1 Giugno 2021

Condizioni di legittimità di opere su parti di proprietà esclusiva che incidono sull’uso della cosa comune

di Ilaria Ottolina, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, Ordinanza 19 marzo 2021, n. 7870

Condominio e proprietà – parti comuni dell’edificio – uso – copertura, da parte di un condomino, di posti auto su area di proprietà esclusiva mediante tettoia appoggiata al muro condominiale – violazione delle norme sull’uso della cosa comune – non sussiste – condizioni di legittimità – lesione del decoro architettonico dell’edificio – non sussiste.

Riferimenti normativi: art. 1102 c.c. – art. 1117 c.c. – art. 1120 c.c. – art. 1122 c.c.

“In tema di condominio di edifici, la costruzione da parte di uno dei condomini di una tettoia, appoggiata al muro perimetrale condominiale, a copertura di alcuni posti auto siti all’interno della sua proprietà esclusiva, non integra violazione delle norme che regolamentano l’uso della cosa comune (art. 1102 c.c.), se la costruzione della tettoia non contrasti con la destinazione del muro e non impedisca agli altri condomini di farne uso secondo la sua destinazione, non rechi danno alle parti comuni e non determini pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio”

“Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione”

CASO

Il caso oggetto della sentenza in commento consente di declinare i principi fondamentali in materia di uso e di modifiche delle parti comuni (art. 1102 c.c.), oltre a quelli in tema di opere su parti di proprietà (art. 1122 c.c.) e di innovazioni (art. 1120 c.c.).

La vicenda è la seguente: il proprietario di un immobile sito al piano terra realizzava all’esterno di una palazzina condominiale una struttura metallica, appoggiata al muro perimetrale condominiale, per la copertura di una preesistente scala esterna (di accesso alla propria abitazione), nonché della zona prospiciente l’immobile di proprietà, ricavandone dei posti auto.

L’opera non veniva tuttavia gradita da un condomino del piano superiore, che adiva il Tribunale di Lecce sostenendo che la struttura dovesse essere rimossa, in quanto realizzata abusivamente, senza alcuna autorizzazione da parte dell’Ente comunale ma, ancor prima, senza il consenso dei condòmini, come previsto dal regolamento condominiale contrattuale.

Il proprietario autore della tettoia esterna si costituiva in giudizio, rappresentando che l’opera era stata regolarmente autorizzata dall’autorità amministrativa e non arrecava alcuna lesione al diritto dell’attore sulle parti comuni, né alterava l’aspetto architettonico del fabbricato stesso.

Il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda e ordinava la rimozione della copertura, ritenendo che essa fosse stata realizzata in assenza del consenso assembleare, tenuto conto dell’attitudine dell’opera ad alterare sensibilmente la linea armonica dell’intero condominio.

Il proprietario soccombente impugnava la sentenza avanti la Corte d’Appello di Lecce, la quale accoglieva la domanda e, in riforma della sentenza del primo Giudice, dichiarava che le opere erano “mere superfetazioni, asportabili senza la necessità di demolire strutture portanti, trattandosi di pensiline e/o parapetti sostenuti da pilastri e travetti esterni (in ferro zincato), poggiati sul muro di facciata”: esse quindi non alteravano significativamente la fisionomia della palazzina e non necessitavano pertanto di preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale.

La causa approdava così in Cassazione, su ricorso del condomino soccombente, a cui resisteva con controricorso (e ricorso incidentale condizionato) il proprietario autore della copertura esterna.

SOLUZIONE

La Suprema Corte rigettava il ricorso (e dichiarava assorbito il ricorso incidentale condizionato), atteso che “… la costruzione da parte di uno dei condomini di una tettoia, appoggiata al muro perimetrale condominiale, a copertura di alcuni posti auto siti all’interno della sua proprietà esclusiva, non integra violazione delle norme che regolamentano l’uso della cosa comune (art. 1102 c.c.), se la costruzione della tettoia non contrasti con la destinazione del muro e non impedisca agli altri condomini di farne uso secondo la sua destinazione, non rechi danno alle parti comuni e non determini pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio(d’altra parte, la Cassazione dava atto che l’assenza di balconi o finestre prospettanti direttamente sulla tettoria escludeva la limitazione di aria o luce, lamentata invece dal condomino ricorrente). 

La Corte di Cassazione ribadiva anche il principio secondo cui “Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio, affidandosi in ciò alla valutazione di merito effettuata dalla Corte d’Appello, sulla base dell’espletata c.t.u.

QUESTIONI GIURIDICHE

1) Uso della cosa comune ex art. 1102 c.c. e limiti alle opere su parti di proprietà ex art. 1122 c.c.

La prima questione introdotta dalla sentenza in commento riguarda le condizioni di legittimità delle modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa (comune)(art. 1102, co. 1, seconda parte, c.c.), da parte del singolo condomino (laddove per “modificazione” s’intende, secondo autorevole dottrina, l’”opera diretta a potenziare o a rendere più comodo il godimento della [cosa comune], senza che venga alterata la sostanza o sottratta alla specifica funzione …”[1]).

Occorre tenere conto del fatto che la fattispecie è ibrida: essa infatti riguarda un’opera (tettoia) realizzata nella proprietà esclusiva e a servizio esclusivo di un proprietario (art. 1122 c.c.), che tuttavia è appoggiata (o, per meglio dire, ancorata) al muro perimetrale condominiale (art. 1102 c.c.).

Sicché, sulla scorta dell’art. 1122 c.c., detta struttura può dirsi legittimamente realizzata se non reca danno alle parti comuni e se non determina pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e al decoro architettonico dell’edificio.

In conformità, invece, all’art. 1102 c.c., il manufatto dev’essere realizzato in modo tale da non alterare la destinazione del muro condominiale e da non pregiudicare i diritti di uso e di godimento degli altri condòmini[2].

Ebbene, alla luce delle risultanze processuali, la Suprema Corte giunge alla conclusione che ricorressero tutte le condizioni di legittimità richieste dalle citate norme, con buona pace del condomino del piano superiore, rimasto impregiudicato dalle modifiche apportate da altro condomino al bene comune: viene pertanto sancito che “… la costruzione da parte di uno dei condomini di una tettoia, appoggiata al muro perimetrale condominiale, a copertura di alcuni posti auto siti all’interno della sua proprietà esclusiva, non integra violazione delle norme che regolamentano l’uso della cosa comune (art. 1102 c.c.), se la costruzione della tettoia non contrasti con la destinazione del muro e non impedisca agli altri condomini di farne uso secondo la sua destinazione, non rechi danno alle parti comuni e non determini pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.

Si annota infine che la Corte di Cassazione in commento rileva ulteriormente come la mancanza di finestre o balconi che prospettano direttamente sulla tettoia escluda la limitazione di veduta verticale, da parte degli altri condòmini (censura invece contestata dall’attore): è noto infatti che “Il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, poiché luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita”[3].

2) L’innovazione ex art. 1120 c.c. e il decoro architettonico (comma 4).

Un altro tema affrontato dalla Suprema Corte è quello relativo alle innovazioni in condominio e, in particolare, al divieto di alterare il decoro architettonico dell’immobile (com’è noto, la norma fa anche riferimento al divieto di recare pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza dell’edificio, aspetti tuttavia non contestati nel caso di specie).

Va precisato che la questione si era posta poiché, già in primo grado, il proprietario (attore) aveva contestato all’autore delle opere edilizie (convenuto) di avere illegittimamente “innovato” la facciata condominiale, alterandone sensibilmente la linea armonica, in assenza del consenso assembleare, tenuto anche conto della previsione del necessario consenso assembleare, previsto nel regolamento condominiale contrattuale.

Si rammenta peraltro, in via generale e a prescindere da una specifica previsione del regolamento contrattuale, che le innovazioni (artt. 1120-1121 c.c.) consistono in “… opere di trasformazione della cosa comune che incidono sulla essenza di essa e ne alterano la originaria funzione e destinazione …”, nell’interesse della maggioranza dei condòmini (con le maggioranze dell’art. 1136, commi 2 o 5, c.c., ovvero con il consenso unanime nel caso delle innovazioni gravose o voluttuarie di cui all’art. 1121 c.c.) e con ripartizione delle spese, pro quota, tra tutti i condòmini[4]).

Analizzando il caso, la Suprema Corte conferma la decisione del secondo Giudice, il quale, sulla scorta della c.t.u., aveva escluso trattarsi di innovazione, attesa l’assenza di una significativa alterazione dell’originaria fisionomia della palazzina.

Infatti il principio sancito dalla Corte è quello secondo cui “Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio.

La decisione sul punto è conforme all’orientamento consolidato della giurisprudenza civile, secondo cui il concetto di “decoro architettonico” concerne tutto ciò che nell’edificio è visibile e apprezzabile dall’esterno, in quanto riferibile alle linee, alla struttura e alla fisionomia di uno specifico immobile, a prescindere dall’effettivo pregio artistico del medesimo (ulteriore aspetto rilevante, qualora ricorrente)[5].

Resta tuttavia da osservare, quale aspetto opinabile della fase di merito, che l’eccezione prospettata dal proprietario-attore e reiterata in Cassazione – secondo cui l’asserita assenza di una significativa alterazione dell’originaria fisionomia della palazzina sarebbe incompatibile con una modifica soggetta a rilascio di permesso di costruire – non è peregrina (a prescindere dal fatto che la Suprema Corte, sul punto, opponga la preclusione al proprio sindacato di accertamenti sul fatto, già adeguatamente vagliati dalla Corte d’Appello, sulla scorta della c.t.u.).

In effetti, atteso che pare non contestato il fatto del rilascio di permesso di costruire, da parte dell’Ente comunale, ci si limita ad osservare che, ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 380/2001, recante Interventi subordinati a permesso di costruire”, “1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

a) gli interventi di nuova costruzione;

b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.

In buona sostanza, è evidente come gli interventi soggetti a permesso di costruire siano i più invasivi dal punto di vista dell’impatto urbanistico ed edilizio (tant’è che soggiacciono a prescrizioni più severe di quelli di edilizia libera o subordinati a C.I.L.A. o S.C.I.A.[6]), sicché residua qualche dubbio sulla valutazione di merito del Giudice di secondo grado, coperta però da giudicato in sede di legittimità.

[1] TERZAGO G., “Il condominio”, Milano, 1998, pagg. 142 e ss.

[2] In senso analogo, ex multis, Cass. civ. Sez. II Sent., 17/03/2008, n. 7143: In tema di condominio di edifici, la costruzione da parte di uno dei condomini di una tettoia a copertura di alcuni posti auto siti all’interno della sua proprietà esclusiva non integra violazione delle norme che regolamentano l’uso della cosa comune (art. 1102 cod. civ.) neppure se essa sia ancorata al muro perimetrale comune, se la costruzione della tettoia (come nella specie) non contrasti con la destinazione del muro e non impedisca agli altri condomini di farne uso secondo la sua destinazione”; Cass. civ. Sez. II, 19/01/2005, n. 1072; Tribunale Monza Sez. I, 09/05/2007: Ai sensi dell’art. 1122 c.c., ciascun condomino, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alla parti comuni. Nella specie, trattandosi di elementi apposti in facciata, occorre, inoltre, far riferimento anche agli artt. 1102 e 1120 c.c., dai quale si desume che ciascun condomino può utilizzare le parti comuni, purché non ne alteri la destinazione, non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso, non arrechi pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato e non ne alteri il decoro architettonico. (Nel fattispecie in esame, in particolare, mentre devono rigettarsi le domande volte alla rimozione di fioriere ad ornamento del balcone, in quanto non comportano di per sé alcun pregiudizio alle parti comuni dell’edificio, ovvero delle tende da sole e della lampada da esterno, poiché trattasi di elementi di arredo volti al miglior godimento e all’abbellimento della proprietà esclusiva, che non comportano alcun pregiudizio alla facciata esterna, deve accogliesi la domanda tesa alla rimozione del reticolato verde apposto a rivestimento di una parte della ringhiera dei balconi, trattandosi, in questo caso, di manufatto non autorizzato dagli altri condomini ed esteticamente discutibile)”; Cass. civ. Sez. II, 25/01/1995, n. 870.

[3] Cass. civ. Sez. II Ord., 27/02/2019, n. 5732; in senso analogo: Cass. civ. Sez. II Sent., 16/01/2013, n. 955.

[4] TERZAGO G., op. cit., pag. 173; in giurisprudenza, ex multis, Tribunale Firenze Sez. II Sent., 26/10/2020; Cass. civ. Sez. II Ord., 11/09/2020, n. 18928; Corte d’Appello Ancona Sez. II Sent., 04/08/2020.

[5] Sia consentito rinviare, sul punto, a OTTOLINA I, “Quando l’urbanistica incontra il diritto condominiale: permesso di costruire illegittimo in assenza del consenso dei condominio” (nota a T.A.R. Campania Napoli, sezione VI, sentenza 16/11/2020, n. 5253), in www.eclegal.it, edizione del 12 gennaio 2021. In giurisprudenza si segnalano, tra le tante, Cass. civ. Sez. II Sent., 13/11/2020, n. 25790; Corte d’Appello Roma Sez. VII Sent., 27/01/2021, secondo cui In tema di condominio, l’art. 1120 c.c., nel far divieto di alterare il decoro architettonico dell’edificio, tutela la linea armonica dello stabile, linea che non deve essere pregiudicata da nuove opere, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico ed essendo allo scopo sufficiente che esso abbia una sua fisionomia che venga turbata, nell’armonia delle linee, dalla nuova opera”.

[6] Si confrontino gli artt. 6, 6-bis, 10 e 22, D.P.R. n. 380/2001.