5 Novembre 2024

Condominio: legittimazione processuale dell’amministratore

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Ordinanza del 31.07.2024 n. 21506, Sez. II, Presidente Dott. L. Orilia, Estensore Dott. S. Oliva

Massima: Il secondo comma dell’art. 1131 c.c., nel prevedere la legittimazione passiva dell’amministratore in ordine ad ogni lite avente ad oggetto interessi comuni dei condomini (senza distinguere tra azioni di accertamento ed azioni costitutive o di condanna), deroga alla disciplina valida per le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi, soccorrendo, così, all’esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini. Pertanto, riguardo ad azioni negatorie e confessorie di servitù, la legittimazione passiva dell’amministratore del condominio sussiste anche nel caso in cui l’azione sia diretta ad ottenere la rimozione di opere comuni”.

CASO

Con atto di citazione, i Condomini di Via Beta n. 3-5-7, in persona dei rispettivi amministratori, convenivano in giudizio il condominio di Via Gamma nn. 3, 3/2 e 5, innanzi al Tribunale di Bologna, onde ottenere l’accertamento dell’esistenza di un diritto di servitù di passaggio, pedonale e carrabile, e la condanna del convenuto a rimuovere le opere limitative dell’esercizio del transito.

Si costituiva il condominio convenuto, nonché intervenivano diversi condomini parte dei condomini attori, con intervento adesivo autonomo.

Il Tribunale di Bologna con sentenza n. 20611/2016, accoglieva la domanda attorea.

Il soccombente in primo grado interponeva appello alla menzionata sentenza innanzi alla Corte d’Appello di Bologna, la quale riformava la sentenza del giudice del primo grado, rigettando la domanda formulata dagli attori, condannandoli altresì alle spese del giudizio.

Avverso la medesima decisione, i Condomini appellati nonché gli intervenuti in giudizio proponevano ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi.

Si difendeva con controricorso il Condominio Gamma, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato e subordinato, sulla base di tre motivi, a sua volta resistito con controricorso.

Le parti depositavano memorie.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21506 del 31 luglio del 2024, accoglieva il primo motivo del ricorso principale, ritenendo assorbiti gli altri, e rigettava quello incidentale.

Cassava la sentenza impugnata con riferimento alla censura accolta e rinviava la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Bologna, in composizione differente.

Dava atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, del D.P.R. n. 115 del 2002 se dovuto.

QUESTIONI

In via preliminare la Corte di Cassazione analizzava l’eccezione di tardivo deposito della delibera assembleare condominiale con la quale si autorizzava alla proposizione del ricorso in Cassazione, portata all’attenzione della Corte da parte del Condominio Gamma nella memoria.

L’eccezione è infondata sulla base del principio in ragione del quale “la delibera condominiale con la quale si autorizza l’amministratore a promuovere un giudizio vale per tutti i gradi del giudizio stesso e conferisce quindi, implicitamente, la facoltà di proporre ogni genere di impugnazione compreso il ricorso per cassazione[1].

Nell’esame dei ricorsi la Corte di legittimità riteneva necessario analizzare in prima istanza il ricorso incidentale proprio per ragioni di priorità logica – in quanto contenente questioni relative la legittimazione ad agire del Condominio Beta (ricorrente principale).

Con il primo motivo di ricorso incidentale, il Condominio Gamma, lamentava la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 1130, 1131 c.c., 75 e 77 c.p.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto – erroneamente – “solo formalmente riproposta, ma non argomentata, e comunque infondata nel merito, la doglianza con la quale l’odierna parte ricorrente incidentale aveva contestato l’inesistenza della legittimazione ad agire degli amministratori dei condomini attori”.

Secondo il ricorrente incidentale, invero, la ridetta censura era stata riproposta in maniera rituale ed era fondata, non essendo possibile per l’amministratore agire a tutela di un diritto reale costituito a favore del condominio, a meno che non vi fosse un mandato ad esso conferito da tutta la compagine condominiale all’unanimità.

La Corte di Cassazione riteneva tale censura infondata. Deve, infatti ritenersi esclusa la necessità di integrare il contraddittorio in un giudizio per la costituzione della servitù di passaggio coattivo – promosso da un comproprietario del fondo dominante – da un lato in quanto ogni comunista può richiederne la costituzione a favore del fondo intercluso e dall’altro in ragione del principio della indivisibilità della servitù in quanto “una volta riconosciute le condizioni per l’imposizione della servitù stessa, questa deve intendersi costituita attivamente e passivamente a favore ed a carico dei rispettivi fondi, con effetti che, concretandosi in una “qualitas fundi”, non possono essere circoscritti al solo condomino che richiese di ottenere il passaggio[2].

Ne deriva l’insussistenza del vizio dedotto dal ricorrente in via incidentale. Invero, ai sensi dell’art. 1130 e 1131 c.c., l’amministratore viene gravato della stessa legge dell’onere di porre in essere tutti gli atti volti alla conservazione delle ragioni comuni (beni e diritti), attraverso un potere di rappresentanza sia di natura sostanziale che di natura processuale.

Nella decisione, la Corte, inoltre richiamava un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in ragione del quale “con specifico riferimento alle azioni a difesa dei diritti spettanti all’intera compagine condominiale, che poiché il diritto di ciascun condomino investe la cosa comune nella sua interezza sia pure con il limite del concorrente diritto degli altri condomini, anche un solo condomino può promuovere le azioni reali a difesa della proprietà comune senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione. Pertanto tali azioni possono essere deliberate anche a maggioranza dall’assemblea dei condomini la quale può conferire all’amministratore o ad altri il potere di agire nel comune interesse[3].

Occorre, al contrario, integrare il litisconsorzio nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione nell’ipotesi in cui, l’azione negatoria sia volta ad ottenere al contempo la rimozione delle opere comuni, dal momento che gli effetti della medesima azione producono i loro effetti nei confronti dei singoli condomini – ipotesi, tuttavia non riconducibile al caso per cui è lite.

Con il secondo motivo, il ricorrente in via incidentale censurava la violazione dell’art. 105, c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c., per avere la Corte distrettuale “erroneamente attribuito” rilevanza all’intervento da parte dei partecipanti in quanto il medesimo “avrebbe dovuto essere qualificato sub specie di intervento adesivo dipendente, e dunque inidoneo a superare l’eccezione di carenza di legittimazione ad agire in capo agli amministratore dei condomini attori”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva tale motivo di ricorso incidentale parimenti infondato.

Invero, posta la legittimazione ad agire riconosciuta a favore degli amministratori dei condomini attori – ai sensi e per gli effetti degli artt. 1130 e 1131, c.c. – i medesimi hanno promosso l’actio confessoria servitutis a tutela di un diritto reale di servitù di passaggio a favore dei condomini da loro amministrati ed in ragione di delibere autorizzative approvate a maggioranza dei presenti.

Il ridetto successivo intervento adesivo dei partecipanti ai condomini attori avvalora la domanda avanzata da parte degli amministratori, aderendo alla stessa. La Corte, inoltre, non rilevava alcun “alcun profilo di dipendenza tra la domanda spiegata dal condominio e quella proposta dagli intervenienti, poiché, non sussistendo una soggettività autonoma in capo all’ente di gestione, la domanda rimane la stessa, e consiste nella protezione di un diritto reale costituito a favore del condominio attore, e dunque di tutti i partecipanti ad esso, pro quota”.

Con il terzo motivo, il ricorrente in via incidentale denunciava la violazione degli artt. 120 c.p.c., e 1079 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., per avere la Corte di Appello di Bologna affermato, in maniera errata, che l’azione promossa nei confronti del condominio Gamma, non coinvolgeva dal lato passivo i suoi partecipanti, nei confronti dei quali non ha rilevato la necessità di integrare il contraddittorio.

Anche la terza censura veniva ritenuta infondata.

Ad avviso della Corte di Cassazione, appare necessario richiamare il principio in virtuù del quale l’art. 1131, comma 2, c.c., laddove dispone la legittimazione passiva da parte del rappresentante dei condomini relativamente ad ogni vertenza avente ad oggetto interessi comuni della compagine condominiale (indipendentemente dalla distinzione tra una azione di accertamento, di condanna o costitutiva), rappresenta una deroga alla disciplina applicabile negli altri casi in cui si ravvisa una pluralità di soggetti passivi “soccorrendo, così, all’esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini”.

Ne deriva che come da principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, rispetto alle azioni negatorie e confessorie di servitù la legittimazione passiva dell’amministratore è da ritenersi sussistente anche ove la domanda sia volta alla rimozione delle opere comuni[4].

È necessario conformarsi al ridetto orientamento: “non potendosi confondere il caso in cui la actio confessoria servitutis implichi la rimozione degli ostacoli frapposti, da chi non ne aveva diritto, al legittimo esercizio del diritto reale, alla diversa ipotesi in cui la actio negatoria servitutis, proposta contro il condominio, implichi la rimozione delle opere comuni, attraverso le quali la servitù veniva esercitata”.

Solo in questa ipotesi è richiesta la partecipazione in giudizio dell’intera compagine condominiale.

Ne consegue il rigetto della domanda incidentale promossa dal Condominio Gamma.

Esaminando i motivi di ricorso principale, con il primo motivo il ricorrente principale denunciava l’omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per avere la Corte di Appello di Bologna ritenuto non integrata la prova della sussistenza della servitù, sulla base del fatto che agli atti del giudizio di prime cure fossero stati allegati unicamente i titoli con i quali i condomini del condominio attore acquistavano le unità immobiliari, senza tuttavia tenere presente che lo stesso attore aveva prodotto in giudizio anche la convenzione di lottizzazione trascritta nel 1962, conclusa tra gli originari proprietari delle aree oggetto di lite ed il Comune del capoluogo felsineo, a mezzo della quale veniva istituita la servitù di passaggio.

La Corte di Cassazione accoglieva la menzionata censura in quanto fondata.

Invero, il ricorrente ha correttamente indicato il momento nonché lo strumento a mezzo del quale il detto documento veniva prodotto in giudizio. Ne deriva che la Corte distrettuale errava nel rilevare che non fosse presente all’interno della documentazione prodotta il ridetto titolo costitutivo della servitù di passaggio che fra le altre cose era stato anche richiamato dal medesimo collegio.

Deve ritenersi, pertanto, infondata l’eccezione sollevata da controparte nel controricorso, derivandone la cassazione della sentenza “per rimediare all’omesso esame”.

Orbene, l’accoglimento del primo motivo di ricorso principale risulta assorbente rispetto ai restanti tre motivi ed in particolare con il secondo motivo, il ricorrente in via principale denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1058 e 1079 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere la Corte d’Appello di Bologna, ritenuto sufficiente il richiamo all’originario titolo di costituzione della servitù di passaggio negli accordi con i quali i condomini dei Condomini attori acquistavano gli immobili di loro proprietà; con il terzo motivo, censurava ai sensi dell’art. 360. Comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1159 c.c. e 112 c.p.c., in quanto il giudice di seconde cure non avrebbe esaminato la domanda avanzata dagli originari attori in maniera integrale e omettendo di rilevare la natura autodeterminata del diritto reale di servitù oggetto della lite. Infine, con il quarto motivo di ricorso principale, si denunciava ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. in relazione all’omessa pronuncia sulla richiesta di ammissione della Consulenza Tecnica d’Ufficio.

Definitivamente pronunciandosi, la Corte di legittimità, rigettava il ricorso incidentale, accogliendo il primo motivo di ricorso principale come sopra descritto con assorbimento del secondo, terzo e quarto motivo, cassava, infine, la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in differente composizione.

[1] Cass. Civ. n. 11863/24

[2] Cass. Civ. n. 4399/12

[3] Ex multis n. 6119/94.

[4] Cass. Civ. n. 1485/96

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