Comunicare la sostenibilità. Attenzione a non sbagliare registro
di Giulia Maria Picchi - Senior partner Marketude Scarica in PDFIl livello di attenzione nei confronti della sostenibilità da parte dei professionisti -commercialisti in prima linea- sta rapidamente aumentando, direi in modo inversamente proporzionale rispetto al tempo che separa le imprese dall’obbligo di rendicontazione.
Mi si conceda, provocatoriamente ma non troppo, di sottolineare che non esiste una normativa che obblighi le imprese ad essere sostenibili: la CSRD, infatti, impone loro “solo” di rendicontare e, quindi, piuttosto di comunicare il loro impegno verso la sostenibilità.
In tal senso, per tutta una serie di evidenti motivi tra cui la necessità di procedere in modo ordinato e quanto più possibile esaustivo e anche di comparare i risultati conseguiti, anno su anno e tra imprese diverse, l’Unione Europea ha predisposto un nuovo set di standard, gli ESRS, che dovranno essere obbligatoriamente adottati nei prossimi anni dalle imprese via via chiamate a rendicontare.
Non voglio in questa sede entrare in una disanima più puntuale di quanto disposto dalla nuova Direttiva: molti l’hanno già fatto ampiamente e in modo egregio.
Mi interessa, invece, esplorare il tema della comunicazione e definire almeno alcuni assunti di base che, dai miei confronti personali e senza velleità statistiche, non mi sono sembrati sufficientemente assodati.
Il primo è che, seppure è vero che non c’è una normativa che chiede alle organizzazioni di essere sostenibili, affinché una qualsiasi realtà, azienda ma anche evidentemente studio professionale, possa dirsi tale deve prima di tutto esserlo.
Questo evoca immediatamente la necessità di comunicare in modo veritiero ed è giusto che sia così, ma forse distoglie dalla vera essenza di ciò che “esserlo” significa e, cioè, che la sostenibilità debba essere prima di tutto una priorità strategica del vertice e che, come tale, non possa certo esaurirsi in un mero esercizio informativo.
Un secondo punto che mi preme ricordare è dato dalla differenza tra il termine sostenibilità e l’acronimo ESG. Anche di questo si è già parlato, ma l’abitudine a usarli con una certa disinvoltura in modo alternativo contribuisce a creare confusione. Rimandando alla definizione puntuale apparsa nel rapporto Brundtland nel 1987 senza ripeterla qui, è importante comprendere che la sostenibilità di un’organizzazione crea valore a lungo termine per gli stakeholder mediante l’attuazione di una strategia (e si torna al punto precedente) “aziendale” sostenibile.
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