I confini tra la violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. e l’attività interpretativa svolta dal giudice di merito: alcuni chiarimenti
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. II, 7 gennaio 2019, n. 129, Pres. Correnti – Est. Federico
[1] Prova in materia civile – Onere della prova – Principio dispositivo formale – Violazione. (Cod. civ., art. 2697; Cod. proc. civ., art. 115).
In materia processuale la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove ritualmente dedotte dalle parti, restando escluso ogni sindacato sul merito della valutazione di dette prove, riservata al giudice di merito.
CASO
[1] Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., il proprietario di un locale all’interno di un condominio conveniva in giudizio il proprietario di un altro locale, in qualità di locatore, e il conduttore, soggetto esercente attività di ristorazione. Il ricorrente, in particolare, domandava al Tribunale di accertare l’esistenza, all’interno del regolamento condominiale, di una clausola in forza della quale lo stesso e il locatore si erano accordati per limitare l’esercizio dell’attività di ristorazione a una sola parte dell’immobile – evidentemente non comprensiva del locale locato -, accertare la violazione di tale pattuizione e, conseguentemente, disporre l’immediata cessazione dell’esercizio di tale attività e la rimozione della relativa attrezzatura.
Il Tribunale rilevava l’esistenza della clausola in rilievo e, di conseguenza, accoglieva la domanda condannando i resistenti in conformità alle domande attoree. Tale decisione veniva integralmente confermata dalla Corte d’Appello.
Il locatore ricorreva per cassazione lamentando, in particolare, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., contestando l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale al regolamento condominiale: in particolare, veniva censurata la circostanza per cui la Corte aveva ritenuto irrilevante l’assenza della specificazione, nelle planimetrie allegate dal ricorrente in giudizio unitamente al regolamento condominiale, delle porzioni di immobile in cui era da considerarsi vietato lo svolgimento di attività di ristorazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione opta per l’infondatezza del motivo proposto, sostanzialmente escludendo la rilevanza, nella risoluzione della questione sollevata, delle norme richiamate (artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c.), e riconducendo la relativa soluzione all’attività interpretativa propria del giudice di merito che, come noto, laddove adeguatamente motivata è incensurabile in sede di legittimità.
QUESTIONI
[1] Analizzando più dettagliatamente la questione giuridica sottoposta alla Cassazione, è utile chiarire come, in definitiva, la stessa sia stata chiamata a pronunciarsi sul se la specificazione delle porzioni di immobile in cui era vietato lo svolgimento di attività di ristorazione fosse da considerarsi un fatto costitutivo della pretesa dedotta in giudizio dal ricorrente (ossia, del diritto dello stesso di vedere cessata tale attività in dette porzioni, in forza di espressa pattuizione in tal senso): ciò, con correlativo onere della prova in capo allo stesso (secondo la regola posta dall’art. 2697 c.c.) e obbligo, per il giudice, di decidere sull’esistenza o meno di tale fatto sulla base delle prove dedotte in giudizio dal ricorrente medesimo (in ossequio al c.d. principio dispositivo formale racchiuso nell’art. 115 c.p.c.).
In caso di risposta affermativa a tale quesito, infatti, la domanda proposta sarebbe potuta andare incontro a un rigetto, in quanto il ricorrente, come detto, non aveva provveduto a evidenziare, sulla planimetria allegata, le porzioni di immobile interessate dal divieto, con sua conseguente possibile soccombenza sul punto ex art. 2697 c.c.
La Cassazione, tuttavia, respinge tale possibile strada interpretativa. La Corte di merito, infatti, aveva fondato il proprio ragionamento muovendo dalla pattuizione regolamentare qui in rilievo, la quale, già di per sé, sufficientemente provvedeva a delimitare i locali in cui fosse consentito svolgere l’attività di ristorazione, senza che fosse dunque necessario, ai fini di decidere la controversia, la relativa specificazione sulle planimetrie allegate: ragionamento, questo, ritenuto coerentemente e logicamente argomentato, e perciò incensurabile in sede di legittimità.
In sostanza, affermando la sufficienza, ai fini de quibus, del regolamento condominiale, si esclude ogni rilevanza alle planimetrie e, in relazione ad esse, alla circostanza per cui il ricorrente, allegandole, avesse omesso di precisare le porzioni interessate dal divieto. Così ragionando, diventano irrilevanti sia la configurabilità delle planimetrie quali fatti costitutivi della pretesa attorea, sia l’onere per il ricorrente di dimostrarne l’esistenza, sia l’obbligo per il giudice, ex art. 115 c.p.c., di pronunciarsi sull’esistenza di tali fatti esclusivamente sulla base delle prove allegate dalle parti, con possibile applicazione, in caso di mancata prova, della regola di giudizio ex art. 2697 c.c.
La soluzione della questione viene, appunto, spostata sul campo proprio dell’attività interpretativa del giudice che, nella misura in cui si presenta adeguatamente e logicamente motivata, non può essere fatta oggetto di censura in sede di legittimità. Correlativamente – e coerentemente -, si esclude la presenza sia di una violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto il giudice non ha accolto la domanda dichiarando esistenti fatti costitutivi non provati dalla parte onerata della relativa dimostrazione (ché, infatti, il regolamento condominiale assunto a base del ragionamento giudiziale era stato prodotto in giudizio), sia di una violazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto il giudice ha ritualmente deciso sulla base di prove prodotte dalle parti (il regolamento condominiale depositato dal ricorrente, appunto).