Compete al giudice dell’esecuzione sospendere la procedura esecutiva in caso di omologa dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 26 luglio 2023, n. 22715 – Pres. De Stefano – Rel. Saija
Esecuzione forzata – Procedura esecutiva pendente – Accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento – Divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive – Nullità o improseguibilità della procedura esecutiva – Riparto di competenze fra giudice delegato e giudice dell’esecuzione
I rapporti tra giudice dell’esecuzione singolare e giudice del sovraindebitamento ex L. 27 gennaio 2012, n. 3 (applicabile ratione temporis), per l’ipotesi di contemporanea pendenza di procedure a carico del medesimo debitore, sono improntati a piena equiordinazione, per quanto i rispettivi poteri debbano necessariamente coordinarsi, nel rispetto delle specifiche disposizioni normative e delle corrispondenti funzioni e prerogative di ciascun giudice. Pertanto, qualora a carico del debitore che abbia proposto un accordo di composizione della crisi ai sensi degli artt. 6 e seguenti della legge citata siano pendenti una o più procedure esecutive individuali, il giudice delegato della procedura concorsuale, col decreto di apertura della stessa ex art. 10, comma 2, lett. c), della legge citata e ricorrendone i presupposti, può solo pronunciare il divieto di (iniziare o) proseguire le azioni esecutive, fino alla definitiva omologazione dell’accordo, ma non anche adottare provvedimenti direttamente incidenti sulle procedure stesse (come lo specifico ordine di sospensione, o la correlativa declaratoria di improseguibilità o di nullità di una particolare procedura), riservati esclusivamente al giudice dell’esecuzione cui ognuna di dette procedure sono assegnate (ovvero al giudice delle eventuali opposizioni esecutive proposte). Ne discende che, ove il giudice delegato abbia pronunciato il divieto di proseguire le azioni esecutive, il giudice dell’esecuzione, che ne sia stato debitamente informato, è tenuto a sospendere il procedimento, previa verifica dei presupposti previsti dall’art. 623 c.p.c.; nel caso di ritenuta insussistenza di detti presupposti, costituisce onere della parte interessata – che abbia ragione di contestare la decisione – opporsi al provvedimento con cui lo stesso giudice dell’esecuzione abbia disposto il prosieguo della procedura, avvalendosi dei rimedi previsti dagli artt. 615 e seguenti c.p.c., pena l’irretrattabilità degli effetti dell’esecuzione forzata.
CASO
Intervenuta l’omologa dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento proposto ai sensi dell’art. 12 l. 3/2012, il debitore chiedeva al giudice delegato di sospendere le procedure esecutive pendenti a suo carico innanzi al Tribunale di Cremona e al Tribunale di Bergamo.
L’istanza veniva respinta, con provvedimento confermato dal collegio all’esito del reclamo proposto avverso di esso.
L’ordinanza così resa dal Tribunale di Cremona era impugnata con ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, ha affermato che il giudice della procedura concorsuale è privo di competenza funzionale in ordine alla sospensione e alla declaratoria di improseguibilità o di nullità delle procedure esecutive singolari pendenti in danno del medesimo debitore, spettando l’adozione dei relativi provvedimenti al giudice dell’esecuzione, quale titolare dei poteri di direzione e coordinamento attribuitigli dall’art. 484 c.p.c.
QUESTIONI
[1] La Corte di Cassazione è intervenuta per precisare in quale modo vanno gestiti i rapporti tra esecuzione singolare e procedura concorsuale avviata a carico del sovraindebitato ai sensi della l. 3/2012 (vigente all’epoca dei fatti scrutinati dai giudici di legittimità), con particolare riguardo alla sospensione o alla declaratoria di improseguibilità della prima.
Prima di analizzare i principi affermati con l’ordinanza che si annota, va rammentato che, con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 14/2019), è stata dettata una nuova disciplina degli strumenti di risoluzione della crisi da sovraindebitamento: l’accordo di composizione della crisi (di cui agli artt. 10 e seguenti l. 3/2012), il piano del consumatore (artt. 12-bis e seguenti l. 3/2012) e la liquidazione del patrimonio (artt. 14-ter e seguenti l. 3/2012), infatti, sono stati sostituiti, rispettivamente, dal concordato minore (artt. 74 e seguenti CCII), dalla ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67 e seguenti CCII) e dalla liquidazione controllata (artt. 268 e seguenti CCII).
Nel caso di specie, il debitore che aveva proposto un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento omologato dal Tribunale di Cremona, aveva chiesto al giudice delegato di emettere un provvedimento volto a sospendere le procedure esecutive pendenti nei suoi confronti, ovvero a dichiararle improcedibili o nulle.
A fronte di ciò, la Corte di cassazione ha escluso che il giudice della procedura concorsuale disponesse di un potere idoneo a incidere direttamente sul processo esecutivo, la cui direzione compete al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 484 c.p.c.
Sebbene, infatti, l’esecuzione forzata individuale sia destinata – di norma e tendenzialmente – ad arrestarsi in presenza di una concomitante procedura concorsuale pendente nei confronti del medesimo debitore, non si rinviene alcuna norma che autorizzi il giudice della seconda a disporre direttamente e specificamente delle sorti della prima, sia precludendo lo svolgimento di ulteriori attività, sia dichiarandone l’improcedibilità o la nullità.
Da questo punto di vista, il nostro ordinamento è improntato al principio dell’equiordinazione dei giudici delle diverse procedure esecutive (individuali e concorsuali), senza che l’uno possa interferire nelle prerogative attribuite all’altro.
Un tanto, dunque, esclude che il giudice delegato possa dichiarare l’improcedibilità o la nullità del processo esecutivo, che è caratterizzato da un sistema chiuso, tipizzato e inderogabile di rimedi interni, con la conseguenza che le contestazioni sul diritto di procedere a esecuzione forzata (ossia sull’an exequatur) o sulla legittimità degli atti esecutivi posti in essere (cioè sul quomodo dell’azione esecutiva) debbono necessariamente essere proposte al giudice dell’esecuzione, investito di una competenza funzionale al riguardo.
Lo stesso è a dirsi per quanto concerne la sospensione della procedura esecutiva.
Fatta eccezione per l’ipotesi – espressamente prevista dalla legge – del piano del consumatore di cui all’art. 12-bis, comma 2, l. 3/2012 (a mente del quale “Quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo”), non vi era e non vi è alcun referente normativo che, negli altri casi, consenta al giudice concorsuale di disporre direttamente la sospensione dell’esecuzione forzata; essendo quella innanzi citata norma di carattere eccezionale, non applicabile a fattispecie diverse da quelle tipicamente considerate, nel caso di accordo di composizione della crisi il giudice dell’esecuzione non è privato né esautorato dei suoi poteri di gestione e di direzione del processo esecutivo, sicché, dopo avere preso atto della causa di sospensione, competerà a lui disporre conseguentemente, ai sensi dell’art. 623 c.p.c.
Su un piano più generale, peraltro, sebbene al giudice delegato sia stato attribuito il potere di statuire, con il decreto di apertura del procedimento di accordo di composizione della crisi e in modo sostanzialmente automatico (anche a prescindere da una richiesta in tale senso del debitore), il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive in danno del soggetto sovraindebitato, ai sensi dell’art. 10, comma 2, lett. c), l. 3/2012, con efficacia temporale limitata fino alla definitiva omologa, la relativa pronuncia non può mai avere un contenuto specifico, cioè inerente a una ben individuata procedura esecutiva già pendente: l’emissione del provvedimento di sospensione – meramente ricognitivo della ricorrenza dei presupposti di legge – spetta, dunque, esclusivamente al giudice dell’esecuzione, debitamente e tempestivamente informato, dovendo egli valutare se la causa di temporanea improseguibilità sussista o meno.
Possono, pertanto, prospettarsi due scenari.
Quando il giudice dell’esecuzione ritenga non operante la causa impeditiva in relazione alla procedura esecutiva pendente innanzi a lui e decida di proseguire, chi ne ha interesse dovrà attivare i necessari rimedi oppositivi interni al processo esecutivo, pena l’irretrattabilità degli effetti dell’esecuzione forzata.
In caso contrario, la sorte definitiva dell’esecuzione singolare resta collegata a quella della procedura concorsuale.
In tale evenienza, qualora l’accordo di sovraindebitamento venga omologato, esso assumerà valenza obbligatoria per tutti i creditori anteriori (compresi quelli che abbiano già agito in executivis) ex art. 12, comma 3, l. 3/2012, tanto che, in sede di esecuzione dell’accordo, il giudice, verificata la conformità dell’atto dispositivo al programma liquidatorio, ordinerà la cancellazione della trascrizione del pignoramento e di ogni altra formalità pregiudizievole (art. 13, comma 3, l. 3/2012); qualora, invece, la procedura di sovraindebitamento non abbia buon esito, spetterà al creditore procedente chiedere la riattivazione del processo esecutivo, nelle forme previste dall’art. 627 c.p.c.
In ogni modo, è da escludere che il giudice del sovraindebitamento possa adottare provvedimenti di sospensione o dichiarare la improseguibilità o la nullità delle procedure esecutive pendenti a carico del debitore, stante la carenza di competenza funzionale in capo a sé.
È opportuno, peraltro, segnalare che le interferenze tra procedura esecutiva individuale e procedura concorsuale vanno declinate in modo diverso quando, nell’ambito della prima, sia già intervenuta l’aggiudicazione del bene pignorato: l’art. 632 c.p.c., infatti, stabilisce che l’estinzione del processo esecutivo che si verifichi dopo l’aggiudicazione non pregiudica quest’ultima, mentre l’art. 187-bis disp. att. c.p.c. fa salvo l’acquisto dell’aggiudicatario in tutti i casi di estinzione (tipica o atipica) dell’espropriazione forzata, con la conseguenza che il ricavato dalla vendita esecutiva del bene andrà messo a disposizione della procedura concorsuale, affinché sia destinato alla soddisfazione dei creditori secondo le precipue regole che la presidiano.
Da ultimo, con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, va tenuto presente che:
- in caso di concordato minore, per effetto di quanto stabilito dall’art. 78, comma 2, lett. d), CCII, la sospensione delle procedure esecutive è subordinata alla richiesta del debitore, viene disposta con il decreto di apertura del procedimento e perdura fino al momento in cui il decreto di omologa diventa definitivo;
- in caso di ristrutturazione dei debiti del consumatore, il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari presuppone un’apposita istanza del debitore e può essere disposto con il decreto di apertura del procedimento fino alla conclusione dello stesso (art. 70, comma 4, CCII);
- in caso di liquidazione controllata, in forza del rinvio alle disposizioni contenute nell’art. 150 CCII operato dal comma 5 dell’art. 270, dal giorno della pronuncia della sentenza con cui il tribunale dichiara l’apertura del procedimento nessuna azione esecutiva può essere iniziata o proseguita, a meno che ciò non sia consentito da specifiche disposizioni di legge e fermo restando che in quelle già pendenti alla medesima data il liquidatore ha facoltà di effettuare il subentro, in assenza del quale divengono definitivamente improseguibili, salvo che – pure in questo caso – si tratti di un’esecuzione per la quale opera una specifica disposizione di legge che ne consente la prosecuzione (giusta quanto stabilito dall’art. 216, comma 10, CCII, anch’esso applicabile alla liquidazione controllata in forza dell’effetto di trascinamento derivante dal richiamo all’art. 150 contenuto nell’art. 270).
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