Coniuge separato legalmente e diritto di abitazione ex art. 540, 2° comma, cod. civ.
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 22566 del 26/07/2023
SUCCESSIONI “MORTIS CAUSA” – SUCCESSIONE NECESSARIA – DIRITTI RISERVATI AI LEGITTIMARI – MISURA DELLA QUOTA DI RISERVA – CONIUGE – Diritto di abitazione e uso ex art. 540, comma 2, cod. civ. – Coniuge separato senza addebito – Spettanza – Sussistenza – Eccezioni – Abbandono della casa o perdita di collegamento con l’originaria destinazione familiare
I diritti di abitazione e uso, accordati al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, cod. civ. spettano anche al coniuge separato senza addebito, eccettuato il caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare.
Disposizioni applicate
Articolo 540, 2° comma, cod. civ.
[1] Il caso pratico sotteso alla sentenza in commento vedeva contrapposti la vedova (Tizia) ed i figli (Primo, Secondo e Terzo) del defunto Tizio. Per quanto, in particolare, qui di interesse, i giudici di primo e secondo grado, aditi per la divisione giudiziale della comunione instauratasi alla morte di Tizio, negavano che vi fossero i presupposti per riconoscere in favore di Tizia il diritto di abitazione e di uso sull’immobile di proprietà comune dei coniugi, già adibito a residenza della famiglia, di cui all’art. 540, 2° comma, cod. civ., sulla base del rilievo che tra gli stessi era intervenuta la separazione e la moglie aveva da tempo lasciato la casa.
Tizia, nel giudizio di merito aveva, in realtà, affermato di aver ripreso la convivenza con il defunto marito, ma la corte territoriale ha ritenuto non fornita la prova di ciò.
Avverso la sentenza di appello, Tizia proponeva ricorso in Cassazione, fondandolo su diversi motivi; i primi sei, si riferiscono, in particolare, agi aspetti attinenti all’odierna analisi e deve sin d’ora precisarsi che la Corte di Cassazione, accogliendo il primo, ha ritenuto assorbiti i cinque seguenti.
[2] Nel proprio ricorso, Tizia lamentava innanzitutto la “violazione degli artt. 540, comma 1, 150, comma 2, 157 e 193 cod. civ., perché la corte territoriale ha attribuito alla ricorrente lo status di coniuge separato, nonostante ella non fosse tale al momento della morte di Tizio. Fino al momento dell’apertura della successione, erano stati emessi solamente i provvedimenti presidenziali provvisori, i quali, secondo le norme applicabili ratione temporis, non hanno effetto anticipatorio”.
Le ulteriori doglianze si riferivano ad asseriti vizi di motivazione od omissione di fatti decisivi relativamente alla circostanza del reale permanere dello status di conviventi tra i coniugi al momento della morte di Tizio e, dunque, l’effettivo risiedere di Tizia in quella che era stata la residenza familiare.
Nell’accogliere il primo motivo, gli Ermellini precisano, in primis, “che la Corte di merito ha ritenuto applicabili nel caso in esame il principio di giurisprudenza sul coniuge separato senza addebito, che non sono del tutto attinenti al caso in esame, che non riguardava una ipotesi di separazione consensuale, ma una causa di separazione giudiziale ancora in corso al momento della morte di uno dei coniugi. Il provvedimento presidenziale, anche secondo la disciplina attuale, peraltro non applicabile ratione temporis, anticipa solo l’effetto di scioglimento della comunione legale, ma non attribuisce ai coniugi la qualità di coniugi separati. Ma al di là di questo rilievo il principio di giurisprudenza è stato oggetto di motivate critiche da parte della dottrina, che questa Suprema Corte ritiene non superabili e tali da imporne l’abbandono”.
Ciò che in questa sede maggiormente rileva, tuttavia, sono le ulteriori argomentazioni sviluppate dagli Ermellini.
[3] Come noto, l’art. 540 cod. civ., al 2° comma riconosce al coniuge superstite “i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni”.
La parte motiva della sentenza in commento ricorda come sia da sempre dibattuto se i diritti riconosciuti al coniuge da tale norma possano sorgere a favore del coniuge superstite che vivesse legalmente separato dal defunto. Il dubbio si giustifica in ragione del fatto che il disposto dell’art. 548 cod. civ. afferma che “il coniuge cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, ai sensi del secondo comma dell’articolo 151, ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato”.
La pronuncia in oggetto, al riguardo, afferma che “l’adibizione della casa a residenza familiare non deve essere necessariamente in atto nel momento di apertura della successione, e pertanto non viene meno per il solo fatto della separazione legale. La norma, infatti, non annovera fra i presupposti per l’attribuzione dei diritti la convivenza fra coniugi e, d’altra parte, la lettera dell’art. 548 cod. civ. è chiara nel parificare i diritti successori del coniuge separato senza addebito a quelli del coniuge non separato. In base a questa opinione i presupposti per la nascita del diritto mancherebbero solo qualora, dopo la separazione, la casa fosse stata abbandonata da entrambi i coniugi o avesse comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare. In tal caso, essendo cessata l’adibizione a residenza della famiglia, i diritti di abitazione e di uso non sorgono per difetto del presupposto oggettivo, mentre i presupposti continuerebbero a sussistere anche quando la successione si sia aperta in favore di quello che se ne fosse allontanato, lasciando a viverci l’altro ora defunto”.
[4] È la stessa Suprema Corte ad ammettere l’esistenza, in dottrina e giurisprudenza, di orientamenti contrastanti in merito alla sussistenza o meno, in capo al coniuge separato, dei diritti ex art. 540, 2° comma, cod. civ..
Ciò che rileva è propriamente il concetto di residenza familiare che, a giudizio di alcuni, deve essere intesa come immobile effettivamente destinato alla coabitazione dei coniugi (e dell’intero nucleo famigliare), divenendo, pertanto, impossibile individuare una tale casa in seguito ad una separazione (sia essa con addebito o meno).[1] E tale era l’orientamento della giurisprudenza di legittimità prima della decisione in commento: da ultimo, Cass. Civ. n. 15277 del 05/06/2019 ha ritenuto che “i diritti di abitazione e d’uso riservati al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, cod. civ. riguardano l’immobile concretamente utilizzato come residenza familiare prima della morte del “de cuius”, sicché essi non spettano al coniuge separato senza addebito, qualora la cessazione della convivenza renda impossibile individuare una casa adibita a residenza familiare”.[2] Tale posizione trova il proprio fondamento nella considerazione che elemento indefettibile della fattispecie costitutiva del diritto di abitazione sia la destinazione effettiva ed attuale della casa a residenza familiare: requisito che necessariamente viene meno a seguito della separazione personale dei coniugi.
La sentenza in commento riporta, poi, il diverso (ma minoritario) orientamento che ritiene invece che “oggetto dei diritti di abitazione e di uso dovrebbe essere l’ultima casa che fu di residenza comune, benché in un tempo precedente all’apertura della successione, ed i mobili che la corredavano”.
Molto seguito, invece, ha in dottrina la tesi che ritiene sia possibile riconoscere i diritti in oggetto al coniuge separato senza addebito allorché questi, al momento dell’apertura della successione, si trovi ancora in essa.[3] “In base a questa opinione il presupposto per la concreta attribuzione dei diritti, in sintesi, mancherebbe solo nelle ipotesi in cui, all’apertura della successione, il coniuge sopravvissuto non vivesse più nella casa familiare comune. A tale soluzione è stato rimproverato di introdurre una disparità di trattamento nei confronti del coniuge senza prole o che abbia rinunziato all’assegnazione della casa familiare per ragioni legittime o al quale per qualsiasi motivo, il giudice non abbia attribuito il diritto di abitazione”.[4]
[5] Come visto, la Suprema Corte si distanzia dagli orientamenti sopra citati e, mutando l’opinione in precedenza espressa dallo stesso giudice di legittimità, afferma la sussistenza dei requisiti atti a riconoscere il diritto di abitazione al coniuge separato senza addebito anche allorché costui non si trovi a risiedere nella casa già residenza comune dei coniugi. A fondamento del proprio assunto, evidenzia “che se è vero che l’interesse di un coniuge a non mutare ambiente di vita aveva dovuto cedere, nel conflitto, a quello dell’altro, proprietario esclusivo o comproprietario, è vero nello stesso tempo che altrettanta forza non può essere riconosciuta – sì da impedire al superstite il ritorno in quell’ambiente, che può avere conservato con lui un valore non soltanto economico – agli interessi esclusivamente patrimoniali degli altri chiamati in concorso. Si deve inoltre condividere l’opinione, sempre proposta con riferimento all’ipotesi dell’abbandono della casa coniugale, che non sono consentite in materia distinzioni, a seconda che esso sia o no giustificato. Non si può rimettere al giudice della successione un accertamento di colpa che le legge prende in considerazione – all’effetto di escludere la vocazione ereditaria e, con essa, il diritto di abitazione sulla casa familiare – solo quando sia intervenuto, in contraddittorio con l’altro coniuge, in un giudizio definito prima dell’apertura della successione. Ad analoghi criteri occorre riferirsi, a maggior ragione, con riguardo ai casi di mera separazione di fatto”.[5]
[6] A giudizio dello scrivente, la tesi da ultimo sostenuta dalla Cassazione non è sufficiente a sopire il dibattito da sempre in corso; e ciò in ragione del fatto che (come espressamente ammesso dagli stessi Ermellini in motivazione) solo una novella legislativa potrebbe porre fine alle discussioni. Ad oggi, infatti, il nostro ordinamento prevede due norme: i) l’art. 540, che al secondo comma attribuisce un diritto collegandolo indissolubilmente al concetto di casa come residenza della famiglia (così legittimando quella dottrina che ritiene, non senza ragione, difficilmente riconducibile a quel concetto un’abitazione in cui uno dei coniugi, a seguito della separazione, non viveva più, magari da diversi anni); ii) l’art. 548 che, senza fare alcuna espressa esclusione di quanto disposto dalla norma precedentemente citata, riconosce al coniuge separato senza addebito gli stessi diritti spettanti al coniuge non separato (fornendo, dunque, sostegno normativo a coloro che riconoscono il diritto a prescindere da qualunque considerazione in ordine all’effettiva residenza del coniuge superstite).
Da un punto di vista di stretta interpretazione giuridica, forse, la tesi che più si avvicina al dettato normativo è quella che distingue a seconda del fatto che il coniuge superstite vivesse o meno in quella che originariamente era la residenza del nucleo famigliare, riscontrandosi solo in questo caso l’effettiva destinazione del bene al soddisfacimento e dunque alla tutela dei bisogni della famiglia, che parrebbe essere la ratio del disposto dell’art. 540 cod. civ.. Ma non può tacersi come (anche in questo caso con argomenti convincenti) dottrina e giurisprudenza sollevino dubbi circa la legittimità, anche costituzionale, di una esclusione del diritto in sfavore di uno dei coniugi a cui non sia stata addebitata la separazione.
[1] In tal senso, FALZONE CALVISI, Il diritto di abitazione del coniuge superstite, Torino, 1993, pagg. 127 ss.; AZZARITI-IANNACCONE, Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, Torino, 1997, pag. 99; BARBA, La successione dei legittimari, Napoli, 2020, pag. 105
[2] Si veda, nello stesso senso: Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 13407 del 12/06/2014.
[3] Sono di questa opinione, tra gli altri, COPPOLA, I diritti d’abitazione e d’uso spettanti ex lege, in Trattato delle successioni e donazioni a cura di Bonilini, vol. 3, Milano, 2009, pagg. 133 s.; COSTANZA, Osservazioni in tema di successione del coniuge separato, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 1978, pagg. 750 ss.; BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, pag. 127
[4] Così, testualmente, in parte motiva la sentenza in commento.
[5] In tal senso, in dottrina: FERRI, Artt. 536-564 in Commentario al Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, 1981, pag. 58; PALAZZO, Le successioni, in Trattato di diritto privato a cura di Iudica e Zatti, vol. I, Milano, 2000, pag. 469.
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