13 Ottobre 2020

Condizioni e limiti della tutela risarcitoria nell’esecuzione esattoriale

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2020, n. 17661 – Pres. Uliana – Rel. De Stefano

Poiché l’azione risarcitoria contro l’agente della riscossione, prevista dall’art. 59 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è data all’esecutato solo ove non abbia potuto esercitare alcun rimedio proprio del processo esecutivo esattoriale, essa è proponibile nel caso di contestazione della violazione del limite di valore del credito azionato con espropriazione esattoriale immobiliare, mossa in prossimità della vendita in tempo anteriore alla sentenza n. 114 del 2018 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lett. a), del medesimo d.P.R., nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c.

CASO

Una società agiva nei confronti dell’agente della riscossione ai sensi dell’art. 59 d.P.R. 602/1973, per ottenere il risarcimento dei danni provocati dall’esecuzione esattoriale promossa e portata a termine in suo danno, quantunque, al momento della vendita del bene pignorato, il debito tributario fosse stato pressoché integralmente estinto.

In particolare, veniva lamentato che, sebbene prima dell’esperimento del terzo tentativo di vendita dell’immobile il debito si fosse ridotto al di sotto del limite stabilito dall’art. 76 d.P.R. 602/1973 (che, nel testo vigente all’epoca dei fatti, impediva al concessionario di procedere con l’espropriazione immobiliare, ove l’importo complessivo del credito fosse stato inferiore a € 8.000,00), l’esecuzione era nondimeno proseguita e il bene era stato alfine assegnato.

La domanda veniva accolta in primo grado, ma, a seguito di impugnazione proposta dall’agente della riscossione, la sentenza favorevole alla società esecutata veniva riformata in appello, sul presupposto che, non essendo stata interposta opposizione all’esecuzione, l’azione risarcitoria fosse inammissibile.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla società esecutata, reputando che, a differenza di quanto affermato dai giudici di secondo grado, la stessa fosse legittimata a esperire l’autonoma azione risarcitoria di cui all’art. 59 d.P.R. 602/1973, essendole – all’epoca dei fatti – preclusa un’ordinaria opposizione all’esecuzione, per effetto della vigenza dell’art. 57 d.P.R. 602/1973 nel testo antecedente alla declaratoria di illegittimità costituzionale intervenuta nel 2018.

QUESTIONI

Nell’esaminare il ricorso proposto avverso la sentenza impugnata, che aveva pronunciato il rigetto della pretesa risarcitoria azionata dalla società colpita da esecuzione esattoriale, in conseguenza della mancata proposizione di un’opposizione all’esecuzione per far valere la violazione del limite stabilito dall’art. 76 d.P.R. 602/1973, i giudici di legittimità hanno ricostruito la natura e i presupposti della speciale azione prevista dall’art. 59 d.P.R. 602/1973, in base al quale chiunque si ritenga leso dall’esecuzione esattoriale può agire contro il concessionario dopo il compimento dell’esecuzione, onde ottenere il risarcimento dei danni.

A seguito della fondamentale pronuncia di Corte Cost., 31 maggio 2018, n. 114, la quale – alla luce delle riforme introdotte con il d.lgs. 546/1992 in tema di contenzioso tributario e con il d.lgs. 46/1999 in tema di riscossione mediante ruolo, del conseguente riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice ordinario e dell’assetto dei rimedi esperibili che ne è derivato – ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 59, comma 1, lett. a), d.P.R. 602/1973, nella parte in cui non prevedeva l’ammissibilità delle opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c. nelle controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del medesimo d.P.R. 602/1973, si è creata un’indissolubile correlazione tra l’azione risarcitoria nei confronti dell’agente della riscossione e i limiti alla proponibilità dei rimedi previsti per il processo esecutivo ordinario al quale, nonostante le sue peculiarità, va assimilato quello esattoriale.

L’eccezionale esclusione o limitazione della normale tutela giurisdizionale durante la pendenza del processo esecutivo esattoriale sancita dagli artt. 57 e 58 d.P.R. 602/1973, infatti, implica necessariamente una tutela risarcitoria o per equivalente successiva, quale indefettibile presidio del diritto fondamentale alla difesa in giudizio.

D’altro canto, in linea generale, va considerato che il processo esecutivo comporta un sistema chiuso di rimedi, nel senso che, per ovviare all’invalidità e ai vizi degli atti e dei provvedimenti che lo riguardano, ovvero alle loro conseguenze, bisogna necessariamente fare ricorso agli strumenti all’uopo predisposti dall’ordinamento, vale a dire alle opposizioni esecutive (nelle forme dell’opposizione all’esecuzione e dell’opposizione agli atti esecutivi).

Ciò in quanto anche al processo esecutivo è sottesa l’esigenza di stabilità, quale presidio volto a garantire la sua concreta effettività, che viene assicurata tramite la tassatività dei rimedi avverso i suoi atti e le preclusioni che derivano dalla loro mancata attivazione: in quest’ottica, ammettere che, dopo la conclusione del processo esecutivo e una volta scaduti i termini per proporre le relative opposizioni, residui la possibilità di esperire altri rimedi di carattere generale (quali l’azione di ripetizione dell’indebito o l’azione di arricchimento senza causa), volti a vanificare gli effetti dell’esecuzione, comporterebbe una violazione dei principi di legalità insiti nella disciplina dell’attività giurisdizionale, giacché gli interessati che si ritengano lesi sono tenuti a reagire all’interno del processo, avvalendosi dei mezzi appositamente apprestati a loro tutela dall’ordinamento.

In altre parole, il sistema processuale non ammette che gli effetti pregiudizievoli dei suoi atti possano essere elisi tramite mezzi diversi dalle azioni tipiche previste dal legislatore, non potendosi – in particolare – recuperare l’inerzia o la rinuncia ad avvalersene mediante il ricorso alla tutela risarcitoria o per equivalente.

Chi intende contestare i presupposti di un’azione esecutiva minacciata o intrapresa nei suoi confronti ha dunque l’onere di azionare gli strumenti processuali contemplati dall’ordinamento, restandogli altrimenti preclusa ogni ulteriore forma di tutela (ivi compresa quella risarcitoria): una volta concessa una determinata azione, questa assorbe e preclude la tutela generale, sicché anche la responsabilità per i danni causati dal processo va fatta valere esclusivamente in esso, salvo che ciò non sia possibile per circostanze non imputabili al danneggiato.

Tali principi valgono anche nel processo esecutivo esattoriale, di modo che la mancata impugnazione – quando essa era invece possibile – degli atti presupposti ne comporta l’inoppugnabilità e la vincolatività per l’agente della riscossione, elidendo in radice l’ingiustizia del danno.

Di converso, nella misura in cui residuino particolari divieti di proponibilità di azioni normalmente concesse al debitore, persiste la possibilità di promuovere la speciale azione risarcitoria di cui all’art. 59 d.P.R. 602/1973.

In definitiva, al debitore assoggettato a esecuzione esattoriale non è data un’azione di risarcimento del danno, né ai sensi dell’art. 59 d.P.R. 602/1973, né ai sensi dell’art. 2043 c.c., ove sia mancata l’impugnativa – in astratto possibile – degli atti costituenti il fondamento dell’azione esecutiva.

Nel caso di specie, tuttavia, quando venne avviata a suo carico l’esecuzione esattoriale, l’esecutata non disponeva di alcuna tutela giurisdizionale, posto che, lamentandosi la violazione del limite di valore recato dall’art. 76 d.P.R. 602/1973 (integrante una condizione speciale dell’azione esecutiva esattoriale e non una condizione di pignorabilità del bene, avendo l’effetto di impedire l’inizio o la prosecuzione dell’espropriazione immobiliare, quando il valore del credito non superi una determinata soglia), l’opposizione all’esecuzione ordinaria non era consentita, secondo la formulazione dell’art. 57 d.P.R. 602/1973 allora vigente (ossia prima della pronuncia della sentenza additiva della Corte costituzione del 2018): la norma, infatti, nella versione antecedente alla declaratoria di incostituzionalità, stabiliva l’inammissibilità delle opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c. (fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni) e di quelle regolate dall’art. 617 c.p.c. relativamente alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo.

Poiché, in buona sostanza, l’esecutata, al momento in cui il processo esecutivo esattoriale era in corso, non poteva (ancora) proporre opposizione all’esecuzione per lamentare la violazione del limite di cui all’art. 76 d.P.R. 602/1973, non le restava altra tutela all’infuori di quella risarcitoria prevista dall’art. 59 d.P.R. 602/1973: di conseguenza, la stessa non poteva esserle negata, come invece ritenuto dalla corte di appello.

Sotto il profilo dell’individuazione e della liquidazione del danno risarcibile dall’agente della riscossione, invece, la giurisprudenza ritiene che non si possa configurare una responsabilità (di tipo contrattuale o, al limite, precontrattuale) da inadempimento dell’obbligazione (ossia ai sensi degli artt. 1218 e seguenti c.c.), ma una responsabilità da lesione colposa di un interesse giuridicamente tutelato (cioè extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c.), tenuto conto della natura non negoziale della vendita forzata, che costituisce attività che si svolge nell’ambito di un processo e sotto la direzione del giudice dell’esecuzione, imputabile quindi all’ufficio e non alla volontà delle parti.

Alle medesime conclusioni, peraltro, deve pervenirsi anche quando il risarcimento del danno sia invocato, anziché dall’esecutato, dall’aggiudicatario del bene (il quale, per esempio, abbia visto negata o revocata la propria aggiudicazione in conseguenza di vizi della procedura imputabili all’agente della riscossione): in questo caso, il risarcimento potrà riguardare soltanto l’interesse negativo, dovendosi escludere, dunque, che possa venire in rilievo quello (positivo) inerente all’acquisto dei beni assoggettati a espropriazione forzata, correlato, in particolare, all’eventuale aumento di valore del bene tra il momento dell’aggiudicazione e la data in cui è stata dichiarata l’illegittimità dell’intera procedura esecutiva (in questo senso, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 26 agosto 2020, n. 17814).

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Delegato nelle vendite immobiliari