Condominio e canna fumaria: parte comune o esclusiva ?
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sez. II, Sentenza del 31.5.2023 n. 15278, Presidente F. Manna, Estensore A. Scarpa
Massima: “L’espressione del consenso del proprietario di una canna fumaria alla rimozione dell’impianto collocato sul lastrico solare di altrui proprietà esclusiva posto a copertura dell’edificio condominiale, non rientra tra le attribuzioni dell’assemblea di condominio, configurandosi come rinuncia del titolare della servitù di attraversamento e fuoriuscita di canna fumaria, esistente a carico del lastrico medesimo ed in favore dell’immobile sottostante, la quale deve risultare da atto scritto”.
CASO
Tizio e Caio citavano innanzi al Giudice di Pace di Pescara l’avvocato Sempronio asserendo di essere stati indotti in errore da quest’ultimo, poiché durante l’assemblea di condominio il condominio Mevio lo aveva incaricato di esprimere la sua volontà favorevole alla rimozione di tre canne fumarie in uso ai condomini Sempronio e Mevio, i cui comignoli erano collocati sul lastrico solare di proprietà esclusiva di Tizio e Caio.
In particolare, l’assemblea, alla quale Sempronio partecipava anche in rappresentanza di Mevio nonché dei suoi genitori – anch’essi condomini -, autorizzava Tizio e Caio, che stavano realizzando un tetto di copertura in sostituzione del lastrico, a chiudere le canne fumarie.
Tuttavia, successivamente perveniva al contrario un divieto da parte di Mevio di rimuovere le canne fumarie, giacché l’impresa appaltatrice delle opere eseguite sul tetto rispristinava le stesse, attribuendone la spesa a Tizio e Caio.
Pertanto, gli stessi agivano in giudizio evocando Mevio e chiedendo il rimborso di tale somma ma il Giudice di Pace di Pescara rigettava la domanda, in quanto attribuiva, invece, una possibile responsabilità in capo a Sempronio quale falsus procurator.
Tizio e Caio, di conseguenza, agivano con altra autonomo giudizio nei confronti di Sempronio, al fine di sentirlo condannare al risarcimento dei danni pari all’importo della spesa di ripristino della canna fumaria e delle spese processuali del precedente giudizio intentato contro Mevio.
Il Giudice di Pace accoglieva solamente la domanda relativa alla somma dell’importo anticipato da Tizio e Caio per il ripristino della canna fumaria rilevando che Sempronio nella succitata assemblea non avesse effettivamente espresso alcun dissenso all’autorizzazione della chiusura delle canne fumarie quale delegato di Mevio.
Sempronio in qualità di soccombente nel presente giudizio decideva di impugnare la sentenza presso il Tribunale di Pescara, il quale evidenziava l’assenza all’ordine del giorno dell’assemblea oggetto di causa, la questione relativa alla chiusura delle canne fumarie, per come già accertata nella prima sentenza del Giudice di Pace, ossia la canna fumaria abbattuta fosse di proprietà esclusiva di Mevio, sicché non vi era al riguardo competenza dell’assemblea a decidere e deliberare.
Il Tribunale, al contrario, non sollevava una responsabilità ex art. 1227, comma 2, c.c. in capo a Tizio e Caio, che avevano invece proceduto all’abbattimento della canna fumaria di proprietà di Mevio, a causa di una delibera assembleare e per di più in materia su cui la stessa non era competente e per una questione neppure all’ordine del giorno, senza peraltro delega scritta di Sempronio.
Alla luce di quanto detto, pertanto, il Tribunale di Pescara accoglieva il ricorso proposto dall’avvocato Sempronio e respingeva, invece, l’appello proposto da Tizio e Caio.
Orbene, Tizio e Caio decidevano di promuovere ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi avverso la sentenza del Tribunale.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava in solido i ricorrenti al rimborso alla controparte delle spese sostenute nel presente giudizio oltre spese generali e accessori di legge.
QUESTIONI
Con il primo motivo i ricorrenti deducevano la violazione dell’art. 112 c.p.c., asserendo che l’appello di Sempronio si fosse limitato ad evidenziare l’invalidità della delibera assembleare senza censurare la decisione del giudice di prime cure in merito alla sussistenza della sua responsabilità e l’incolpevole affidamento di Tizio e Caio, formandosi così il giudicato sul punto. Oltretutto, gli stessi ritenevano che il Tribunale si fosse concentrato su questioni, quali l’ordine del giorno e la competenza dell’assemblea, estranee ai motivi d’appello.
La Corte, tuttavia, riteneva tale primo motivo manifestamente infondato, sicché stante la sentenza di primo grado, recante la condanna di Sempronio al risarcimento dei danni sofferti da Tizio e Caio per aver confidato senza colpa nel consenso di Mevio, falsamente rappresentato da Sempronio, alla rimozione della canna fumaria, il conseguente appello dello stesso che deduceva l’invalidità della delibera assembleare, consentiva al giudice l’esame dell’intera questione della sussistenza e della validità del potere rappresentativo, non configurando, quindi, tali questioni solo una parte della sentenza, agli effetti dell’art. 329, comma 2, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno ed in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello.
Con la seconda censura i ricorrenti denunciavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1135 e 1137 c.c., sottolineando che la deliberazione assembleare era stata assunta all’unanimità.
Il terzo motivo del ricorso rilevava la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 disp. att. c.c., nella formulazione applicabile al momento a cui si riferisce il fatto. Così i ricorrenti evidenziavano che non occorreva delega scritta.
Con la quarta e ultima doglianza i ricorrenti lamentavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, comma 2, 2056 e 1175 c.c. poiché in presenza di una delibera approvata all’unanimità e sottoscritta da tutti i presenti, essa era opponibile anche agli stessi Tizio e Caio, obbligati ad eseguirla.
Anzitutto, in riferimento alla canna fumaria presente in un edificio in condominio, essa, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non è necessariamente identificabile quale parte comune ai sensi dell’art. 1117 c.c., potendo appartenere anche a uno solo dei condomini, se sia destinata a servire esclusivamente l’appartamento o il locale cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale di comunione[1].
Pertanto, spetterà ai nuovi proprietari la rimozione della stessa quando la destinazione era posta all’uso esclusivo dei locali del precedente proprietario[2].
Alla luce di quanto premesso, le deliberazioni assunte dall’assemblea devono avere ad oggetto le sole materia ad essa attribuite, nelle quali rientrano la gestione dei beni e dei servizi comuni e non anche dei beni appartenenti esclusivamente ai singoli condomini o a terzi, come ad esempio i muri perimetrali di proprietà esclusiva, quand’anche attraversati da tubazioni, canali e altro necessario al servizio degli altri appartamenti, sicché la deliberazione assembleare che approvi e ripartisca una spesa priva di inerenza alla gestione condominiale è affetta da nullità. Qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può, quindi, essere adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi[3].
Ad ogni modo, quando, invece, si verte in tema di deliberazioni di competenza dell’assemblea condominiale, e si deduce che la stessa sia stata adottata in forza del voto di un falso o infedele delegato, voto che abbia inciso sulla regolare costituzione dell’assemblea o sul raggiungimento della maggioranza deliberativa prescritta dalla legge o dal regolamento, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato trovano disciplina in base alle regole sul mandato, con la conseguenza che solo il condomino delegante si ritiene legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega, e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto[4].
Orbene, il caso di specie, secondo Corte di legittimità, doveva essere qualificato quale rinuncia del titolare del titolare della servitù di attraversamento e fuoriuscita di canna fumaria, esistente a carico del lastrico medesimo ed in favore dell’immobile sottostante, la quale deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’articolo 1350, numeri 4 e 5, c.c., giacché inerente alla espressione del consenso del proprietario di una canna fumaria alla rimozione dell’impianto collocato sul lastrico solare di proprietà esclusiva posto a copertura dell’edificio condominiale.
Pertanto, “nel caso in cui il proprietario della canna fumaria si faccia rappresentare al fine di esprimere il proprio consenso alla estinzione della servitù gravante sull’immobile altrui, è necessario che il conferimento della procura risulti da atto scritto secondo la previsione di cui all’articolo 1392 c.c. Il proprietario del fondo gravato dalla servitù non può perciò invocare il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole, al fine di affermare la responsabilità del falsus procurator ex articolo 1398 c.c. ove, come nella specie, abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del delegato che abbia speso il nome del titolare della servitù, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta”.
[1] Cass. civ., Ord. n. 20555/2021.
[2] Cass. civ., Ord. n. 4499/2020.
[3] Cass. civ., Ord. n. 16953/2022.
[4] Cass. civ., Sent. n. 22958/2022.
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