esame è espressione di un orientamento ormai pacifico in giurisprudenza. (cfr. tra le più recenti sentenze in tal senso, ex pluribus, Cass., Sez. L., 21 novembre 2014, n. 24885, in Giust. civ. Mass., 2014; Cass., Sez. III, 23 giugno 2009, n. 14623, in Giust. civ. Mass., 2009, 6, 963; Cass., Sez. L., 2 maggio 2007, n. 10098, in Giust. civ. Mass., 2007, 5; per una – isolata – pronuncia in senso contrario, si v. Trib. Vercelli, 31 marzo 2006, in La nuova giurisprudenza civile commentata, III, I, pp. 349 e ss., con nota di Demontis E., Sull’applicabilità del principio di non contestazione al convenuto contumace).

Tale lettura del principio di non contestazione appare certamente necessitata in ragione della litera dell’art. 115, co. 1, c.p.c. che, nel delineare l’ambito soggettivo di applicazione del principio de quo – in forza del quale, come noto, il giudice deve porre a fondamento della decisione (anche) i fatti non specificamente contestati – espressamente ne riconosce l’operatività in danno della sola parte non costituitasi in giudizio; ne consegue, secondo la pronuncia in commento, che in caso di contumacia del convenuto, l’onere di cui all’art. 167, co. 1, c.p.c. “non esclude il potere-dovere del giudice di accertare se la parte attrice abbia dato dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa”.

Invero, la formulazione in termini siffatti dell’onere di contestazione specifica viene riconosciuta quale espressione obbligata del più generico atteggiamento per così dire agnostico che l’ordinamento processuale italiano riserva alla mancata costituzione in giudizio, atteggiamento che informa l’intero sistema (ispirato al modello della c.d. ficta litiscontestatio).

È pressoché unanime, difatti, la convinzione che il vigente processo civile, ben lontano dall’esperienza di altri ordinamenti, ha accolto nel regolare il processo contumaciale (o “eremodiciale”) la c.d. teoria dell’inattività, elaborata dal Chiovenda, che – superando ogni precedente riferimento all’animus del contumace – ravvisa dalla impossibilità di inferire dalla mancata costituzione in giudizio qualsivoglia elemento in merito all’elemento soggettivo alla base di tale decisione e, in ultima istanza, un interesse da parte dell’ordinamento al mero dato oggettivo della inattività (cfr., ex pluribus, Costa E., voce Contumacia (diritto processuale civile), in Novissimo Digesto Italiano, IV, UTET, 1968, p. 774; Ferrari F., sub Art. 290, in Comoglio L.P., Consolo C., Sassani b., Vaccarella R. (dir. da), Commentario del codice di procedura civile, III, II, UTET, 2012, pp. 398, 402-403; Giannozzi G., La contumacia nel processo civile, Giuffrè, 1963, pp. 137-138)

Peraltro, a conferma delle considerazioni appena mosse, non appare superfluo ricordare che se – come detto – l’opzione seguita nel senso di escludere l’operatività del principio di non contestazione con riferimento al contumace appare obbligata alla luce del disposto letterale dell’art. 115, co. 1, c.p.c., una soluzione siffatta si era imposta già prima dell’introduzione del principio de quo ad opera dell’art. 45, co. 14, l. 69/2009: ci si riferisce alla celebre sent. Cass., SS.UU.. 761/2002 (Cass., SS.UU, 23 gennaio 2002, n. 761, in Foro italiano, 2002, I, 2017-2026, con nota di Cea C.M., Il principio di non contestazione al vaglio delle sezioni unite) che, nel desumere all’interno dell’ordinamento processual-lavoristico un generale onere di contestazione specifica, ne ha riconosciuto l’operatività con riferimento alla sola parte costituitasi in giudizio.

Fortemente avversa alla scelta operata dal conditor del 2009 è la dottrina, che appare compatta nella critica di un atteggiamento considerato di ingiustificata iper-tutela del contumace (cfr., senza pretesa di esaustività alcuna, Balena G., La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, in Il giusto processo civile, 2009, III, pp. 776 e ss.; D’Adamo D., Contributo allo studio della contumacia nel processo civile, Giuffrè, 2012, pp. 50 e ss.; Demarchi Albengo P.G., L’onere di contestazione specifica tra rigore formale, contumacia e conoscibilità dei fatti, in Giurisprudenza di merito, 2010, IV, pp. 1044 e ss.; Ferrari F., op. cit., pp. 412 e ss.; Proto Pisani A.,  Appunti sull’ultima riforma, in Il giusto processo civile, 2010, I, pp. 112 e ss.); censurabile non solo con riferimento alla sua tenuta costituzionale di fronte ad alcuni principi della Carta fondamentale (primi tra tutti il principio di parità delle armi ed il principio del giusto processo, giusto in quanto presenti una durata – come noto – ragionevole), ma addirittura avendo riguardo allo stesso substrato teoretico sotteso al processo contumaciale, ossia quella neutralità che dovrebbe informare il sistema, ma che appare sconfessato dalla stessa l. 69/2009, proprio nella parte in cui ha introdotto un innegabile vantaggio per la parte non costituitasi in giudizio.

Alla luce di tali osservazioni, la medesima dottrina auspica fortemente (seppur in una prospettiva necessariamente de iure condendo) un deciso mutamento di rotta del legislatore, che si avvicini ad altri sistemi – in maniera non dissimile dalle scelte operate dal d. lgs. 5/2003 con riferimento all’oramai abrogato rito societario – almeno per quanto riguarda la c.d. contumacia volontaria (ossia il caso in cui la mancata costituzione in giudizio non sia dovuta a vizi dell’atto introduttivo o della sua notificazione): si pensi, ad esempio, al judgement by default o default judgement, tipico del processo civile inglese o statunitense che, in sostanza, equipara la contumacia alla ammissione dei fatti ex adverso dedotti in giudizio, con conseguente soccombenza della parte non costituitasi (c.d. ficta confessio).