3 Novembre 2020

Contratto atipico: interpretazione e disciplina applicabile

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2020, n. 14243 – Pres. Graziosi – Rel. Cricenti

Parole chiave: Contratto – Elementi ulteriori rispetto a quelli caratterizzanti il tipo legale – Atipicità – Disciplina applicabile – Assorbimento o prevalenza – Interpretazione – Norme sul contratto in generale

[1] Massima: Il contratto che, rispetto alle fattispecie negoziali tipiche, preveda regole dirette a tutelare interessi diversi e ulteriori e, per tale motivo, presenti una diversità di contenuto che si ripercuote sugli effetti del negozio, deve considerarsi atipico e la sua disciplina non deve per forza essere ricondotta a quella di uno dei tipi contrattuali legali, come tale inidonea a tenere conto di tutti gli interessi ai quali le parti hanno inteso dare rilievo, essendo necessario fare riferimento alle norme sul contratto in generale.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1322, 1362, 1363, 1366, 1367

CASO

Due società concludevano un contratto avente per oggetto la concessione in godimento di un terreno su cui doveva essere realizzato un impianto di distribuzione di carburanti; il contratto prevedeva, da un lato, un canone fisso minimo e una parte variabile a favore della società locatrice (commisurata alla quantità di carburante immessa nei serbatoi del futuro impianto) e, dall’altro lato, un diritto di recesso ad nutum a favore della società conduttrice.

Quest’ultima, avendo rinunciato alla realizzazione dell’impianto, nonostante avesse ottenuto le necessarie autorizzazioni amministrative, comunicava la propria volontà di recedere alla locatrice, che, sul presupposto che tale decisione (motivata dalle mutate condizioni del mercato, che non rendevano più conveniente l’operazione) integrasse un inadempimento, agiva in giudizio per fare accertare la risoluzione del contratto e ottenere il risarcimento del danno.

Mentre in primo grado, in accoglimento della domanda proposta dalla società locatrice, veniva ravvisato l’inadempimento della conduttrice, nel giudizio di appello veniva riconosciuta la legittimità del recesso esercitato da quest’ultima, sul presupposto che la realizzazione dell’impianto non costituisse un obbligo a suo carico.

La locatrice proponeva, quindi, ricorso per cassazione, lamentando che i giudici di secondo grado avessero erroneamente escluso che la realizzazione dell’impianto di distribuzione di carburanti prevista dal contratto integrasse un vero e proprio obbligo per la conduttrice e che questa, non avendovi dato corso, si fosse resa inadempiente.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, censurando la qualificazione del contratto come mera locazione di terreno, che, secondo i giudici di secondo grado, contemplava, come tale, una facoltà – e non un obbligo – per la società conduttrice di realizzare un impianto di distribuzione di carburanti, vieppiù che non era stato fissato un termine per l’adempimento.

QUESTIONI

Il caso esaminato dalla sentenza che si annota presenta notevoli profili di interesse, perché propone un’originale ricostruzione del procedimento ermeneutico da adottare allorquando ci si trovi in presenza di un contratto che, pur apparentemente riconducibile a uno degli schemi negoziali tipici, presenta aspetti peculiari, che riflettono la volontà delle parti di dare rilievo a interessi ulteriori rispetto a quelli che trovano riscontro nella disciplina di un determinato contratto tipico.

Nel ricostruire il ragionamento svolto nella sentenza impugnata onde dimostrarne l’incongruenza, i giudici di legittimità hanno osservato come la corte di appello avesse ritenuto assorbente la circostanza per cui, integrando il contratto concluso dalle parti una tipica locazione di terreno, la realizzazione dell’impianto di distribuzione di carburanti non poteva considerarsi un obbligo per la conduttrice (in quanto esulante dal novero di quelli che la legge pone a carico del locatario), ma una facoltà, sicché la facoltà di recesso – contrattualmente prevista – era stata legittimamente esercitata prima che l’opera fosse realizzata.

La pronuncia gravata, dunque, si fondava, da un lato, sul presupposto che il rapporto intercorso tra le parti fosse un tipico contratto di locazione, nel quale non assume rilievo l’interesse del locatore a che il conduttore utilizzi effettivamente il bene locato, realizzandovi le opere per le quali ne ha assunto il godimento e, dall’altro lato, sulla conseguente esclusione di un obbligo della società conduttrice di realizzare l’impianto di carburante.

Tale ricostruzione ermeneutica, secondo i giudici di legittimità, sconta, tuttavia, un uso improprio dei criteri di interpretazione del contratto.

Come risulta dalla sentenza che si annota, infatti, la valutazione del contratto concluso dalle due società – in cui la locatrice aveva ceduto il godimento del terreno per ricevere il pagamento di un canone minimo, oltre a una eventuale maggiorazione (in caso di realizzazione dell’impianto) – in termini di locazione, riflette una tendenza tipizzante, che, a fronte di un negozio che presenta alcuni elementi di un tipo contrattuale e alcuni propri di un altro, non qualifica l’operazione come atipica, ma la riconduce esclusivamente a uno dei due tipi, attraverso il criterio della prevalenza o dell’assorbimento.

In effetti, secondo la giurisprudenza prevalente, la disciplina giuridica del contratto misto (per tale intendendosi quello che risulta dalla combinazione di più prestazioni caratteristiche di diversi tipi contrattuali, che assumono pari rilevanza causale, non potendosi riconoscere la prevalenza dell’una rispetto all’altra) va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti, senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l’ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente (in  questo senso, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2019, n. 26485 e Cass. civ., Sez. Un., 12 maggio 2008, n. 11656).

Questo orientamento, per quanto consolidatosi nel tempo, non è rimasto scevro da critiche, che fanno leva soprattutto sulle incertezze e sulle difficoltà insite nell’individuazione della figura prevalente e sul rischio di frustrare e comprimere oltre misura la libertà contrattuale delle parti, imponendo un assetto d’interessi diverso da quello che le stesse avevano inteso realizzare. Svalutando gli elementi che restano assorbiti a vantaggio di quelli ritenuti prevalenti, è possibile che i risultati avuti di mira dalle parti non possano, di fatto, realizzarsi, quantunque alle diverse prestazioni debba riconoscersi pari rilevanza causale.

In questo senso, la prospettiva fatta propria nella sentenza che si annota, che valorizza il requisito dell’atipicità per emancipare il contratto dalla disciplina di uno dei tipi legali ai quali risulta accostabile, consente di impostare il problema in termini meno rigidamente precostituiti.

In linea generale, si considera atipico il contratto che non rientra in uno dei tipi legali, o che presenta, rispetto a quelli più prossimi, regole poste a tutela di interessi diversi e ulteriori, che esplicano la loro rilevanza quanto agli effetti.

Nel caso di specie, la clausola contrattuale che prevedeva il recesso della società conduttrice consentiva l’esercizio della relativa facoltà fino al primo rifornimento di carburante; per tale ragione, secondo la società ricorrente, la realizzazione dell’impianto di distribuzione del carburante rappresentava un elemento qualificante dell’operazione negoziale e veniva, dunque, a integrare un vero e proprio obbligo per la conduttrice, quantunque non fosse stato espressamente previsto un termine per il suo adempimento (potendosi comunque ricavarlo in via interpretativa).

Per i giudici di appello, invece, poiché nel contratto andava ravvisata una semplice locazione di terreno, un tale obbligo non poteva discendere in capo alla conduttrice.

Tuttavia, nella circostanza per cui l’accordo prevedeva non solo il godimento del terreno dietro corrispettivo (che rappresenta il contenuto tipico della locazione), ma anche la spettanza alla società locatrice di un ulteriore aggio in vista della realizzazione dell’impianto di distribuzione di carburanti, si sarebbe dovuto individuare un interesse (ulteriore rispetto alla concessione in godimento dietro corrispettivo) alla partecipazione del proprietario del terreno alla futura attività di distribuzione, attraverso il percepimento di una percentuale sul carburante immesso in deposito, tale da escludere che si potesse parlare sic et simpliciter di locazione.

Si trattava, cioè, di un contenuto negoziale che andava oltre quello tipico della locazione, propositivo di uno specifico interesse, facente capo ad ambo le parti, che si traduceva nell’obbligo della società conduttrice di riconoscere a quella locatrice un aggio sul volume di carburante lavorato.

Questo ampliamento di contenuto rendeva il contratto atipico, ossia tale da non poter essere compiutamente ricondotto nell’ambito della disciplina applicabile alla locazione di terreno, giacché, diversamente, solo alcuni degli interessi ai quali le parti avevano attribuito rilievo avrebbero potuto trovare compiuta ed effettiva esplicazione, tradendo la reale volontà sottesa alla vicenda negoziale.

Nella fattispecie esaminata, dunque, l’errore è consistito nel ricondurre un’operazione connotata da profili di atipicità a una mera locazione e nell’applicarvi la disciplina dettata per il contratto tipico al quale è stata accostata, anziché le norme sul contratto in generale, trascurando di considerare l’interesse del locatore all’effettivo utilizzo del bene da parte del conduttore, ossia alla realizzazione dell’impianto di distribuzione di carburanti, al fine di lucrare un ulteriore aggio.

Ponendosi nella prospettiva del contratto atipico, dall’accordo concluso dalle parti emergeva l’interesse della società locatrice a un facere del conduttore – sotto il profilo dell’utilizzo del terreno per la realizzazione del distributore – ulteriore rispetto alle prestazioni previste dal modello legale della locazione, diretto alla maturazione del diritto di percepire un aggio in relazione al volume di carburante immesso.

Secondo i giudici di legittimità, quindi, l’interesse alla utilizzazione effettiva del bene, esclusa dalla corte d’appello come conseguenza della riconduzione dell’operazione negoziale alla locazione, doveva essere valorizzata, facendo emergere l’esistenza, in capo alla società conduttrice, di un’autonoma e specifica obbligazione di facere convenuta anche nell’interesse del proprietario.

A tale ricostruzione non era di ostacolo la circostanza per cui il contratto non prevedeva un termine di adempimento, in quanto lo si poteva senz’altro ricavare in base alla natura della prestazione richiesta, ovvero considerando lo spazio di tempo trascorso dalla conclusione del contratto per verificare il superamento di ogni limite di normale tolleranza.

Per giudicare, quindi, circa la legittimità del recesso della società conduttrice (che la corte di appello aveva affermato escludendo la sussistenza di un obbligo di realizzare l’impianto e, conseguentemente, la possibilità di ravvisare una sua violazione), si sarebbe dovuto valutare se, in tale momento, in base alla natura della prestazione e all’interesse delle parti, la prestazione dovuta (ossia l’utilizzo del terreno conformemente alla volontà tradotta nel contratto, consistente nell’effettiva realizzazione dell’impianto) poteva ancora essere eseguita o se, al contrario, l’inadempimento si fosse già concretizzato.