Condominialità necessaria o funzionale: nulla la clausola di riserva su parti comuni dello stabile
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 26 gennaio 2021 n. 1610 (Presidente Dott. F. Manna, Relatore Dott. G. Dongiacomo)
Condominio – Vendita di unità immobiliare in condominio – Beni comuni esclusi dal trasferimento – Riserva di proprietà – Nullità – Rinuncia di condomino a parti comuni vietata dal capoverso dell’art. 1118 c.c. – Condominialità necessaria o strutturale e condominialità funzionale – Divieto di vendita separata.
“La cessione delle singole unità immobiliari separatamente dal diritto sulle cose comuni, vietata ai sensi dell’art. 1118 c.c., è esclusa soltanto quanto le cose comuni e i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva siano, per effetto di incorporazione fisica, indissolubilmente legate le une alle altre (cd. condominialità “necessaria” o “strutturale”) oppure nel caso in cui, pur essendo suscettibili di separazione senza pregiudizio reciproco, esista tra di essi un vincolo di destinazione che sia caratterizzato da indivisibilità per essere i beni condominiali essenziali per l’esistenza delle proprietà esclusive, laddove, qualora i primi siano semplicemente funzionali all’uso e al godimento delle singole unità (cd. condominialità “funzionale), queste ultime possono essere cedute anche separatamente dal diritto di condominio sui beni comuni.”
CASO
La controversia in rassegna prende avvio mediante domanda di declaratoria di nullità, avanzata dinanzi al Tribunale di Udine, da una clausola contenuta all’interno di un contratto di compravendita immobiliare, in cui il venditore aveva escluso dall’alienazione il 50% della quota del cortile e della centrale termica.
Il Tribunale di Udine rigettava la domanda attorea; ragione per cui, i soccombenti, proponevano giudizio d’appello sul rilievo, innanzitutto, che la centrale termica e il cortile, in forza di un atto di divisione risalente al 1975 – costitutivo del condominio – erano stati considerati come beni comuni e, come tali, inalienabili senza il consenso di tutti i comproprietari delle unità residenziali del fabbricato principale, ed, in secondo luogo, che sia la centrale elettrica, che il cortile erano incorporati in modo essenziale alle unità immobiliari de quibus.
La Corte d’Appello di Trieste, dopo aver premesso che l’appellante deduceva l’usucapione della centrale termica da parte del venditore convenuto e, che tale circostanza non era stata contestata nella memoria di replica della controparte ha, innanzitutto, ritenuto che il cortile comune non poteva essere stato trasferito in ragione dell’espressa dichiarazione di riserva e del noto principio per cui “nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet” per cui, la proprietà del cortile era e restava comune, non ravvisandosi un interesse contrario.
Del resto, aggiungeva la Corte, essendo che gli appartamenti avevano un’autonoma consistenza, “con accesso al fronte strada”, trovava, quindi, applicazione il principio per cui, in tema di rinuncia di un condomino al diritto sulle cose comuni – vietata dall’articolo 1118 c.c. – la cessione della proprietà esclusiva non può essere separata dal diritto sui beni comuni.
Principio, dunque, riscontrabile quando le cose comuni e i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva siano, per effetto di incorporazione fisica, indissolubilmente legate le une alle altre oppure nel caso in cui, pur essendo suscettibili di separazione senza pregiudizio reciproco, esista tra di essi un vincolo di destinazione che sia caratterizzato da indivisibilità per essere i beni condominiali essenziali per l’esistenza ed il godimento delle proprietà esclusive.
Viceversa, qualora i primi siano semplicemente funzionali all’uso e al godimento delle singole unità, queste ultime possono essere cedute separatamente dal diritto di condominio sui beni comuni, con la conseguenza che, in tal caso, la presunzione di comunione cui all’articolo 1117 c.c., risulta superata dal titolo.
Soccombenti anche in secondo grado, i compratori proponevano ricorso per Cassazione con atto affidato a quattro motivi.
SOLUZIONE
La Suprema Corte di Cassazione accoglieva il ricorso e, per l’effetto, cassava la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Trieste in differente composizione.
QUESTIONI
Mediante la prima doglianza, i ricorrenti, lamentando la violazione degli artt. 1362 c.c. e segg., artt. 1419 e 1117 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censuravano la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di seconde cure aveva ritenuto che il cortile comune non era stato trasferito, in conseguenza della espressa dichiarazione di riserva, della quale era stata chiesta la dichiarazione di nullità.
La Corte d’Appello, secondo i ricorrenti, per decidere sulla natura di bene comune condominiale del cortile, aveva fatto esclusivo riferimento al contratto di compravendita – contenente la riserva in favore del venditore convenuto del 50% della centrale termica e del cortile – ma non all’atto di divisione del 1975, in ordine al quale ometteva qualsivoglia esame o riferimento, pur trattandosi dell’atto che costitutivo del condominio e indicante, chiaramente, il cortile e la centrale termica tra i beni comuni del fabbricato residenziale.
La riserva di proprietà di tali beni comuni, pertanto, asserivano i ricorrenti, per essere valida, avrebbe dovuto essere approvata dal proprietario del primo piano residenziale e delle relative parti comuni. Ciò in quanto, per mutare la natura di bene comune del cortile è necessario il consenso di tutti i condomini, per cui il singolo condomino che cede la porzione di piano di sua esclusiva proprietà non può’ riservare a sé il diritto di comproprietà sulle cose comuni.
I ricorrenti deducevano altresì che la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un’unità immobiliare di un condominio, con la quale viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni è da ritenersi nulla, poiché con essa si intende attuare la rinuncia di un condomino alle predette parti, vietata dal capoverso dell’art. 1118 c.c..
Con la seconda censura i ricorrenti, lamentando la violazione degli artt. 817 e 818, 1362 c.c. e segg., articoli 1419 e 1419 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censuravano la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il cortile comune non poteva essere stato trasferito in conseguenza del noto principio per cui nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet. La corte d’appello, aggiungevano, così statuendo, non considerava che la nullità della clausola, escludente dalle relative vendite la quota pari al 50% della centrale termica e del cortile, pur trattandosi di parti comuni inscindibili al fabbricato principale, comportava che, nei fatti, tali beni, per il principio accessorium sequitur principale, erano stati trasferiti all’acquirente tanto con riguardo alla prima, che alla seconda vendita.
Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentavano la violazione degli artt. 1102, 1118, 1119 e 1123 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello aveva ritenuto che gli appartamenti avessero un’autonoma consistenza, con accesso al fronte strada ed aveva, quindi, applicato il principio per cui la proprietà’ esclusiva non può essere separata dai beni comuni, soltanto quando le cose comuni e i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva siano indissolubilmente legate per effetto di incorporazione fisica oppure quando, pur essendo suscettibili di separazione senza pregiudizio reciproco, esista tra di essi un vincolo di destinazione che sia caratterizzato da indivisibilità per essere i beni condominiali essenziali per l’esistenza ed il godimento delle proprietà esclusive.
Con il quarto motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione degli artt. 1102-1117 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censuravano la sentenza impugnata nella parte in cui il giudicante aveva ritenuto che la proprietà del cortile era e restava comune, non ravvisandosi un interesse contrario, laddove, al contrario – asserivano i ricorrenti – vi era l’interesse del condominio di godere del cortile come bene comune con tutte le facoltà inerenti.
Gli Ermellini, solcando consolidato orientamento della medesima Corte[1], affermavano – come asserito dai ricorrenti – che la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un’unità immobiliare di un condominio, con la quale viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni è da ritenersi nulla; ciò in quanto, mediante la stessa, s’intende attuare la rinuncia di un condomino alle predette parti che è, invece, vietata dal capoverso dell’art.1118 c.c.
D’altra parte, sottolineano, la cessione della proprietà esclusiva non può essere separata dal diritto sui beni comuni soltanto quando le cose comuni e i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva siano, per effetto di incorporazione fisica, indissolubilmente legate le une alle altre oppure nel caso in cui, pur essendo suscettibili di separazione senza pregiudizio reciproco, esista tra di essi un vincolo di destinazione che sia caratterizzato da indivisibilità per essere i beni condominiali essenziali per l’esistenza ed il godimento delle proprietà esclusive.
Solo allorquando i beni comuni siano semplicemente funzionali all’uso e al godimento delle singole unità, queste ultime possono essere cedute separatamente dal diritto di condominio sugli stessi[2].
La cessione delle singole unità immobiliari separatamente dal diritto sulle cose comuni è, dunque, vietata, ai sensi dell’art. 1118 c.c., solo in caso di condominialità “necessaria” o “strutturale”, per l’incorporazione fisica tra cose comuni e porzioni esclusive ovvero per l’indivisibilità del legame attesa l’essenzialità dei beni condominiali per l’esistenza delle proprietà esclusive; non anche nelle ipotesi di condominialità solo “funzionale” all’uso e al godimento delle singole unità, le quali possono essere, quindi, cedute anche separatamente dal diritto di condominio sui beni comuni[3].
La corte d’appello, ritenendo valida la clausola contrattuale – mediante la quale il venditore si riservava la quota pari al 50% della proprietà del cortile interno al fabbricato – sul mero rilievo che gli appartamenti interessati dalla compravendita avevano un’autonoma consistenza “con accesso al fronte strada”, senza però specificamente verificare, in fatto, se tale cortile, al momento della costituzione del condomino con l’atto di divisione del 1975, era divenuto o meno, ai fini previsti dall’art.1117 c.c., un bene oggetto di proprietà comune tra i proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, ed, in caso positivo, se tale cortile era indissolubilmente legato alle porzioni di proprietà esclusiva per effetto d’incorporazione fisica ovvero d’essenzialità funzionale, si era, quindi, posta in contrasto con i principi suesposti.
Per le motivazioni di cui sopra, la pronuncia impugnata non resisteva alle censure mosse dai ricorrenti; ragion per cui, il Supremo Collegio, accoglieva il ricorso e cassava la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, per un nuovo esame della vertenza.
[1] Cass. n. 20216 del 2017; Cass. n. 1680 del 2015; Cass. n. 6036 del 1995; Cass. n. 3309 del 1977
[2] Cass. n. 12128 del 2004
[3] Cass. n. 18344 del 2015
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia