3 Agosto 2015

Contumacia in primo grado ed interesse ad impugnare

di Francesco Fradeani Scarica in PDF

Trib. Perugia, 30 giugno 2015, n. 1100

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Impugnazioni civili – Appello – Contumacia in primo grado – Interesse ad impugnare – Legittimazione ad impugnare – Carenza
(Cod. proc. civ., artt. 100, 291; D. Lgs. n. 150 del 2011, art. 6)

[1] La legittimazione e l’interesse ad impugnare presuppongono che il soccombente abbia manifestato interesse a resistere nel precedente grado di giudizio e che nello stesso abbia rivestito la qualità di parte. Pertanto la mancata costituzione in primo grado è manifestazione di un disinteresse che determina il difetto di interesse e di legittimazione ad impugnare, con conseguente declaratoria di improcedibilità dell’appello.

CASO
[1] In una fattispecie concreta regolata in primo grado di fronte al Giudice di pace di Terni mediante procedimento di opposizione ad ordinanza ingiunzione ex art. 6 d.lgs. n. 150 del 2011, la Prefettura di Terni – Ufficio territoriale del Governo, in qualità di opposta, viene dichiarata contumace e poi, al termine del giudizio, soccombente. Quest’ultima interpone gravame di fronte al Tribunale di Perugia, in composizione monocratica, che respinge tuttavia l’appello ritenendolo improcedibile con condanna accessoria della P.A. alla refusione delle spese processuali del secondo grado.

SOLUZIONE
[1] Il Giudice di seconde cure ha inteso valorizzare il difetto delle condizioni dell’azione in sede d’impugnazione, segnatamente la carenza d’interesse e di legittimazione ad impugnare, in ragione del comportamento inerte dell’appellante in primo grado. Quest’ultimo, infatti, dichiarato contumace, per ciò solo avrebbe manifestato chiaramente un «primitivo disinteresse» a resistere in giudizio da cui discenderebbe una speculare carenza d’interesse e di legittimazione all’impugnazione con conseguente «improcedibilità» del gravame.

QUESTIONI
[1] Tradizionalmente l’esercizio dell’azione, affinché il Giudice possa pronunciare nel merito, deve essere supportata dalla presenza, così come affermata nell’atto introduttivo, di tre condizioni: la possibilità giuridica, l’interesse e la legittimazione ad agire (v. in proposito già Liebman, L’azione nella teoria del processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1950, p. 47 ss.). Specularmente, anche in sede d’impugnazione deve farsi il medesimo discorso e, tuttavia, ad esempio, l’interesse ad impugnare deve essere declinato sulla base della soccombenza effettiva, obiettiva, non meramente teorica o tecnica e formale, di colui che intende fondatamente proporre, ad esempio come nel caso di specie, gravame (cfr. Cass., 5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 20 maggio 2002, n. 7342).

Invero, fatte salve deroghe espresse di legge, come nel procedimento per convalida di sfratto, nel nostro sistema processuale vige il principio “francese” della c.d. ficta contestatio in base al quale la contumacia si pone in termini di neutralità rispetto alle sorti della causa, nel merito, in quanto non incide sull’onere della prova previsto dall’art. 2697 c.c. In caso di costituzione e non contestazione, i principi generali prevedono l’applicazione dell’art. 115, co. 1, ult. pt., c.p.c. che si risolve in una mera relevatio ab onere probandi (v. Carratta, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, passim).

Inoltre, l’essere stato parte del giudizio comporta automaticamente la legittimazione ad impugnare, quale specie della legittimazione ad agire, naturalmente in presenza, si diceva, di un provvedimento ancora impugnabile e di una soccombenza obiettiva. Il soggetto di diritto che ha proposto la domanda introduttiva del giudizio e tutti coloro nei confronti dei quali si è regolarmente perfezionato il contraddittorio ai sensi dell’art. 101 c.p.c., anche ovviamente nell’ipotesi di intervento o chiamata in causa, debbono essere considerate “parti” dello stesso e poi, rivestita tale qualità formale, possono decidere se costituirsi o meno, partecipando così nel primo caso attivamente al giudizio ovvero, nel secondo, restando inerti. Ma in entrambe le ipotesi tutti hanno astrattamente legittimazione ad impugnare la sentenza sfavorevole nei loro confronti.

Ciò posto, dal punto di vista dogmatico, in primo luogo non sembra corretto sovrapporre le categorie appena enunciate, sicché non può essere confusa in alcun modo la scelta di non partecipare attivamente al giudizio di primo grado, i.e. la contumacia, con la mancanza d’interesse a coltivare il secondo grado in caso di soccombenza ovvero con la carenza di qualità di parte e, quindi, di legittimazione ad impugnare.

Secondariamente, l’eventuale carenza di una delle condizioni suddette determina l’inammissibilità dell’appello e non l’improcedibilità. Quest’ultima non è mai riconducibile al contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, ma attiene sempre a un’attività estrinseca e successiva rispetto ad esso (cfr. art. 348 c.p.c.).

Il Tribunale di Perugia, pertanto, non distingue la nozione di «parte» in generale da quella di «parte costituita», attribuisce erroneamente alla contumacia in primo grado riflessi negativi sull’interesse e sulla legittimazione ad impugnare, e infine confonde l’«improcedibilità» dell’impugnazione con l’«inammissibilità».