È configurabile il concorso eventuale di persone nel reato ex art. 2626 c.c., se il socio contribuisce alla determinazione, all’istigazione o al rafforzamento del proposito criminoso degli amministratori
di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDFCass. pen., Sezione VI, Sentenza del 25 ottobre 2017, n. 53832
Parole chiave: reati societari – indebita restituzione dei conferimenti – reato proprio – concorso eventuale – socio beneficiario
Massima: “Trovano applicazione le disposizioni sul concorso eventuale di persone nella loro funzione incriminatrice qualora il socio non si sia limitato a trarre vantaggio dalla restituzione o dalla liberazione dei conferimenti, ma abbia fornito un effettivo contributo di volontà, qualificabile in termini di determinazione, istigazione o rafforzamento del proposito criminoso dei titolari dei poteri di gestione”.
Disposizioni applicate: art. 2626 c.c.; art. 110 c.p.
Con il presente arresto giurisprudenziale, la Corte di cassazione chiarisce i termini della configurabilità del concorso eventuale di persone nel reato di indebita restituzione dei conferimenti ai soci ex art. 2626 c.c., qualora il socio beneficiario apporti un effettivo contributo alla formazione della volontà degli amministratori, in termini di determinazione, istigazione o rafforzamento del proposito criminoso.
Il caso oggetto di analisi riguarda gli amministratori della società calcistica Alfa, contro i quali il Tribunale di Latina, in sede di riesame ex art. 324 c.p.p., ha confermato il sequestro preventivo, disposto dal Giudice per le indagini preliminari, di alcune somme ritenute il profitto di diversi reati, tra cui quello di cui all’art. 2626 c.c. Oltre che nei confronti degli amministratori e di Alfa, il g.i.p. di Latina ha disposto misure cautelari reali anche nei confronti di alcuni soci di Alfa, poiché sottoposti ad indagini anche a titolo di concorso nel reato di indebita restituzione dei conferimenti.
Tra le questioni affrontate dalla Suprema Corte, merita senz’altro una menzione quella sulla legittimità costituzionale dell’art. 324, comma 7, e dell’art. 325 c.p.p. in relazione all’art. 111, comma 3, Cost., come interpretati dalla giurisprudenza, poiché da una parte non si prevede un termine perentorio per il deposito della motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame in materia reale, dall’altra si prevede, a pena di decadenza, il termine di dieci giorni per proporre ricorso per cassazione avverso tale ordinanza – indipendentemente dall’ampiezza del lasso di tempo cui ha fatto ricorso il Tribunale del riesame per il deposito della motivazione della propria decisione. Sul punto, la Cassazione ritiene di non dover mutare il proprio orientamento, rinviando a quanto deciso con sentenza resa a Sezioni Unite n. 18954 del 31 marzo 2016, secondo cui l’interpretazione contestata dalla difesa degli imputati non si pone in contrasto con esigenze di difesa, in considerazione della natura reale, e non personale, delle misure cautelari comminate.
Inoltre, sempre in punto di legittimità delle misure cautelari reali, la Cassazione ha confermato la validità delle misure che dispongono il sequestro per equivalente, che consentono il superamento del rapporto pertinenziale tra bene e reato, permettendo così, in via eccezionale, la traslazione della misura ablatoria del bene collegato con il reato da un nesso pertinenziale ad altro bene risultato nella disponibilità dell’imputato, indipendentemente dalla provenienza legittima del medesimo (cfr. Cass. pen., S.U., 25 ottobre 2005, n. 41936). Pertanto, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, all’interno del provvedimento non necessariamente si devono concretamente individuare i beni da sottoporre alla misura ablatoria, potendo il giudice limitarsi a determinare la somma di denaro che costituisce il profitto o il prezzo del reato o il valore ad essi corrispondente; mentre, l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al Pubblico Ministero.
Tornando alla questione legata all’indebita restituzione dei conferimenti, l’art. 2626 c.c. costituisce un reato proprio, che può essere commesso solo dagli amministratori della società, quali titolari dell’obbligo di garanzia sull’integrità del capitale sociale; pertanto, tale reato non sarebbe in astratto configurabile in capo ai soci di Alfa, giacché il legislatore non ha inteso punire anche il socio beneficiario della restituzione del conferimento o della liberazione dall’obbligo di eseguire lo stesso.
Tuttavia, dalla ricostruzione dei fatti effettuata dal Tribunale in sede di riesame, appare evidente come il socio di Alfa, imputato a titolo di concorso nel reato di cui all’art. 2626 c.c., abbia concretamente contribuito alla condotta posta in essere dagli amministratori, partecipando alla delibera con cui è stata decisa l’indebita restituzione, precostituendo i conti su cui sarebbero stati versati i capitali e prendendo accordi coi medesimi amministratori, con i quali gli imputati si erano assicurati la restituzione dei conferimenti effettuati ad Alfa, senza il rispetto delle modalità prescritte dalla legge.
La Suprema Corte prosegue sottolineando come l’esclusione del concorso necessario del socio non implichi anche quella del concorso eventuale (art. 110 c.p.), qualora quest’ultimo abbia tenuto una condotta diversa ed ulteriore, rispetto a quella tipizzata dall’art. 2626 c.c. e non sottoposta a pena, che si risolva in un contributo di partecipazione atipico rispetto alla fattispecie punibile.
La Cassazione, alla luce delle condotte poste in essere dai soci di Alfa, perciò ritiene che il Tribunale del riesame di Latina, abbia correttamente individuato un’ipotesi di concorso di persone nel reato, motivando in maniera adeguata il proprio provvedimento.
In conclusione, non può essere ravvisata la carenza dell’elemento soggettivo per la configurazione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 2626 c.c., laddove trovano applicazione le disposizioni sul concorso eventuale di persone, a condizione quindi che il socio non si limiti a trarre vantaggio dalla restituzione o dalla liberazione dei conferimenti, ma fornisca un effettivo contributo di volontà, qualificabile in termini di determinazione, istigazione o rafforzamento del proposito criminoso degli amministratori.