Il Condominio non può vietare la locazione abitativa per finalità turistica di breve periodo: differenze rispetto alle attività ricettive (extralberghiere)
di Ilaria Ottolina, Avvocato Scarica in PDFCorte d’Appello Milano, sezione III, sentenza 13 gennaio 2021, n. 93
Condominio – unità abitative adibite a locazioni turistiche di durata inferiore ai trenta giorni – incidenza sulla destinazione d’uso degli immobili – esclusione – natura giuridica di attività ricettiva (extralberghiera) – esclusione – contrarietà al regolamento condominiale (contrattuale) – esclusione – prova della turbativa della tranquillità del condominio – non sussiste.
Riferimenti normativi: D. Lgs. 23/05/2011, n. 79, art. 53
“… la semplice limitazione al godimento degli immobili, senza la determinazione di un peso di prestazioni positive, non raffigura né una servitù né un onere reale … il divieto di svolgere una determinata attività negli appartamenti costituisce un rapporto obbligatorio reale di non facere: precisamente, una obbligazione propter rem con contenuto negativo, di non conferire all’immobile una certa destinazione…”
“… Proprio la mancata previsione di alcuna prestazione accessoria oltre al diritto personale di godimento (quali tipicamente la pulizia periodica dei locali, il cambio sistematico della biancheria d’arredo, la somministrazione di cibo e bevande) esclude che l’immobile degli appellanti sia mai stato destinato ad uso alberghiero … questo sì, effettivamente, sovrapponibile all’affitto di camere ammobiliate vietato dal regolamento…”
“… Le locazioni stipulate dagli appellati sono riconducibili a quelle per finalità turistiche per brevi periodi non superiori a 30 giorni ai sensi dell’art. 53 del D.Lgs. n. 79 del 2011, che la Regione Lombardia ha espressamente escluso dall’ambito delle attività ricettive (quali proprio quelle di Bed and Breakfast ed affittacamere): esse non si distinguono dunque dalle ordinarie locazioni (cui certamente il condominio non può neppure opporre un proprio gradimento, il che porta a ritenere l’onere di informazione preventivo all’amministratore come finalizzato al più alla facilitazione dei contatti con i conduttori, ogni diversa interpretazione configurando la nullità della clausola), connotandosi solo per la loro durata transitoria…”
CASO
La sentenza in commento ha ad oggetto una locazione turistica di breve periodo all’interno di un condominio, fattispecie che continua ad essere causa di frequenti liti tra comproprietari.
Questa è la vicenda: due condòmini concedevano in locazione, per brevi o brevissimi periodi, l’immobile di proprietà, per finalità turistiche.
Il condominio censurava, avanti al Tribunale, la suddetta attività, sulla scorta della clausola di regolamento condominiale contrattuale, approvato all’unanimità nel 1961, a cui tenore era vietato l’esercizio all’interno dell’appartamento dell’attività di “pensione” o l’uso dello stesso “a camere ammobiliate affittate a terzi”; peraltro, a detta dell’attore, tale attività avrebbe arrecato disturbo alla quiete e danno al decoro del condominio (senza contare l’omissione della previa comunicazione all’amministratore).
I condòmini convenuti eccepivano la non opponibilità, nei loro confronti, del predetto regolamento, atteso l’acquisto dell’appartamento in epoca successiva e atteso il fatto che le limitazioni in questione costituivano servitù atipiche, come tali opponibili ai terzi acquirenti solo ove trascritte o specificamente indicate, conosciute e approvate nell’atto di acquisto.
Contestavano inoltre quanto asserito dal condominio anche sotto il profilo della turbativa e della lesione del decoro.
Il Tribunale, pur qualificando (erroneamente) le locazioni in questione come “attività di Bad&Breakfast”, rigettava la domanda del condominio sull’assunto che la clausola regolamentare avrebbe dovuto essere trascritta nei registri immobiliari ex artt. 2659 e 2665 c.c. o specificamente conosciuta al momento dell’acquisto dell’immobile, non essendo sufficiente il mero richiamo del regolamento contenuto nell’atto di compravendita.
Il condominio impugnava la sentenza di primo grado.
Resistevano gli appellati, rappresentando che la locazione breve non violava il regolamento, non essendo attività assimilabile all’affitto di camere ammobiliate ma trattandosi di affitto dell’intera unità immobiliare, per uso abitativo, senza servizi accessori di carattere alberghiero; eccepivano inoltre l’assenza di turbativa della tranquillità e di lesione dell’igiene e del decoro dell’edificio.
SOLUZIONE
La Corte respingeva l’appello e confermava la sentenza del Tribunale.
QUESTIONI GIURIDICHE
La Corte d’Appello di Milano affronta due questioni giuridiche, connesse al tema dell’utilizzo, in condominio, dell’unità immobiliare per finalità turistiche: la prima riguarda la previsione di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive da parte del regolamento condominiale contrattuale, la seconda ha ad oggetto i limiti a cui debbono uniformarsi le locazioni turistiche di breve periodo (ma non solo) in condominio.
1) La previsione di limiti con regolamento condominiale contrattuale
Occorre preliminarmente osservare che la sentenza in commento va a correggere un errore interpretativo del primo Giudice, in punto di qualificazione giuridica della fattispecie, la quale non ha ad oggetto l’attività turistica ricettiva extralberghiera (come Bad&Breakfast e affittacamere) ma la locazione abitativa con finalità turistica di breve durata.
In effetti – precisa la Corte – nel caso di specie i condòmini/locatori non fornivano nessuna prestazione accessoria oltre al diritto personale di godimento (quali, tipicamente, la pulizia periodica dei locali, il cambio sistematico della biancheria d’arredo, la somministrazione di cibo e bevande), ciò che esclude che l’immobile degli appellanti sia stato destinato ad uso (extra)alberghiero[1].
A ciò si aggiunga che i proprietari erano soliti locare l’intera unità immobiliare e non singole camere e, sotto questo profilo, il regolamento condominiale contrattuale vietava l’affitto a terzi di “camere ammobiliate”, divieto non passibile di interpretazione estensiva in quanto restrittivo del diritto dominicale[2].
La differenza sostanziale, sotto il profilo giuridico, tra l’attività ricettiva extralberghiera in condominio e la locazione abitativa con finalità turistica in condominio (breve o non breve che sia) è data dal fatto che, solo nel primo caso, si assiste ad una modifica della destinazione d’uso dell’immobile, atteso che l’attività ricettiva implica l’espletamento di servizi accessori non sovrapponibili alla nozione tipica di godimento del bene immobile[3].
Ciò premesso, pur rettificando in questo senso la qualificazione giuridica della fattispecie, il Collegio prende posizione – e lo fa disattendendo sul punto la pronuncia del Tribunale – in ordine alla natura giuridica delle clausole delimitative di poteri e facoltà dei singoli condomini sulle proprietà esclusive.
Invero, decidendo il caso sul presupposto dell’errata qualificazione della fattispecie siccome ricadente in una attività ricettiva extralberghiera (segnatamente attività di B&B), il Tribunale aveva ritenuto che detta circostanza non fosse comunque opponibile ai condòmini convenuti, in quanto la restrizione contenuta nel regolamento condominiale contrattuale – “divieto di uso dell’appartamento a camere ammobiliate affittate a terzi”- non era stata trascritta nei registri immobiliari o, in alternativa, al momento dell’acquisto dell’immobile non vi era stata una specifica contestuale conoscenza e accettazione del vincolo ma, al contrario, un mero richiamo del regolamento in parte qua.
Questo perché il Tribunale aveva aderito a certa giurisprudenza secondo la quale il divieto previsto dal regolamento configura una servitù atipica di non facere a carico di ciascuna unità immobiliare, a favore di tutte le altre[4]: si legge infatti nella sentenza che “… con l’approvazione all’unanimità del regolamento del Condominio … (il quale prevede il divieto di “uso dell’appartamento a camere ammobiliate affittate a terzi”), i condomini hanno costituito una servitù atipica di non facere a carico di ciascuna unità immobiliare ed a favore di tutte le altre: come tale, essa sarebbe opponibile al terzo che sia divenuto proprietario di una di dette unità solo a condizione che la clausola regolamentare sia stata trascritta nei registri immobiliari ex artt. 2659 e 2665 c.c., oppure che l’acquirente abbia preso atto in modo specifico della stessa contestualmente all’atto di acquisto, non essendo invece sufficiente che l’atto di provenienza contenga un mero richiamo al contenuto del regolamento…”[5].
La Corte di Appello in commento, al contrario, ritiene che le limitazioni alla destinazione delle proprietà esclusive, eventualmente previste nel regolamento contrattuale, debbano essere inquadrate giuridicamente siccome obbligazioni propter rem (nel caso specifico, con contenuto negativo), nel senso di non conferire all’immobile una certa destinazione: si viene dunque a determinare una mera limitazione del godimento o dell’esercizio dei diritti del proprietario dell’unità immobiliare, a differenza delle più rigorose ipotesi di imposizione di servitù o di oneri reali[6].
Corollario della differente (e meno restrittiva) qualificazione giuridica del divieto è “l’idoneità della mera indicazione del regolamento condominiale nell’atto di acquisto ai fini dell’opponibilità ai terzi acquirenti”[7], circostanza che, in quanto di fatto sussistente, avrebbe di per sé integrato il presupposto di legittimità.
2) Le locazioni turistiche in condominio
Ma – precisa la Corte di Appello – la fattispecie in esame è diversa: rilevato che si verte in tema di locazione turistica (breve), alla quale non è opponibile il regolamento condominiale contrattuale, in quanto non viene a determinarsi un mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, il Collegio dichiara che non è stato comunque posto in essere dai conduttori – e quindi non sussiste alcuna responsabilità dei locatori, nei confronti del condominio – alcun comportamento in violazione del regolamento stesso.
Come detto, la locazione turistica non è attività ricettiva ed è regolata dalle norme del codice civile, giusta il rinvio operato dall’art. 53 D. Lgs. n. 79/2011 (Codice del turismo): “Gli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, in qualsiasi luogo ubicati, sono regolati dalle disposizioni del codice civile in tema di locazione” (in buona sostanza, pur trattandosi di locazioni abitative, non si applica la Legge n. 431/1998).
La decisione della Corte è quindi del tutto condivisibile nel suo argomentare che le locazioni stipulate per finalità turistica non si distinguono dalle ordinarie locazioni (cui certamente il condominio non può neppure opporre un proprio gradimento), se non per la loro durata transitoria.
Certo è, di contro, che anche le parti del rapporto di locazione, segnatamente gli ospiti/conduttori, sono tenuti ad osservare le comuni regole di convivenza vigenti all’interno del condominio, previste dal codice civile: si pensi al divieto di turbativa della quiete condominiale e al rispetto dell’igiene e del decoro del medesimo, sui quali aspetti l’espletata istruttoria, in primo grado, aveva escluso profili di responsabilità.
E’ opportuno precisare, in via generale, che per “finalità turistica”, la quale deve essere espressamente indicata nel contratto al fine di evitare “confusione” con la diversa locazione transitoria, s’intende il contratto stipulato “… per ragioni di svago, villeggiatura, vacanza o riposo, senza alcun collegamento con esigenze abitative primarie, per un periodo di tempo normalmente ma non necessariamente limitato” (Tribunale di Firenze, sentenza n. 1848/2006).
La necessità che le parti esternino la finalità turistica è una delle ragioni per le quali è richiesto il requisito della forma scritta a pena di nullità (ad substantiam), ciò da cui deriva l’obbligatorietà della forma scritta anche per tutti gli ulteriori atti derivanti dal contratto di locazione.
La locazione turistica si caratterizza per l’irrilevanza della durata, che non è prefissata dal Legislatore nel minimo e/o nel massimo: il dato della finalità turistica della locazione prevale su quello della durata (tant’è che quest’ultima non vale a “tipizzare” la fattispecie contrattuale, potendo essere di pochi giorni o – teoricamente – di molti anni, con modalità, per esempio, “stagionale”).
Nel caso di specie, si è visto trattarsi di locazioni turistiche di durata breve, se non brevissima, in ogni caso inferiore ai trenta giorni: fermo restando il beneficio fiscale della non necessità di registrazione del contratto di durata pari o inferiore ai trenta giorni, è del tutto pertinente, al di là del caso in commento, richiamare la normativa in materia di locazioni brevi ex art. 4 D.L. n. 50/2017, che ben può essere utilizzata anche in caso di locazioni turistiche, sul presupposto della durata compresa entro i trenta giorni[8].
Si tratta, come è noto, di una norma tributaria, che consente ai contraenti persone fisiche (esclusa quindi l’attività di impresa) di beneficiare di una serie di vantaggi fiscali: a partire dal 1° giugno 2017, ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve si applicano – si tratta di una scelta del locatore liberamente assunta – le disposizioni in materia di cedolare secca sugli affitti, di cui alla disciplina generale dettata dall’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2011.
[1] Si veda, ex multis, Cass. civ., sez. II, sentenza, 08/11/2010, n. 22665: “L’attività di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno. In difetto della prestazione di detti servizi, pertanto, quella cessione non può essere ricondotta nell’ambito dell’attività di affittacamere, né quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo”; in senso analogo, ex multis: Cass. civ., sez. III, 18/05/1993, n. 5632; Cass. civ., sez. III, 30/04/2005, n. 9022.
[2] Cass. civ., sez. II, ordinanza 02/03/2017, n. 5336: “Le pattuizioni contenute nell’atto di acquisto di un’unità immobiliare compresa in un edificio condominiale, che comportino restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva dei singoli condomini ovvero relative alle parti condominiali dell’edificio, devono essere espressamente e chiaramente enunziate, atteso che il diritto del condomino di usare, di godere e di disporre di tali beni può essere convenzionalmente limitato soltanto in virtù di negozi che pongano in essere servitù reciproche, oneri reali o, quanto meno, obbligazioni “propter rem”: ne consegue l’invalidità delle clausole che, con formulazione del tutto generica ed inidonea, peraltro, a superare la presunzione ex art. 1117 c.c., limitano il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali, riservando all’originario proprietario l’insindacabile diritto di apportare modifiche alle parti comuni, con conseguente intrasmissibilità di tale facoltà ai successivi acquirenti da quello”.
[3] Sul tema si rinvia a LUPPINO S., “Le locazioni in condominio”, Santarcangelo di Romagna, 2020.
[4] Sul tema delle servitù in condominio (art. 1027 c.c.), CUSANO R., “Il nuovo condominio”, Napoli, 2018, pag. 144, scrive: “… Quindi, avremo servito in condominio solo allorché al condòmino viene consentito un utilizzo ulteriore e diverso rispetto all’utilitas propria del bene con corrispondente ampliamento del diritto di quel condomino e restrizione dei diritti degli altri condomini”.
[5] Conforme Cass. civ., sez. II, sentenza, 18/10/2016, n. 21024: “La previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche e non delle obbligazioni “propter rem”, difettando il presupposto dell’”agere necesse” nel soddisfacimento d’un corrispondente interesse creditorio; ne consegue che l’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l’indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 c.c., non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale”. In senso analogo, Cass. civ., sez. II, sentenza, 19/03/2018, n. 6769.
[6] Cass. civ., sez. II, sentenza, 05/09/2000, n. 11684: “Con il regolamento condominiale possono esser costituiti pesi a carico di unità immobiliari di proprietà esclusiva e a vantaggio di altre unità abitative, cui corrisponde il restringimento e l’ampliamento dei poteri dei rispettivi proprietari, o possono imporsi prestazioni positive a carico dei medesimi e a favore di altri condomini o di soggetti diversi, ovvero possono limitarsi il godimento o l’esercizio dei diritti del proprietario dell’unità immobiliare. Nel primo caso è configurabile un diritto di servitù, trascrivibile nei registri immobiliari; nel secondo un onere reale e nel terzo un’obbligazione “propter rem”, non trascrivibili. Il divieto di adibire l’immobile ad una determinata destinazione, ovvero di esercitarvi determinate attività è inquadrabile in quest’ultimo istituto, e il corrispondente diritto è prescrittibile se il creditore non lo esercita per il periodo predeterminato dalla legge”.
[7] Cass. civ., sez. II, sentenza, 28/09/2016, n. 19212:“La decisione non è in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3 luglio 2003 n. 10523; Cass. 14 gennaio 1993 n. 395; Cass. 26 maggio 1990 n. 4905) secondo cui “le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che può imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti, di loro esclusiva proprietà purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione nell’atto di acquisto, si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che – seppure non inserito materialmente – deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”. In senso analogo: Cass. civ., sez. II, sentenza, 11/02/2022, n. 4529.
[8] Sia consentito rinviare al mio contributo in materia di locazioni atipiche: OTTOLINA I., “Affitti brevi” (versione ebook), Santarcangelo di Romagna, 2021.
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