17 Settembre 2024

Contratto di spedalità e responsabilità della struttura sanitaria, indiretta per fatto del personale medico e diretta per difetto di organizzazione: profili sostanziali e processuali

di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, ord. 15 marzo 2024, n. 7074 – Pres. Travaglino, Rel. Spaziani

Parole chiave: Responsabilità civile – responsabilità medica – contratto di spedalità – responsabilità della struttura sanitaria – responsabilità indiretta per fatto del personale medico – responsabilità diretta per fatto proprio – profili processuali – emendatio e mutatio libelli.

Il titolo della responsabilità della struttura sanitaria non muta a seconda che venga dedotto l’inadempimento delle obbligazioni afferenti alla prestazione sanitaria in senso stretto ovvero di quelle correlate a profili strutturali e organizzativi, trattandosi, in entrambi i casi, di responsabilità diretta per fatto proprio derivante dalla violazione delle regole contrattuali riconducibili al cd. contratto di spedalità.

In tema di responsabilità della struttura sanitaria, la deduzione di profili di colpa diversi e ulteriori rispetto a quelli originariamente allegati, fondati su circostanze emerse all’esito della consulenza tecnica d’ufficio, non integra domanda nuova, poiché non determina alcun mutamento della causa petendi e dell’ambito dell’indagine processuale, non potendo attribuirsi portata preclusiva, in tal senso, alle specificazioni della condotta inizialmente operate dall’attore, il cui onere di allegazione dev’essere rapportato alle informazioni accessibili e alle cognizioni tecnico-scientifiche da lui esigibili, senza imporgli di enucleare specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conoscibili soltanto dagli esperti del settore. (Nella specie – relativa alla responsabilità per la tardiva esecuzione del parto cesareo, che aveva determinato la morte di una neonata venuta alla luce in condizioni di grave insufficienza respiratoria – la S.C. ha escluso che la deduzione, negli atti conclusionali, di fatti di inadempimento emersi all’esito della c.t.u. – quali il malfunzionamento dell’apparecchio cardiotocografico e l’omessa aspirazione del meconio dopo la nascita – integrasse un mutamento del titolo della domanda rispetto all’iniziale allegazione della colpa dei sanitari nei termini di omessa effettuazione dei dovuti controlli nella fase antecedente al parto).

Disposizioni applicate:

Artt. 1174, 1218, 1228 c.c.; artt. 116, 163, 183 c.p.c.

CASO

I genitori di una neonata deceduta durante il parto promuovono azione di responsabilità civile nei confronti della struttura ospedaliera che aveva accolto la gestante lamentando profili di malpractice consistenti nell’omessa attività di vigilanza e di monitoraggio delle condizioni fetali nel lasso temporale anteriore al taglio cesareo e nella ritardata esecuzione dell’intervento stesso.

Il Tribunale, con sentenza confermata in appello, rigetta la domanda contestando agli attori la mutatio libelli: in seguito all’espletamento della c.t.u., essi avevano invero imputato il decesso della figlia al malfunzionamento dell’apparecchio cardiotocografico (con conseguente impossibilità di eseguire il controllo delle condizioni fetali) e all’omessa aspirazione del mecomio, circostanze mai allegate tra i fatti costitutivi del diritto azionato, così introducendo in giudizio, secondo i giudici di merito, un nuovo tema di indagine diretto ad alterare l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia.

Gli attori propongono ricorso in Cassazione, dolendosi dell’assunto del giudice di appello secondo cui il malfunzionamento dell’apparecchio cardiotocografico e l’omessa aspirazione del mecomio dopo la nascita non corrisponderebbero ai fatti allegati nella domanda introduttiva del giudizio e integrerebbero, sul piano processuale, una inammissibile mutatio libelli, incompatibile con il divieto di nova operante dopo il maturare della barriera preclusiva di cui all’art. 183 c.p.c.

SOLUZIONE

La Cassazione accoglie il ricorso, annullando con rinvio la sentenza di appello.

Dopo avere rimarcato che le allegazioni degli attori avevano trovato riscontro negli accertamenti peritali eseguiti in primo e in secondo grado, la Suprema Corte sviluppa le seguenti riflessioni a supporto della propria decisione.

Innanzitutto si mette in evidenza che, nell’ipotesi in cui il paziente alleghi di aver subìto danni in conseguenza di una attività svolta dal medico all’interno di una struttura sanitaria in esecuzione della prestazione che forma oggetto del rapporto obbligatorio tra quest’ultima e il paziente, la responsabilità del nosocomio va qualificata in termini di responsabilità contrattuale in quanto discende dall’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria, che il debitore, i.e. la struttura, deve adempiere personalmente, rispondendone ex art. 1218 c.c., ovvero mediante il personale sanitario, rispondendone ai sensi dell’art. 1228 c.c.

Peraltro, la distinzione, nell’ambito del contratto atipico di spedalità, tra obbligazioni adempiute personalmente e obbligazioni adempiute per il tramite del personale medico assume rilievo classificatorio con riguardo al contenuto della prestazione di volta in volta erogata, ma in realtà non corrisponde un diverso titolo di responsabilità, in quanto l’inadempimento delle prime, al pari di quello delle seconde, si traduce nella violazione della medesima regola contrattuale stipulata tra le parti in forza, per l’appunto, del contratto di spedalità. Del resto, lo stesso riferimento all’art. 1228 c.c. va inteso non nel senso in cui tradizionalmente è stata intesa la fattispecie della responsabilità per il fatto degli ausiliari, vale a dire quale fattispecie di responsabilità oggettiva per fatto altrui, bensì nel senso di responsabilità per fatto proprio e, dunque, soggettiva e diretta: la distinzione tra obbligazioni adempiute personalmente e obbligazioni adempiute per il tramite del personale sanitario risulta difatti imprecisa sia per eccesso che per difetto, atteso, da un lato, che tutte le obbligazioni della struttura, quale formazione entificata, non possono che essere adempiute per il tramite delle persone fisiche che agiscono per essa, e, dall’altro lato, che le condotte del personale sanitario, ove riguardate come fatti di adempimento (o di inadempimento) dell’obbligazione derivante dal contratto di spedalità, vanno imputate non alle persone fisiche che ne sono autrici, bensì direttamente alla struttura sanitaria.

Alla luce di tali considerazioni, emerge allora con evidenza l’erroneità del giudizio espresso dalla Corte territoriale circa il presunto mutamento del titolo di responsabilità fondato sulla pretesa diversità soggettiva della condotta inadempiente rilevata all’esito degli accertamenti peritali rispetto a quella originariamente dedotta dagli attori.

L’operata distinzione del malfunzionamento dell’apparecchio cardiotocografico (quale inadempimento imputabile direttamente alla struttura) dalle omissioni contestate al personale sanitario (di cui la struttura stessa avrebbe potuto rispondere solo indirettamente), infatti, non solo non tiene conto della generale imputabilità delle condotte attive ed omissive del personale sanitario alla struttura che per il suo tramite adempie alle proprie obbligazioni, ma trascura pure di considerare la sostanziale sovrapponibilità tra le circostanze dedotte negli atti conclusionali all’esito delle consulenze tecniche e quelle originariamente allegate dagli attori, in quanto questi ultimi, tra le altre mancanze rimproverate alla convenuta, avevano denunciato proprio quella dell’omessa effettuazione dei controlli (anche) cardiotocografici da parte del personale sanitario nella fase antecedente al parto, pur non precisando – evidentemente perché non ne erano al corrente – la causa di tale specifica omissione, poi riscontrata dai consulenti nel malfunzionamento dell’apposito apparecchio.

Analoghi rilievi di illegittimità vengono poi mossi con riguardo al giudizio della Corte territoriale secondo cui i fatti emersi all’esito delle indagini peritali dedotti dagli attori-appellanti negli atti conclusionali del primo e del secondo grado (in particolare, il malfunzionamento dell’apparecchio cardiotocografico e l’omessa aspirazione del mecomio dopo la nascita) avrebbero integrato un mutamento del titolo della domanda, incompatibile con il divieto di nova operante dopo la maturazione della barriera preclusiva di cui all’art. 183 c.p.c.

Tale giudizio, infatti, non tiene conto dei limiti dell’onere processuale di allegazione, il quale, in via generale e particolarmente in relazione alle azioni di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni professionali, deve essere circoscritto ai fatti conosciuti e conoscibili dalla parte, in ragione delle informazioni ad essa accessibili ed alle cognizioni tecnico-scientifiche esigibili.

Con precipuo riferimento alle fattispecie di responsabilità sanitaria, ciò significa che, pur gravando sull’attore l’onere di allegare i profili concreti di colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge fino alla necessità di indicare specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore, essendo sufficiente la contestazione dell’aspetto colposo dell’attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizioni ordinarie in ordine all’attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario. Pertanto, nelle vicende in cui – come quella in esame – venga domandato in giudizio il risarcimento del danno derivato dalla morte di un neonato provocata da condotte colpose asseritamente poste in essere dai sanitari prima e durante il parto, non costituisce inammissibile mutamento della domanda la circostanza che l’attore, dopo avere allegato nell’atto introduttivo che l’errore del sanitario sia consistito nell’omessa esecuzione dei controlli pre-parto e nella ritardata esecuzione del taglio cesareo, nel concludere, oltre a precisare le cause della prima omissione in conformità agli esiti degli accertamenti peritali, si limiti ad allegare l’ulteriore omissione, questa appresa in seguito alla consulenza tecnica espletata e di cui per l’innanzi non aveva alcuna notizia, consistente nell’asserita violazione delle linee guida in ordine alla condotta da tenere nell’immediata fase post-parto. In siffatte ipotesi, invero, il fatto costitutivo del diritto azionato, idoneo ad individuare la causa petendi della domanda e a delimitare l’ambito dell’indagine processuale, resta immodificato nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall’attore, possano avere portata preclusiva, avuto riguardo alla necessità di circoscrivere l’onere di allegazione tenendo conto delle informazioni accessibili e delle cognizioni tecnico-scientifiche esigibili da parte del danneggiato.

QUESTIONI

La dottrina e la giurisprudenza in tema di responsabilità della struttura sanitaria riconoscono ormai da tempo, in maniera pacifica, che quest’ultima può andare incontro, oltre e anche a prescindere dalla responsabilità indiretta per le condotte del personale medico operante al suo interno, ad una diretta e autonoma responsabilità per c.d. difetto di organizzazione che discende dall’inadempimento dell’obbligo, scaturente in capo al nosocomio in virtù del contratto di spedalità intercorrente con i malati, avente per oggetto la predisposizione di un contesto organizzativo di livello adeguato nel quale accogliere gli assistiti, ai quali vanno in quest’ottica garantite prestazioni quali la sicurezza dell’ambiente ospedaliero, degli strumenti e dei prodotti utilizzati per le cure, la protezione dei malati privi della capacità di autotutela, la disponibilità di risorse umane e materiali adeguate sia dal punto di vista quantitativo che sul piano qualitativo, l’adozione delle misure atte a consentire l’esercizio del diritto all’autodeterminazione da parte del paziente, e così via.

La responsabilità della struttura per difetto di organizzazione può tanto accompagnarsi ad una condotta negligente dei singoli professionisti coinvolti – come nel caso di specie – quanto prescindere da quest’ultima e costituire, quindi, l’unico fattore causale che ha prodotto la lesione sofferta dal paziente danneggiato. Com’è stato messo in luce dalla più attenta dottrina, il deficit organizzativo dell’ente ospedaliero può inoltre “innescare” l’errore del personale medico e paramedico, pure in ipotesi nelle quali parrebbe prima facie sussistere soltanto una negligenza, magari anche particolarmente grave, degli operatori.

Al riguardo, merita di essere pure sottolineato che, essendo i doveri organizzativi dell’ospedale inquadrabili nell’ambito delle c.d. obbligazioni di risultato, la responsabilità che consegue alla loro inosservanza è per lo più ricostruita impiegando, in luogo del criterio della colpa utilizzata per valutare la responsabilità individuale del medico per inadempimento di c.d. obbligazioni di mezzi, un più rigido parametro di natura oggettiva, incompatibile pure con l’art. 2236 c.c., che addossa all’ente nosocomiale il rischio dell’inadempimento derivante da tutte le anomalie che si possano verificare nell’ambito del proprio apparato organizzativo fino al limite dell’impossibilità sopravvenuta non imputabile (su questi temi v., per tutti, M. Faccioli, La responsabilità civile per difetto di organizzazione delle strutture sanitarie, Pacini Giuridica, 2018).

Sotto il profilo processuale, occorre invece evidenziare che nella giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità sanitaria si registrano orientamenti divergenti circa la possibilità per l’attore di modificare i fatti costituitivi della domanda.

Secondo un primo indirizzo, nel giudizio di risarcimento del danno derivato da colpa medica non costituirebbe inammissibile mutamento della domanda la circostanza che l’attore, dopo avere allegato nell’atto introduttivo che l’errore del sanitario sia consistito nell’imperita esecuzione di un intervento chirurgico, nel concludere alleghi, invece, che l’errore sia consistito nell’inadeguata assistenza postoperatoria, dovendosi considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l’ambito dell’indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall’attore, possano avere portata preclusiva, attesa la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato (Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2012, n. 13269). Nello stesso senso è stato pure affermato che, nel giudizio di responsabilità per inadempimento contrattuale del professionista, non costituirebbe mutamento della domanda, ma semplice emendatio libelli, l’allegazione di profili di inadeguatezza della prestazione diversi da quelli inizialmente prospettati, restando immutato il fatto giuridico invocato a causa petendi del risarcimento (Cass. civ., sez. II, 26 agosto 2014, n. 18275).

Secondo un diverso orientamento, invece, è stato ritenuto che, in tema di responsabilità medica, qualora sia proposta domanda di risarcimento dei danni per l’inesatta esecuzione di un intervento chirurgico, la sentenza che condanna al risarcimento in ragione dell’erronea valutazione riguardo alla sua necessità violerebbe il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato perché, vertendosi in materia di diritti eterodeterminati, porrebbe a fondamento della sentenza una causa petendi diversa da quella allegata dall’attore (Cass. civ., sez. III, 30 gennaio 2023, n. 2719). Alla luce di tale indirizzo, in ipotesi di domanda risarcitoria la cui causa petendi non sia stata modificata nel rispetto del regime delle preclusioni processuali, il giudice non potrebbe pronunciare su di essa ponendovi a fondamento fatti materiali non allegati tempestivamente dalla parte, pena la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), che è a presidio dei principi, fondamentali, del contraddittorio e della difesa in giudizio (art. 24 Cost.); e tanto varrebbe anche per i fatti acquisiti al giudizio in base alle risultanze di una c.t.u., ove per l’appunto si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare quale ragione della domanda configurandosi, altrimenti, una nullità assoluta, rilevabile d’ufficio o, in difetto, da farsi valere come motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 161, comma 1°, c.p.c. (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2022, n. 3086).

La pronuncia in esame sembra aderire al primo dei due orientamenti che si è appena finito di tratteggiare, nella misura in cui afferma che, pur gravando sull’attore l’onere di allegare i profili concreti di colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore, essendo sufficiente la contestazione dell’aspetto colposo dell’attività medica, secondo quelle che si ritengono essere i profili di responsabilità del sanitario, dovendosi considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l’ambito dell’indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall’attore, possano avere portata preclusiva (Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2012, n. 13269).

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Responsabilità civile in ambito sanitario