7 Luglio 2020

Controversie tra utenti e società telefoniche: conseguenze del mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Sez. Un, 28 aprile 2020, n. 8241 Pres. Mammone – Rel. Rubino

Conciliazione – Tentativo obbligatorio di conciliazione – Telecomunicazioni – Condizione di proponibilità della domanda e non di procedibilità – Assenza di una pronuncia in rito conclusiva – Sospensione del giudizio – Fissazione del termine per permettere alle parti di procedere al tentativo

(art. 1, 11° comma, L. 31 luglio 1997, n. 249, art. 1, comma 3, Delib. n. 182/02/CONS)

[1] La mancanza del previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, richiesto per poter dare inizio a una controversia in materia di telecomunicazioni, determina l’improcedibilità della domanda e non la sua improponibilità, con la conseguenza che il giudice, senza emettere una pronuncia in rito, deve sospendere il giudizio e stabilire un termine per consentire alle parti di dar luogo al tentativo suddetto per poi proseguire il giudizio dinanzi a sé.

CASO

Un consumatore conveniva in giudizio Telecom Italia s.p.a. avanti il Giudice di Pace, denunciando la nullità della clausola contrattuale che prevedeva una penale per il recesso anticipato dal contratto di somministrazione del servizio telefonico, in quanto vessatoria. In particolare, richiamava  l’art. 1, comma 3, D.L. 31 gennaio 2007, n. 7 (c.d. decreto Bersani bis) a tutela della libertà di recesso dai contratti con operatori telefonici ed il combinato disposto degli artt. 33 e 36, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo) e, in sede di comparsa conclusionale, gli artt. 1341-1342 c.c..

Telecom, nel costituirsi in giudizio, eccepiva preliminarmente l’improponibilità della domanda per mancato esperimento, prima dell’introduzione del giudizio, dell’obbligatorio tentativo di conciliazione, oltre all’incompetenza territoriale dell’autorità giudiziaria adita.

Il Giudice di Pace, rigettate entrambe le eccezioni, di improponibilità e di incompetenza territoriale, dichiarava la nullità per vessatorietà della clausola contrattuale relativa all’addebito di una penale per l’esercizio anticipato del diritto di recesso dal contratto di utenza telefonica e condannava  Telecom Italia alla restituzione di quanto percepito per tale voce.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado, proponeva appello Telecom Italia, ribadendo le eccezioni di improponibilità della domanda e di incompetenza territoriale, oltre alle difese di merito.

Il Tribunale, accogliendo l’impugnazione, dichiarava improponibile la domanda formulata in primo grado, osservando che, al momento dell’instaurazione del giudizio, era già stato istituito il Co.Re.Com regionale (in tal senso, G. di pace Pozzuoli, 21 luglio 2004; G. di pace Trento, 15 maggio 2006 e 6 agosto 2005), competente a gestire i tentativi di conciliazione in materia di telecomunicazioni sul territorio, ma al quale non erano state ancora delegate le necessarie funzioni. Stabiliva, inoltre, che il tentativo di conciliazione, in attesa dell’operatività della suddetta delega, avrebbe potuto, e dovuto, essere proposto davanti ad altri organismi.

Avverso la sentenza d’appello, il consumatore proponeva ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.

[1] Con il primo, il ricorrente denunciava – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. – la violazione della art. 1, comma 11, L. n. 249 del 1997; art. 1, comma 3, Delib. n. 182/02/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle Telecomunicazioni, dell’art. 3, comma 1 e dell’art. 12 del regolamento di procedura in relazione alle controversie fra organismi di conciliazione ed utenti, adottato con la citata Delib. n. 182/02/CONS. Più in particolare, sosteneva che il Tribunale – non applicando correttamente la suddetta normativa, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 21 febbraio 2012, n. 2536, Cass. 27 giugno 2011 n. 14103) – avesse erroneamente ritenuto che, prima della delega delle funzioni al Co.Re.Com., fosse obbligatorio, per poter proporre una domanda giudiziale in materia di telecomunicazioni, promuovere preliminarmente il tentativo di conciliazione presso organismi alternativi di conciliazione.

[2] Con il secondo motivo – articolato sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 –  il ricorrente denunciava la violazione dell’art. 3, comma 1, del regolamento di procedura in relazione alle controversie fra organismi di conciliazione ed utenti, adottato con Delib. n. 182/02/CONS dell’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni. Nello specifico, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che la controversia rientrasse tra quelle soggette al tentativo di conciliazione, non avendo il ricorrente lamentato la violazione di un diritto o interesse protetti da un accordo privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni. La sentenza gravata non aveva, inoltre, tenuto conto, – secondo il ricorrente – che lo stesso aveva dedotto (non la violazione del citato art. 3, comma 1, ma) la violazione del D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, sulle liberalizzazioni, del Codice di consumo, nonché degli artt. 1341- 1342 c.c..

[3] Con il terzo e ultimo motivo, formulato in via subordinata, il ricorrente denunciava la violazione dell’art. 1, comma 11, L. n. 249 del 1997; art. 3, comma 1, Delib. n. 182/02/CONS, dell’Autorità per le garanzie nelle Telecomunicazioni, dell’art. 4, comma 2 del regolamento di procedura in relazione alle controversie fra organismi di conciliazione ed utenti, adottato con la citata Delib. n. 182/02/CONS. Il consumatore lamentava che il Giudice di appello avesse dichiarato improponibile la domanda formulata in primo grado, anziché dichiararla improcedibile (come affermato da Cass n. 14103/2011), con conseguente assegnazione alle parti di un termine per iniziare il tentativo di conciliazione, salvaguardando in tal modo la validità della domanda giudiziale proposta agli effetti sostanziali e processuali.

Resisteva con controricorso Telecom Italia, che depositava memoria per l’adunanza camerale e successiva memoria per l’udienza dinanzi alla terza Sezione.

La causa, dapprima avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata e, poi, rimessa alla pubblica udienza della terza Sezione civile, veniva rimessa al Primo Presidente, affinché valutasse l’opportunità di sottoporla alle Sezioni Unite, per la presenza di una questione di particolare importanza.

Il Procuratore generale, nelle proprie conclusioni scritte sosteneva, infine, che nelle controversie in materia di telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale

SOLUZIONE 

Accolto il primo motivo di ricorso, le Sezioni Unite cassano con rinvio la sentenza impugnata, chiarendo, in particolare, come il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazioni dia luogo all’improcedibilità e non alla improponibilità della domanda. L’improcedibilità opera, infatti, con salvaguardia degli effetti sia sostanziali che processuali della domanda, e con effetto sospensivo del giudizio. Tale conclusione si ricava sia dalla disciplina delle principali ipotesi di tentativo obbligatorio di conciliazione preesistenti alla introduzione di quello in materia di telecomunicazioni, sia dalla disciplina successiva e generale dettata in materia di mediazione. In tutti questi casi, la mancata instaurazione del procedimento determina un rinvio dell’udienza (per cui restano validi gli atti compiuti e ferme le preclusioni già maturate) a un momento successivo al termine concesso dal giudice per dar luogo o per concludere il tentativo.

QUESTIONI

L’art. 1, comma 11, della L. 31 luglio 1997, n. 249 prevede che, per le controversie che possono insorgere tra utenti o gruppi di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla presentazione delle relativa istanza all’Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione (in dottrina, Calabresi, Sulla conformità al diritto comunitario del tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com. in materia di telecomunicazioni: un test per la nuova mediazione?, in Riv. arbitrato, 2010, 645; Scavonetto, Il tentativo obbligatorio di conciliazione tra utenti del servizio telefonico e imprese fornitrici, in Giur. merito, 2006, 2, 14 ss.).

Tra le numerose norme emanate in materia di sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo, la disposizione richiamata ha introdotto l’obbligo di conciliazione nelle cause in materia di telecomunicazioni senza disciplinarlo in maniera analitica, ma delegando questa attività all’Authority. Tuttavia, la scelta di trasferire a tale istituzione il compito di individuare le controversie assoggettate all’obbligo di conciliazione, con provvedimenti di fonte normativa soltanto secondaria, ha suscitato numerose perplessità. Sul punto va, infatti, ricordato che il Legislatore, negli ultimi anni, ha introdotto una serie di regole volte a limitare l’accesso alla giustizia, vincolando la proponibilità della domanda giudiziale al rispetto di una condizione o di un evento che si verifichi prima e al di fuori dell’introduzione del processo (c.d. giurisdizione condizionata; per maggiori approfondimenti  Comoglio , La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova 1970, 188 e ss.; Trocker, Processo civile e costituzione, Milano 1974, 235 n. 18; Costantino, in Foro it. 1992, I, 1024; Andolina-Vignera, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, Torino 1997, 75).

Tali norme comprimendo il diritto costituzionale all’azione ed alla difesa giudiziale, (artt. 24 e 111 Cost.) hanno carattere del tutto eccezionale e, dunque, devono essere interpretate in chiave rigorosamente restrittiva. E’, quindi, dubbio che tali limitazioni possano essere introdotte, non da leggi, ma da fonti regolamentari, come tali sottratte al diretto potere di intervento (in senso promulgativo o soppressivo) dell’assemblea legislativa.

La questione relativa alla compatibilità con le norme costituzionali di queste forme di giurisdizione condizionata è stata più volte sottoposta all’esame del giudice delle leggi, ottenendone sempre risposta affermativa. Quanto la Corte costituzionale, in argomento, ha professato, è stato, in particolare, che il diritto di accesso alla giustizia non può ritenersi leso quando vi è la possibilità di un’interpretazione del tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di mera procedibilità dell’azione (e non di proponibilità). Il tentativo di conciliazione comporta soltanto un ritardo, una sospensione di durata certa e circoscritta del diritto a ricorrere al giudice naturale. La legge può, infatti, imporre oneri con l’obiettivo di tutelare gli interessi generali e superiori, per garantire un più elevato livello di protezione dei consumatori e promuovere la fiducia dei consumatori, in linea con le raccomandazioni adottate dall’Unione europea (Corte cost., 9 luglio 2008 n. 296 in Resp. civ., 2009, 293)

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, torna ad occuparsi della natura e della funzione del procedimento obbligatorio di conciliazione nelle controversie in materia di telecomunicazioni, richiamando la summa divisio tra i concetti di improcedibilità e di improponibilità della domanda giudiziale (Cass. 8 aprile 2010, n. 8362, Cass. 30 settembre 2008, n. 24334).

In particolare, vi è improcedibilità ogniqualvolta l’attività conciliativa, pretermessa dall’attore nella fase stragiudiziale, possa essere legittimamente recuperata in pendenza del giudizio o tramite un’autonoma e spontanea iniziativa delle parti ovvero su sollecitazione del giudice che, sospeso il processo o rinviato ad altra udienza, assegni ai contendenti un termine perentorio per l’avvio della conciliazione (in tema v .G. di pace Civitanova Marche, 26 giugno 2008, in Dir. Internet, 2008, 499). In buona sostanza, l’improcedibilità è la sanzione comminata alla parte che, incorsa nel vizio della mancata realizzazione di una condizione di decidibilità nel merito della causa, non abbia saputo mettere a frutto lo strumento messole  a disposizione dalla legge per attendere alla sanatoria di quel vizio medesimo.

L’improponibilità, invece, ricorre ove, per contro, nessun termine per la sanatoria o la regolarizzazione del vizio possa essere accordato dal giudice, il quale sarà chiamato ad emettere una pronuncia di mero rito, con cui rigetta per ragioni puramente procedimentali la domanda. Quest’ultima è destinata, pertanto, a produrre unicamente degli effetti di carattere sostanziale.