5 Maggio 2020

L’ impugnazione di delibera assembleare per la riparazione del tetto da parti di condomini non interessati

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione – Sezione 2 Civile, ordinanza 16 Gennaio 2020 n. 791, relatore dott. A. Scarpa.

“…è in siffatte ipotesi automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale “ex lege”: tutte le volte, cioè, in cui un bene, come detto, risulti, per le sue obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene”

“Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare”

CASO

La questione attiene l’impugnazione di una delibera assembleare, da parte di due condomini, avente ad oggetto l’approvazione di lavori di manutenzione del tetto condominiale, attinenti parti estranee alla contitolarità dei ricorrenti. Nella specie, propongono ricorso per Cassazione, articolato in due motivi, avverso la sentenza n. 880/2014 della Corte d’appello di Catania in cui impugnavano la deliberazione assembleare, deducendone la loro mancata convocazione. Resiste il condominio affermando, lecitamente, che la mancata convocazione alla riunione è dovuta dall’esistenza di un c.d. condominio parziale a cui esulano i condomini ricorrenti.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna in solido i condomini a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione per i motivi di seguito analizzati.

QUESTIONI

Il Tribunale di Catania respingeva l’impugnativa dei ricorrenti assumendo che  essi non fossero interessati alle opere oggetto della deliberazione, in quanto proprietari di unità immobiliari autonome rispetto a quelle interessate. La Corte d’appello di Catania, parimenti, rigettava il gravame, avendo appurato che il tetto dell’edificio condominiale si fraziona in due distinti corpi di fabbrica. In luce dell’Art. 1123 c.c., comma 3, quindi, la Corte d’appello constatava che i ricorrenti non erano interessati alla delibera impugnata giacché, in concreto, attinente all’approvazione di lavori non riguardanti la copertura delle relative unità immobiliari. La Corte d’appello negava, altresì, che la delibera fosse affetta da eccesso di potere quanto al rifacimento delle tegole del tetto, finalizzato, da quanto concretamente realizzato, alla creazione di una mansarda. Inoltre, ritenuta nuova  ex art. 345 c.p.c., la Corte d’appello dichiarava la inammissibilità della deduzione circa la lesione del decoro architettonico.

Il ricorso per Cassazione si articola in due motivi; il primo denuncia la violazione degli artt. 1136 e 1137 c.c., nonché degli artt. 112 ,113, 115, 116, 191 e 196 c.p.c., dell’art. 132c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., ed ancora l’insufficiente ed illogica motivazione in ordine alla consulenza tecnica integrativa, recepita dalla Corte d’appello che descriveva il tetto dell’edificio come unica struttura.

Il secondo motivo, invece, attiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 115, 191 e 196 c.p.c., nonchè degli artt. 1120, 1121, 1122, 1138 c.c., art. 1135 c.c. e ss., art. 1130 c.c., n. 1 e art. 1133 c.c..

 I due motivi di ricorso vengono esaminati congiuntamente da parte della Corte di Cassazione in camera di consiglio in virtù della connessione esistente tra essi.

In generale, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di numerose norme di diritto senza che, a ben vedere della Corte, al richiamo delle disposizioni di legge asseritamente violate corrispondano per ciascuna di esse specifiche argomentazioni; “i motivi, per di più, denotano carenze dei necessari requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata”; in concreto i ricorrenti si rivolgono alla competente sede giudiziaria affinché si pronunci circa la validità della delibera, assunta dall’assemblea condominiale, in ragione della loro mancata convocazione alla riunione.

La Corte di Cassazione, avvalora il giudizio di secondo grado e muove alla spiegazione circa l’infondatezza delle censure avanzate dai ricorrenti.

 In primo luogo, partendo dalla deduzione dei ricorrenti circa la condominialità della porzione di tetto, oggetto dei lavori deliberati, chiarisce, rigidamente, che il nesso di condominialità, quale peculiarità della comunione negli edifici di cui all’art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia costruzioni verticali, che costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, se e qualora “le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni”, come appunto quelle annoverate all’art. 1117 c.c..

Quest’ultima norma presenta un elenco esemplificativo di quelle “res” che si presumono in regime di comunione ovverosia i bene condominiali tesi al godimento e all’utilità di tutti i condomini. A titolo esemplificativo, sono parti comuni dell’edificio, “se non risulta il contrario dal titolo”: il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso etc. Per l’affermazione della natura condominiale di un bene è necessario che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente, con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini[1]. Se tale relazione funzionale interessa una o più unità immobiliari in proprietà esclusiva, ovvero la res risulta destinata al solo servizio di queste, la natura condominiale del bene deve conseguentemente escludersi.

In difetto, quindi, di una stretta relazione di accessorietà tra il bene condominiale e quello in proprietà esclusiva,  è automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale “ex lege”: “tutte le volte, cioè, in cui un bene, come detto, risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene[2].

Qualora le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali, appaiano necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinati all’uso o al servizio non di tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso, mancano i presupposti per l’attribuzione, ex art. 1117 c.c., della proprietà comune a vantaggio di tutti i condomini.

In tema di condominio negli edifici, l’individuazione delle parti comuni, di cui all’Art. 1117 c.c., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari[3]. In presenza di tale circostanza di fatto, si avrà il c.d. condominio parziale; per la costituzione di una siffatta forma di comunione, non occorre un atto ricognitivo o costitutivo benché essa opera ex lege qualora ricorrono “di fatto” delle condizioni di parziale contitolarità dei beni.

 Per fini esemplificativi, si costituisce condominio parziale nel caso in cui vi sia un complesso residenziale formato da distinti corpi di fabbrica, con parti comuni attinenti solo proprietari delle unità immobiliari comprese in ciascuno di essi. Dalla parziale attribuzione della titolarità delle parti comuni derivano conseguenze di non poco conto per quanto inerisce alla gestione ovvero alla ripartizione delle spese di manutenzione delle stesse. Difatti, relativamente alle cose cui non hanno la titolarità,  per i condomini, non sussiste alcun diritto di partecipare all’assemblea, circostanza dalla quale discende, inoltre, che “la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare[4]. Conseguentemente, non sussiste per questi alcun obbligo di contribuzione alle relative spese in virtù al principio espresso all’Art. 1123 c.c., comma 3. Il principio generale secondo cui l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni si suddivide in proporzione alle quote di ciascuno condomino, trova espressa deroga al comma 3 della medesima norma, nella misura in cui prescrive che l’obbligazione in esame grava esclusivamente in capo a taluni condomini, in relazione alla delimitazione della loro effettiva appartenenza.

 Ora, il tetto condominiale è definito bene condominiale all’Art. 1117 c.c. in quanto dotato di una attitudine funzionale al servizio dell’edificio condominiale nella sua integrità, ma a ben vedere, nella specie, la peculiarità del tetto condominiale è quella di essere formato da due distinti corpi di fabbrica, uno composto di falde di laterocemento, l’altro, sovrastante le unità immobiliari di proprietà dei ricorrenti, composto di falde lignee. Avendo la delibera, oggetto di impugnazione, riguardo alla sola porzione del tetto non incidente sulle unità immobiliari dei ricorrenti, la Corte d’Appello di Catania ha, quindi, correttamente ritenuto valida la delibera impugnata dai ricorrenti, giacché, il caso di specie ricade esattamente in quel che si intende giuridicamente quale condominio parziale; di conseguenza, viene meno la necessità di convocare i condomini non interessati ai lavori oggetto della deliberazione.

La Cassazione aggiunge, inoltre, che: “ad eliminare ogni decisività delle doglianze dei ricorrenti, basterebbe poi considerare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui un condomino regolarmente convocato non può impugnare la delibera. per difetto di convocazione di altro condomino, trattandosi di vizio che inerisce all’altrui sfera giuridica, come conferma l’interpretazione evolutiva fondata sull’art. 66 disp. att. c.c., comma 3 modificato dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, art. 20 pur nella specie non applicabile ratione temporis[5].

La Corte di Cassazione, in ultima battuta e con note di attento tecnicismo, asserisce che la deduzione che il tetto condominiale sia costituito da un’unica unità strutturale, postula una valutazione in fatto sottratta al giudizio di legittimità ed in ragione di ciò esula dal fornire argomentazioni. Difatti, “i ricorrenti si limitano a chiedere una valutazione delle emergenze peritali diversa da quella data dai giudici del merito e conforme a quella da loro auspicata, prescegliendo non la CTU integrativa, come fatto dalla Corte d’appello, ma la relazione del 1 marzo 2007. Tale operazione è estranea alle regole del giudizio di legittimità, in quanto suppone un accesso diretto agli atti e una delibazione degli stessi in via inferenziale”.

Per ciò che attiene all’asserita violazione dell’Art. 360 c.p.c comma 1 n. 5, la Corte rammenta ai ricorrenti che non è più configurabile il vizio di “insufficiente ed illogica motivazione” in ragione della riformulazione della stessa norma, avvenuta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Parimenti, esclude che l’omesso esame di elementi istruttori possa integrare automaticamente un vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora questo sia stato preso comunque in considerazione da parte del giudice, indipendentemente dalla sua rilevanza ai fini della decisione finale.

Infine, a riguardo della deduzione di lesione del decoro architettonico, la Cassazione, avvalorando quanto costatato in secondo grado, ovverosia che i ricorrenti non osservavano il divieto di introdurre una domanda nuova in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., contesta fermamente che l’operazione di inserimento di finestre nel tetto possa arrecare un grave pregiudizio alla cosa comune, ex art. 1109 c.c., tanto da legittimare l’invalidazione della delibera assembleare. Aggiunge, ove tali lavori avessero avuto ab origine la finalità di trasformare il sottotetto in mansarda, i ricorrenti avrebbero potuto impugnare la delibera in ordine a quanto prescritto in materia di innovazione all’Art. 1120 c.c..

[1] Cass. 7 maggio 2010, n. 11195; Cass. 22 agosto 2002, n. 12436; Cass. I dicembre 2000, n. 15372

[2] Cass. Sez. 2, 24/11/2010, n. 23851; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641

[3] Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449

[4] Cass. Sez. 2, 27/09/1994, n. 7885; Cass. Sez. 2, 02/03/2016, n. 4127; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641

[5] Cass. Sez. 2, 18/04/2014, n. 9082; Cass. Sez. 2, 13/05/2014, n. 10338; Cass. Sez. 2, 23/11/2016, n. 23903