Contratto di mediazione immobiliare e corrispettivo spettante al mediatore per il recesso del proprietario
di Valerio Sangiovanni, Avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione, Sezione 2, n. 19565 del 18 settembre 2020
Parole chiave
Contratto di mediazione – Provvigione del mediatore – Recesso dal contratto – Corrispettivo per il recesso – Vessatorietà della clausola sul corrispettivo
Massima
La clausola che attribuisca al mediatore immobiliare un corrispettivo, in caso di recesso del proprietario dell’immobile dal contratto di mediazione, può considerarsi vessatoria quando il corrispettivo pattuito per il recesso è predeterminato nel suo ammontare ed è dunque svincolato dall’attività effettivamente svolta dal mediatore.
Disposizioni applicate
Art. 1755 c.c. (provvigione nella mediazione), art. 1373 c.c. (recesso unilaterale dal contratto), art. 33 cod. cons. (clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore)
CASO
Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19565 del 2020 in commento può essere così riassunto. I proprietari di un immobile si rivolgono a un mediatore, affidandogli l’incarico di trovare un acquirente per il proprio immobile. Viene dunque concluso un contratto di mediazione.
Il contratto di mediazione prevede che ciascuna parte (ossia i proprietari dell’immobile, da un lato, e il mediatore, dall’altro) possa recedere anticipatamente rispetto alla durata prevista in contratto dell’incarico, pagando alla controparte un corrispettivo pari all’1% del valore dell’immobile. L’immobile venne valutato € 410.000 da parte del medesimo mediatore.
Pochi giorni dopo la conclusione del contratto di mediazione, i proprietari comunicano al mediatore di recedere dal contratto di mediazione. Il motivo che li spinge a questa scelta è che avevano ottenuto due altre valutazioni dell’immobile da parte di altri mediatori immobiliari, i quali avevano attribuito all’immobile un valore più alto (ossia di € 440.000). I proprietari, ritenendosi non ben tutelati dal primo mediatore immobiliare cui avevano conferito l’incarico (per avere il mediatore sottovalutato l’immobile rispetto al suo reale valore), recedono dal contratto di mediazione.
Il mediatore si avvale dunque della clausola che prevede un corrispettivo in caso di recesso, si rivolge al giudice e ottiene decreto ingiuntivo di pagamento contro i proprietari per l’importo di € 4.100 (e dunque nella misura dell’1% del valore dell’immobile). I proprietari fanno opposizione al decreto ingiuntivo e la questione giunge infine all’attenzione della Corte di Cassazione.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ritiene che la clausola del contratto che prevede un corrispettivo in caso di recesso configuri una clausola vessatoria. La vessatorietà della clausola risiede nel fatto che il corrispettivo per il caso di recesso anticipato è slegato dalla quantità e qualità del lavoro svolto dal mediatore. Conseguentemente la Corte di Cassazione cassa la sentenza della Corte di Appello.
QUESTIONI
Gli articoli centrali per la soluzione del caso sono l’art. 1755 c.c. sulla provvigione del mediatore, l’art. 1373 c.c. sul recesso unilaterale dal contratto nonché l’art. 33 cod. cons. sulle clausole vessatorie nel contratto fra professionista e consumatore
L’art. 1755 c.c. comma 1 prevede che “il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”. Nell’ambito delle compravendite immobiliari, l’affare che fa sorgere il diritto alla provvigione può essere anche la conclusione di un contratto preliminare, comunque denominato. Difatti il contratto preliminare genera l’obbligo di addivenire alla conclusione del contratto definitivo. Trattandosi di un vincolo per promittente venditore e promissario compratore, esso basta – secondo la giurisprudenza – per fondare il diritto del mediatore alla provvigione. In altre parole, il mediatore ha svolto il suo lavoro – consistente nel mettere in contatto le parti che hanno concluso un affare – cosicché può pretendere la provvigione anche prima del rogito notarile.
Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione in commento, non si trattava – tuttavia – di un contenzioso relativo al diritto del mediatore alla provvigione, bensì del diritto a un corrispettivo in caso di recesso. Nel disciplinare il diritto di recesso unilaterale, la legge stabilisce che “qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita” (art. 1373 comma 3 c.c.). Le parti sono dunque libere di prevedere sia la facoltà di recesso sia un eventuale corrispettivo per tale facoltà.
Il problema specifico che si è posto nel caso trattato dalla Corte di Cassazione è se la clausola che prevede un corrispettivo per il recesso nei contratti con i consumatori sia o meno vessatoria. Come è noto, l’art. 33 cod. cons. contiene un lungo elenco di clausole vessatorie. Fra le tante fattispecie previste dal legislatore, si presume vessatoria la clausola che ha per oggetto o per effetto di “consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere” (art. 33 comma 2 lett. e cod. cons.).
Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione era previsto un corrispettivo dell’1% in caso di recesso sia per i proprietari dell’immobile sia per il mediatore. Sotto questo profilo, la clausola non può considerarsi vessatoria, in quanto le posizioni delle parti sono equilibrate.
Ciò nonostante, la Corte di Cassazione conclude per la vessatorietà della clausola. Il profilo problematico della clausola consiste nel fatto che, una volta dichiarato il recesso, il corrispettivo del mediatore è fisso e indipendente dall’attività concretamente svolta. La Cassazione ricostruisce la funzione del corrispettivo in caso di recesso: ricompensare la parte che subisce il recesso per l’attività svolta fino al momento del recesso. Se l’affare si conclude, il mediatore percepisce la provvigione, a ricompensa degli sforzi profusi per trovare un acquirente per l’immobile. Se invece i proprietari recedono dal contratto di mediazione, l’attività nel frattempo svolta dal mediatore perde di qualsiasi utilità, divenendo impossibile la conclusione della compravendita immobiliare. In quest’ultimo scenario, è ragionevole che si preveda un corrispettivo per il recesso: il mediatore non ottiene la provvigione, ma consegue quantomeno un importo diverso – a titolo di corrispettivo per il recesso – volto a remunerare l’attività svolta prima del recesso.
Ferma restando dunque la legittimità della pattuizione di un compenso per il recesso, ciò che la Corte di Cassazione va a sindacare è l’ammontare di tale compenso in relazione all’attività concretamente svolta dal mediatore. Secondo la Corte di Cassazione vi è l’esigenza di garantire, nei contratti a prestazioni corrispettive come il contratto di mediazione (anche “atipica”), il rispetto del sinallagma contrattuale, dovendo trovare la prestazione di una parte il proprio fondamento nella controprestazione, al fine di evitare il ricorrere di situazioni di indebito arricchimento ai danni del contraente debole.
In relazione al breve lasso temporale intercorrente fra la conclusione del contratto e l’esercizio del diritto di recesso (otto giorni nel caso di specie), va valutata quale sia stata l’attività effettivamente svolta dal mediatore. La Corte di Cassazione ritiene che la clausola contrattuale che riconosce il diritto al corrispettivo in via automatica in un importo predeterminato, se svincolata dall’effettivo svolgimento dell’attività di ricerca dei terzi interessati all’affare, conduce al risultato di costruire a favore del mediatore immobiliare una rendita di posizione, andando a incidere negativamente sull’equilibrio contrattuale nel rapporto fra professionista e consumatore.
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