I concetti di residenza e “seconda casa” nella normativa emergenziale alla luce dei principi civilistici e costituzionali
di Donatella Marino, Avvocato Scarica in PDFParole chiave
Salute-proprietà- economia-decreto- legge di bilancio-abitazione- casa- “seconda casa”- affitti brevi- residenza- domicilio- privata dimora- locazione- sfratti- intermediari on line– property manager– Covid
Sintesi della questione
Le misure di recente adozione volte a contenere la diffusione del Covid-19 evidenziano la scelta del Legislatore di tutelare il prioritario bene “salute” attraverso la compressione di altri diritti costituzionalmente garantiti. Tanto vale sia per il libero esercizio delle attività economiche sia per i diritti ruotanti intorno alla proprietà immobiliare, ormai seriamente compromessi dai ripetuti stringenti interventi che ne limitano sotto vari profili sia il rendimento sia il godimento. Ogni valutazione di tali compressioni deve pertanto passare attraverso il loro coordinamento con i principi del nostro ordinamento: tra i più rilevanti, la proprietà di beni immobili quale forma di risparmio, la facoltà di godere di un immobile a uso abitativo in base a diritto di proprietà o altro diritto reale o di godimento (senza esclusione dei conduttori in virtù di locazioni brevi con finalità turistica), il diritto all’abitazione, il concetto di luogo di privata dimora.
Il diritto alla proprietà immobiliare quale forma di risparmio e il concetto di “seconda casa”
L’art. 42, co. 2, della nostra Costituzione tutela la proprietà privata, mentre all’art. 47 si incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Così rassicurati, e favoriti da fattori socio-culturali, molti italiani hanno nel tempo investito i loro risparmi in beni immobili ad uso abitativo con il duplice obiettivo di fruirne come strumento di redditività integrativa e di beneficiarne direttamente. Per di più, grazie al successo delle nuove modalità di intermediazione on line molti proprietari sono riusciti a trovare soluzioni che combinavano entrambe le funzioni.
Ma l’esigenza di limitare gli spostamenti ha spinto il Legislatore nazionale e regionale a intervenire sul libero esercizio di questi diritti, costruendo disposizioni complesse e talvolta coniando nuove espressioni di arduo inquadramento giuridico.
La contrapposizione tra “abitazione principale” e “seconda casa”
Si tratta di una contrapposizione fortemente atecnica che ricorre in diversi interventi emergenziali.
E’ una scelta adottata da alcune ordinanze regionali, che prevedono, per esempio, restrizioni specifiche negli spostamenti verso “l’abitazione non di residenza o di domicilio (c.d. seconda casa)” (Ord. 552 dell’11 dicembre 2020 della Valle d’Aosta, impugnata davanti al TAR e revocata il successivo 19 dicembre).
Una scelta anche del Legislatore nazionale, spiegata nelle FAQ del Governo interpretative dei diversi decreti di questo dicembre, ma stridente con i vigenti principi giuridici. Secondo questa posizione, l’abitazione sarebbe il “luogo dove si abita di fatto, con una certa continuità e stabilità (quindi per periodi continuati, anche se limitati, durante l’anno) o con abituale periodicità e frequenza (per esempio in alcuni giorni della settimana per motivi di lavoro, di studio o per altre esigenze), tuttavia sempre con esclusione delle seconde case utilizzate per le vacanze.” Una interpretazione che sembrerebbe consentire una ingerenza della P.A. sulle motivazioni che inducono un individuo a godere dell’immobile sul quale ha invece pieno titolo (in conformità al proprio diritto di proprietà o altro titolo abilitativo, per esempio in virtù di contratto di locazione).
Una possibile soluzione interpretativa potrebbe essere data dal ricorso a inquadramenti del diritto tributario, individuando una categoria di immobili destinati ad “abitazione secondaria”, in contrapposizione a quelli destinati ad “’abitazione principale” (così definiti, per esempio, ai fini IMU). Ma si tratterebbe di una evidente forzatura.
Abitazione, residenza e domicilio: il significato nel nostro ordinamento
I decreti contengono altre disposizioni che si incrociano con concetti conosciuti nel nostro ordinamento. Le nozioni di residenza e domicilio, ad esempio, sono ben definite a livello civilistico all’art. 43 del codice civile, integrate dall’art. 47 c.c. secondo cui “si può eleggere domicilio speciale per determinati atti o affari”. Più complessa invece, la ricostruzione del concetto di abitazione in ambito civilistico. Una posizione viene assunta invece dal diritto tributario: “abitazione principale” sarebbe il luogo in cui “il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente” (art. 15 del DPR n. 917/1986).
Il concetto di abitazione come luogo destinato allo svolgimento della vita familiare o domestica compare anche in ambito penale nel titolo di alcuni delitti (es. furto in abitazione, art. 624 bis c.p.) mentre in giurisprudenza spesso rileva in relazione al concetto di “privata dimora” che, secondo la Suprema Corte, si riferisce esclusivamente ai “luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare” (Cfr. Sez. Un. Cass. Pen. 31345/2017).
Abitazione come diritto
Diversi sono invece i concetti che rilevano nel perimetrare il diritto di ogni individuo a un degno luogo ove abitare. Un principio riconosciuto tra i diritti umani. La dichiarazione Universale dei diritti umani (10 dicembre 1948) stabilisce all’art. 25 che ogni individuo “ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo […] all’abitazione […]”. Il diritto ad un “alloggio adeguato” è sancito anche nel Patto internazionale dei diritti economici sociale e culturali (NY 16 dicembre 1966). Il concetto è stato più volte richiamato dalla Corte Costituzionale, la quale ha chiarito che “il diritto a una abitazione dignitosa rientra, innegabilmente, fra i diritti fondamentali della persona” (Corte Cost. Sent. n. 404 del 1988, Corte Cost. Sent. n. 119 del 1999). È noto tuttavia, che il riconoscimento di un diritto non comporta la sua espressione incondizionata. Spesso, Legislatore e giurisprudenza sono chiamati ad effettuare un bilanciamento con altri valori, ugualmente fondamentali, utilizzando criteri della ragionevolezza della proporzionalità fino ad individuare il livello accettabile di comprimibilità reciproca.
Sospensione degli “sfratti” e tutela collettiva della salute
Ne è un esempio il controverso dibattito in merito alla sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio (c.d. sospensione degli sfratti) introdotta dal Decreto c.d. Cura Italia (D-L n.18 del 17 marzo 2020, art.103), prorogata in sede di conversione e nuovamente prorogata per ora fino al 31 dicembre. La misura è una tipica espressione del delicato equilibrio tra interessi contrapposti. La Corte Costituzionale ha già avuto modo di esprimersi con le sentenze n. 310 del 2003 e 155 del 2004, ove ha affermato che la sospensione degli sfratti può trovare giustificazione soltanto se incide sul diritto alla riconsegna dell’immobile e per “esigenze di approntamento delle misure atte ad incrementare la disponibilità di edilizia abitativa per i meno abbienti in situazioni di particolari difficoltà“, senza che esso possa tradursi in una eccessiva compressione dei diritti del proprietario.
I controlli all’interno della “abitazione privata”
Il D.L. 18 dicembre 2020 n. 172 introduce ancora un’espressione che ruota intorno al concetto di “abitazione”. All’art.1 prevede che in alcune giornate siano poste restrizioni particolarmente stringenti (c.d. “zone rosse”) con eccezione in caso di “spostamento verso una sola abitazione privata, ubicata nella medesima regione, un sola volta al giorno, in un arco temporale compreso fra le ore 05,00 e le ore 22,00, e nei limiti di due persone, ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi […]”.
Una norma complessa che coinvolge diversi istituti. L’autocertificazione, questa volta, dovrà indicare non più la ragione dello spostamento bensì la destinazione “abitazione privata”. Tuttavia, la Polizia locale o le autorità preposte non potranno comunque introdursi per controlli in tali “abitazioni private” se non in presenza di determinate circostanze.
Bisogna pertanto considerare quantomeno tre aspetti. Innanzitutto, che nel nostro ordinamento l’eventuale perquisizione in una dimora privata è consentita solo in rare ipotesi e, tra queste, la flagranza di reato, quando i pubblici ufficiali hanno fondato motivo di ritenere di trovare cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse (art. 352 c.p.p.). In secondo luogo, che la norma emergenziale non prevede alcun tipo di reato, quanto al numero di persone che possono essere presenti in certi orari nelle “abitazioni private”. In terzo luogo, che potrebbe invece costituire reato la falsa attestazione resa al pubblico ufficiale (art. 483 c.p.) eventualmente sopraggiunto dietro segnalazione. Con le relative conseguenze. Si veda, per un ragionamento a contrariis, Tribunale di Milano, giudice per le indagini preliminari, 16 novembre 2020.