Contratto di assicurazione: clausole polisenso e tutela dell’assicurato
di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez.VI, ord. 23.09.2021 n. 25849 – Pres. Amendola – Rel. Cricenti
Contratto di assicurazione – Interpretazione del contratto – Clausole ambigue – Dubbio interpretativo – Interpretatio contra stipulatorem.
(artt. 1362 c.c., 1370 c.c., 1917 c.c.)
[1] Nell’interpretazione del contratto di assicurazione, che va redatto in modo chiaro e comprensibile, il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettura, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss. e, in particolare, a quello dell’interpretazione contro il predisponente, di cui all’art. 1370 c.c.; tale articolo ha una precisa ragione: se la clausola è predisposta da un solo contraente, la scarsa chiarezza del testo va imputata a costui, non avendo l’altro contraente dato alcun contributo alla redazione.
CASO
Una donna, a seguito delle lesioni subìte a causa del cane del figlio che, svincolatosi improvvisamente dal guinzaglio, l’aveva fatta cadere in terra, avanzava una richiesta di risarcimento dei danni patiti alla compagnia assicurativa, cui il figlio aveva chiesto di garantire la copertura dei danni arrecati dall’animale a terzi.
La compagnia, tuttavia, rifiutava il risarcimento, eccependo che il danno ai genitori del contraente il contratto di assicurazione era da ritenersi escluso dalla copertura.
Pertanto, la donna citava in giudizio il figlio, il quale a sua volta chiamava in garanzia la compagnia assicurativa per essere manlevato; quest’ultima si costitutiva, ribadendo la medesima eccezione.
Il Giudice di prime cure accoglieva la domanda risarcitoria dell’attrice, sul presupposto che l’art. 24 delle condizioni di polizza escludeva dalla copertura soltanto i genitori conviventi con il figlio (convivenza che non sussisteva nel caso di specie).
La Corte d’appello riformava integralmente la sentenza di primo grado, affermando che i genitori non debbano considerarsi terzi danneggiati, a prescindere dalla convivenza o non con il figlio, e che, pertanto, debbano ritenersi in ogni caso esclusi dalla copertura.
La danneggiata proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, facendo valere violazione degli artt. 1362, 1363 e 1370 c.c.
SOLUZIONE
L’ambiguità e poca chiarezza delle condizioni di polizza, nonché di tutte le clausole standard inserite in moduli o formulari, predisposte dall’assicuratore devono rimanere a carico del predisponente, dovendosi tutelare l’affidamento dell’altro contraente rispetto al significato che si poteva legittimamente attendere dalla sua redazione.
QUESTIONI
Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte analizza la delicata questione dell’interpretazione delle clausole predisposte da uno dei contraenti a sfavore dell’altro e delle conseguenze in caso di ambiguità o poca chiarezza delle clausole medesime.
Con il primo motivo di ricorso, la danneggiata (madre del proprietario del cane ma non convivente con il figlio) lamentava che la Corte di merito aveva disatteso il criterio letterale di interpretazione del contratto, secondo cui avrebbe dovuto dedursi che l’esclusione dalla copertura assicurativa riguarda tutti i parenti, purché conviventi, e che, di conseguenza, la copertura opera allorquando il danno venga cagionato a tutti i parenti, e dunque, anche ai genitori, non conviventi, come nel caso di specie.
Inoltre, la gravata sentenza avrebbe disatteso le regole di interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 ss. c.c., giacché la Corte di merito si sarebbe limitata ad un’interpretazione letterale, senza tenere conto della ratio della clausola contenuta nelle condizioni di polizza, cioè quella di escludere la copertura assicurativa laddove il rischio di danno sia maggiore, vale a dire in caso di convivenza.
Infine, secondo la danneggiata-ricorrente, il Giudice di seconde cure si sarebbe limitato ad una lettura superficiale delle condizioni di polizza, disattendendo il disposto dell’art. 1370 c.c., in base al quale le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari, predisposte da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro.
In altre parole, in caso di dubbio interpretativo su clausole ambigue o polisenso, si deve propendere per un significato sfavorevole al predisponente ed a favore dell’aderente.
Di conseguenza, nel caso specifico, in applicazione dell’art. 1370 c.c., l’esclusione riguarderebbe tutti i parenti, purché conviventi, e quindi se il danno è recato ai genitori non conviventi, esso deve essere risarcito.
Il nodo gordiano della vicenda è rappresentato dalla clausola della polizza assicurativa che individua i soggetti che non sono considerati terzi, e dunque non coperti da polizza, elencandoli in “il coniuge, i genitori, i figli delle persone di cui al punto a), gli altri parenti ed affini con loro conviventi, nonché gli addetti ai servizi domestici”.
Si pone il quesito di stabilire a chi vada riferito l’attributo “conviventi”, decisivo per escludere o meno la copertura assicurativa.
Secondo la sintassi corretta, l’attributo “conviventi” andrebbe riferito soltanto a parenti ed affini, che vengono menzionati subito prima.
Secondo, invece, un’interpretazione che tenga conto del significato complessivo della clausola, la convivenza riguarderebbe tutti i soggetti menzionati, compresi i genitori, essendo, peraltro, la convivenza un fattore di aumento del rischio di danno.
La Corte d’appello ha aderito ad un’interpretazione letterale della clausola, sostenendo che la collocazione del termine “conviventi”, posto dopo “altri parenti ed affini”, induca a ritenere che esso si riferisca soltanto a tale categoria di soggetti e non anche ai genitori conviventi. Sulla base di tale interpretazione, pertanto, la Corte di merito ha riformato la sentenza di primo grado.
Tale interpretazione letterale della clausola è, tuttavia, avulsa dalla ratio sottesa alla medesima, cioè quella di escludere la copertura quando il rischio è maggiore (nel caso della convivenza, appunto).
La Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, attraverso un ragionamento logico-interpretativo, ritiene fondato il motivo di ricorso, affermando che se è vero che la tesi, secondo la quale la convivenza è rilevante solo con riferimento “agli altri parenti ed agli affini”, con esclusione quindi dei genitori, che non sono mai terzi, siano essi conviventi o non con il danneggiante, trova il suo fondamento nel criterio testuale e nel senso letterale delle parole, è altrettanto vero che tale tesi può essere disattesa dallo stesso argomento testuale, osservando che il riferimento alla convivenza, pur essendo posto alla fine dell’elenco dei soggetti esclusi, può riferirsi a tutti e non solo a quelli da ultimo menzionati e che, comunque, la norma esclude dai danneggiati assicurati i domestici, esclusione che è dovuta non al rapporto di parentela con il danneggiante ma, appunto, alla convivenza con quest’ultimo.
Orbene, pur essendo pacifico che, in tema di interpretazione dei contratti, è prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole di cui all’art. 1362, co. 1, c.c. (Cass. civ., 05.06.2020, n. 10825), sicché quando esso risulti sufficiente, l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente e definitivamente conclusa, senza indagare oltre (Cass. civ., 5595/2014), tuttavia, quando risulti non appagante il ricorso ai criteri interpretativi di cui agli artt. 1362-1365 c.c. e residui un irrisolvibile dubbio sul significato da attribuire alla clausola, è possibile applicare in via residuale l’art. 1370 c.c. (Cass. civ., 26.02.2019, n. 13603).
Tale conclusione è ancor più vera in ambito assicurativo, secondo l’ordinanza in commento, ove il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettura, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss. e, in particolare, a quello dell’interpretazione contro il predisponente, di cui all’art. 1370 c.c.
Nonostante tale norma sia stata nel tempo oggetto di discussioni, è tuttavia prevalso l’orientamento giurisprudenziale secondo cui lo scopo di essa è quello di evitare che il predisponente, con un comportamento contrario al principio di buona fede, possa trarre vantaggio dall’ambiguità delle clausole elaborate unilateralmente.
L’art. 1370 c.c. ha quindi lo scopo di rinforzare la tutela in sede interpretativa apprestata dagli artt. 1341 e 1342 c.c. a favore del contraente, che aderisce agli schemi negoziali predisposti unilateralmente da altri. Pertanto, se i predisponenti la polizza hanno adottato forme lessicali ambigue ed incerte, questo deve essere imputabile unicamente ai medesimi, dovendosi escludere che possano ricadere sull’assicurato, che non ha dato alcun contributo alla redazione, le conseguenze di clausole ambigue e poco chiare.
Deve, quindi, prevalere l’affidamento del contraente che non ha redatto il contratto e quindi deve prevalere quel significato che il contraente legittimamente si aspettava dalla clausola.
Va da sé che deve sussistere un dubbio interpretativo, in quanto solo l’esistenza del dubbio, e dunque il fatto che la clausola abbia almeno due significati possibili, consente il ricorso ai criteri interpretativi oggettivi, fino ad arrivare al criterio ex art. 1370 c.c. dell’interpretatio contra stipulatorem.
Secondo la Corte di Cassazione, proprio la complessa e non chiara formulazione del contratto avrebbe imposto, nel caso di specie, di ricorrere al principio del gradualismo, da applicarsi quando il significato letterale delle espressioni utilizzate dai contraenti sia insufficiente ad identificare la comune intenzione delle parti, ovvero il dato letterale sia in tutto o in parte equivoco e contraddittorio ex art. 1370 c.c.
Pertanto, la Corte di merito, nell’escludere la copertura assicurativa nei confronti della madre del contraente la polizza assicurativa, si è discostata dai principi esegetici sopra richiamati, interpretando la clausola in modo favorevole al predisponente.
Gli Ermellini, nell’ordinanza in commento, hanno chiarito che l’ambiguità della clausola sulla “convivenza”, che letteralmente doveva essere riferita soltanto agli “altri parenti ed agli affini”, andava risolta nel senso più favorevole all’aderente-assicurato, e quindi nel senso di una maggiore copertura.
Il riferimento alla convivenza, pur essendo posto alla fine dell’elenco dei soggetti esclusi, secondo la Cassazione, “può riferirsi a tutti, e non solo a quelli per ultimi menzionati”, affermando che comunque la norma esclude dai danneggiati assicurati anche i domestici, e non può che farlo in ragione della loro convivenza con il danneggiante, in quanto li considera «addetti ai servizi domestici».
Interpretata quindi la condizione generale a favore dell’aderente, la copertura assicurativa deve considerarsi applicabile anche ai genitori non conviventi, i quali devono, pertanto, essere risarciti per il danno subìto.
Del resto, conclude la Suprema Corte, se così non fosse, si arriverebbe alla conclusione paradossale e non giustificabile per cui “il danno al fratello non convivente sarebbe coperto, quello al genitore non convivente no”.
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