14 Giugno 2022

Condizione sospensiva e abuso della personalità giuridica

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 3 novembre 2021, n. 31319 – Pres. Graziosi – Rel. Guizzi

Parole chiave: Contratto – Condizione – Negozio di accertamento – Clausola che subordina l’esigibilità della prestazione alla mancata conclusione di un nuovo contratto – Condizione meramente potestativa – Configurabilità – Conseguenze

Massima: “Qualora le parti di un contratto di locazione stipulino un negozio di accertamento per eliminare la res dubia relativa ai crediti da esso nascenti, la clausola di tale negozio che ne subordini l’esigibilità alla condizione sospensiva di carattere negativo che un nuovo contratto di locazione – con cui la locatrice abbia concesso il godimento della res locata ad altro conduttore di cui sia socia di maggioranza – non giunga a buon fine, è meramente potestativa, poiché dà luogo a una ipotesi di abuso della personalità giuridica e deve, pertanto, ritenersi nulla ai sensi dell’art. 1355 c.c.”

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1321, 1353, 1355

CASO

Nel 2003, due società concludevano un contratto di locazione avente per oggetto un’unità immobiliare facente parte di un edificio multipiano destinato ad autosilo.

Nel corso degli anni, le parti dapprima convenivano la modifica delle pattuizioni contrattuali (stabilendo, tra l’altro, l’obbligo della conduttrice di pagare una penale in caso di risoluzione anticipata della locazione); quindi, nel 2008 e nel 2009, concludevano in rapida successione due nuovi contratti di locazione riguardanti sempre la stessa unità immobiliare (inserendo in entrambi analoghe clausole penali), nessuno dei quali giungeva alla naturale scadenza, a causa del recesso anticipato della conduttrice.

A seguire, le medesime parti costituivano una società (partecipata al 75% dalla originaria locatrice e al 25% dall’originaria conduttrice), che, nel 2010, assumeva in locazione il parcheggio multipiano: nel nuovo contratto di locazione, le socie della nuova conduttrice prevedevano anche la rinuncia alle reciproche pretese creditorie aventi titolo nei rapporti tra le stesse intercorsi, a condizione che arrivasse a naturale scadenza la nuova locazione.

Questa, tuttavia, si risolveva anticipatamente per morosità, poiché la locatrice, che deteneva la partecipazione di maggioranza nella società conduttrice, si era opposta all’aumento del suo capitale (al quale, invece, la socia di minoranza si era dichiarata favorevole) volto a ripianare le perdite e a consentire così il pagamento dei canoni scaduti.

Sul presupposto della conseguente inefficacia della rinuncia ai crediti contenuta nel contratto di locazione concluso nel 2010, la proprietaria del parcheggio multipiano agiva in via monitoria per il pagamento di quanto dovutole dall’originaria conduttrice e otteneva l’emissione di un decreto ingiuntivo, avverso il quale veniva interposta opposizione, accolta dal Tribunale di Treviso.

La Corte d’Appello di Venezia, tuttavia, ribaltava la decisione, sicché, avverso la pronuncia di secondo grado, veniva proposto ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che la clausola volta a subordinare l’esigibilità dei crediti della società locatrice nei confronti dell’originaria conduttrice alla sorte del nuovo contratto di locazione concluso nel 2010 configurasse una condizione sospensiva meramente potestativa (come tale, nulla), visto che il suo avveramento era sostanzialmente rimesso alla volontà della medesima locatrice, detenendo essa la maggioranza del capitale della società che aveva assunto in locazione il parcheggio multipiano con detto contratto; da questo punto di vista, l’apparente alterità soggettiva della conduttrice costituiva una mera fictio iuris e, come tale, integrava un abuso della personalità giuridica.

QUESTIONI

[1] Secondo la Corte di Cassazione deve reputarsi nulla, in quanto meramente potestativa, la condizione sospensiva il cui avveramento è rimesso – di fatto – alla volontà di una società partecipata, in via maggioritaria, da una delle parti del negozio condizionato.

È questo il principio affermato con la sentenza che si annota, all’esito di un articolato percorso motivazionale che ha riconsiderato la complessa vicenda negoziale sottesa alla controversia insorta.

In primo luogo, i giudici di legittimità hanno proceduto alla qualificazione giuridica dell’accordo concluso dalla originaria locatrice e dall’originaria conduttrice e contenuto nel nuovo contratto di locazione stipulato nel 2010, ravvisando in esso un negozio di accertamento, che ha la funzione di fissare il contenuto e l’essenza di un rapporto precedente, eliminandone gli elementi di incertezza, con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione o diversa interpretazione, senza che venga a costituire fonte autonoma degli effetti giuridici scaturenti da detto rapporto, ovvero di diritti; il negozio di accertamento, infatti, è volto a rendere definitive e immutabili, per l’avvenire, situazioni effettuali in stato di obiettiva incertezza, vincolando i soggetti che se ne avvalgono ad attribuire al preesistente rapporto gli effetti che risultano dall’accertamento e precludendo ogni pretesa, ragione o azione in contrasto con esso.

Nel caso di specie, peraltro, le parti avevano subordinato l’effetto preclusivo proprio del negozio di accertamento (inteso come fissazione del contenuto dei rapporti giuridici precedentemente intercorsi, con particolare riguardo ai crediti nascenti da essi in capo alla società locatrice), a una condizione, che i giudici di legittimità hanno qualificato come sospensiva: più precisamente, l’esigibilità del credito della locatrice era da intendersi sospensivamente condizionato all’evento – futuro e incerto – rappresentato dalla circostanza che il nuovo rapporto locatizio instaurato nel 2010 non giungesse a buon fine, ovvero terminasse prima della scadenza contrattualmente prevista.

Una volta stabilito che la clausola che subordinava l’esigibilità dei crediti configurava una condizione sospensiva, il comportamento addebitato alla parte interessata al suo avveramento (per tale dovendosi intendere la società locatrice, che avrebbe così potuto chiedere il pagamento delle penali), consistito nel rifiuto opposto all’aumento del capitale della società conduttrice (che ha impedito a quest’ultima di adempiere l’obbligo di pagamento dei canoni, determinando la conclusione anticipata della locazione), si sarebbe dovuto intendere volto non già a impedire, ma a favorire l’avveramento della condizione negativa, sicché non poteva configurarsi la fattispecie contemplata dall’art. 1359 c.c., ossia la finzione di avveramento ivi prevista.

A tale scopo, peraltro, si richiede non semplicemente un comportamento contrario a buona fede, bensì una vera e propria condotta illecita, non ravvisabile nel caso di specie.

Un consolidato orientamento giurisprudenziale sostiene pure che l’art. 1359 c.c., secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, non è applicabile quando la parte tenuta in via condizionata a una determinata prestazione abbia anch’essa interesse al verificarsi della condizione: ai fini dell’operatività della fictio di avveramento di cui all’art. 1359 c.c., l’esistenza di un interesse contrario all’avveramento non va valutata in termini astratti o facendo riferimento al solo momento della conclusione del contratto, ma valorizzando il dato dell’effettivo interesse delle parti all’epoca in cui si è verificato il fatto o il comportamento che ha reso impossibile l’avveramento della condizione, spettando comunque alla parte interessata la dimostrazione del fatto che l’altra abbia tenuto un comportamento idoneo a impedire l’avveramento della condizione – rendendosi, in questo modo, inadempiente agli obblighi generali di buona fede e correttezza – e che il mancato avveramento le sia imputabile a titolo di dolo o colpa (in questi termini, da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 4 novembre 2021, n. 31728).

Fermo restando ciò, la condizione sospensiva apposta all’accordo contenuto nel nuovo contratto di locazione stipulato nel 2010 doveva reputarsi nulla ai sensi dell’art. 1355 c.c., in quanto meramente potestativa.

Infatti, condizionare sospensivamente l’efficacia del negozio di accertamento al fatto che la nuova locazione stipulata con la società partecipata, in misura maggioritaria, dalla proprietaria dell’immobile significava rimettere la sorte del negozio al totale arbitrio di quest’ultima, di fatto abilitata a influire su di essa in ogni momento e a proprio piacimento, data la posizione non solo di locatrice, ma anche di socia di maggioranza della conduttrice.

La clausola condizionale è meramente potestativa quando l’atto dispositivo del diritto venga fatto dipendere da un fatto volontario, il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità o di convenienza.

D’altra parte, il riferimento che l’art. 1355 c.c. opera alla nullità dell’atto di alienazione di un diritto deve intendersi non già come richiamo limitato alla fattispecie del trasferimento del diritto di proprietà (o di un altro diritto reale), ma esteso a quella più generale dell’atto dispositivo del diritto, di cui l’alienazione rappresenta la figura paradigmatica, comprendente – dunque – anche il negozio di accertamento che, lungi dal presentare efficacia meramente ricognitiva, costituisca pure atto dispositivo della sfera giuridica delle parti, ponendosi come atto di volontà che assume la funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente, con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo e con assunzione di un obbligo di non porre più in discussione l’assetto dato alla res dubia.

Quanto, invece, alla circostanza per cui l’avveramento della condizione sospensiva risultava rimessa alla volontà di un soggetto (la società conduttrice) formalmente diverso da quello (la società proprietaria e locatrice dell’immobile) che ne avrebbe potuto beneficiare, divenendo legittimata a esigere i crediti oggetto della rinuncia contenuta nel negozio di accertamento, i giudici di legittimità l’hanno considerata poco più che una fictio iuris, dal momento che la detenzione della larga maggioranza delle quote della società conduttrice rappresentava – in relazione alla gestione del contratto di locazione alla cui sorte era collegata l’efficacia del negozio di accertamento concluso dai due soci – una classica ipotesi di tirannia del socio di maggioranza, integrante una fattispecie di abuso della personalità giuridica.

Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, quando il socio di controllo di una società di capitali si serva della struttura societaria come schermo, al fine di gestire i propri affari, incorre in un tale abuso, ravvisabile allorché alla forma societaria corrisponda una gestione in tutto o in parte individuale, con conseguente configurabilità di una responsabilità civile e penale, avuto riguardo al ruolo da lui svolto, sanzionabile con la disapplicazione dello schermo societario e la conseguente inconfigurabilità di una autonoma persona giuridica.

Nel caso esaminato nella sentenza che si annota, la sussistenza di un’ipotesi di tirannia del socio di maggioranza ha indotto i giudici di legittimità a ricondurre direttamente in capo a tale socio la riferibilità della condizione costituita dal mancato raggiungimento del buon fine della nuova locazione, a reputarla, come tale, meramente potestativa e, in definitiva, nulla.