21 Maggio 2024

Compenso dell’amministratore: il sindacato dell’autorità giudiziaria non è limitato dalla discrezionalità assembleare

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Ordinanza del 16.03.2023 n. 7615, Presidente Dott. F. Manna.

Massima: Nel caso in cui alcuni condomini contestino come eccessiva, sproporzionata ed irragionevole la determinazione del compenso dell’amministratore da parte dell’assemblea, il giudice non può limitarsi a ricondurre la determinazione adottata nell’ambito della discrezionalità di merito spettante all’organo deliberativo, ma deve valutare, sulla base degli elementi di prova o indicazioni offerti dalle parti, in ordine (ad esempio, ai parametri di mercato in vigore per condominii di analoghe dimensioni) se, nel determinare la misura del compenso, la delibera abbia effettivamente perseguito l’interesse dei partecipanti del condominio ovvero sia stata ispirata dall’intento di recare vantaggi all’amministratore in carica”.

CASO

Tizio, Caio, Sempronio, Mevio e Filano, tutti condomini del Centro Commerciale Gamma, agivano in giudizio affinché venisse dichiarata con sentenza la nullità ovvero annullabilità della delibera adottata in data 15 marzo 2013 da parte dell’assemblea condominiale nella parte in cui stabiliva la quantificazione del compenso da corrispondere all’amministratore.

Il Tribunale rigettava le domande attoree.

Avverso detta sentenza, gli attori in primo grado interponevano appello innanzi la Corte d’Appello di Torino.

Con sentenza n. 1647 del 21 luglio 2017, la Corte distrettuale rigettava il gravame confermando la decisione del giudice di prime cure.

In particolare, il giudice del gravame dichiarava l’infondatezza dell’eccezione preliminare di nullità della procura speciale alle liti conferita al Condominio così come avanzata dagli appellanti.

A fondamento della propria decisione, la Corte affermava l’irrilevanza – ai fini della nullità – della revoca dell’amministratore dal proprio incarico ancorchè intervenuta in un periodo anteriore rispetto alla costituzione in giudizio da parte di quest’ultimo.

Sul punto, pertanto, il Collegio si conformava al consolidato principio in forza del quale “il negozio compiuto dal rappresentante di un ente rimane valido ed operante fino a quando non intervenga una diversa volontà del rappresentato a prescindere dal mutamento della persona fisica del suo rappresentante”.

Quanto alle censure sul merito, la Corte distrettuale dichiarava l’inammissibilità del gravame giacchè relativo a considerazioni discrezionali inerenti il merito, la cui competenza è unicamente attribuita alla compagine assembleare condominiale e pertanto non sindacabile dall’autorità giudiziaria in sede giurisdizionale. Inoltre, la delibera che si assumeva viziata – per eccesso di potere – non si appalesava arbitraria “non prevedendo addebiti a carico dei condomini per la gestione dei beni comuni, ma solo una integrazione del compenso dell’amministratore in caso in cui la sua attività fosse prestata su richiesta di uno dei condomini o a causa del suo comportamento”.

Soccombenti anche in secondo grado gli attori – appellanti, Tizio, Caio, Sempronio e Mevio, depositavano ricorso per Cassazione sulla base di due motivi.

Resisteva con controricorso il Condominio Centro Commerciale Gamma.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 7615 del 16 marzo 2023, parzialmente accolto il ricorso proposto dai condomini, disponeva la cassazione della sentenza impugnata nella parte relativa al motivo accolto e rinviava la causa alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, per la decisione della controversia, nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Con il primo motivo i ricorrenti denunciavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1129 e 1421 c.c. nonchè degli artt. 75, 83, 182, 299 c.p.c., da un lato per non aver la Corte d’Appello di Torino dichiarato la nullità della procura alle liti rilasciata dall’amministratore di condominio, geometra Calpurnio, benchè lo stesso fosse stato revocato dall’incarico dall’autorità giudiziaria, in un momento anteriore alla costituzione in giudizio del Condominio convenuto.

Dall’altro lato censurava la decisione d’appello per non aver il giudice di seconde cure al contempo rilevato la nullità ed improduttività degli effetti della successiva delibera assembleare dell’8 luglio 2013, mediante la quale la compagine assembleare, a seguito della revoca, nominava quale amministratore lo stesso Calpurnio previamente revocato. I ricorrenti assumevano che tale attività fosse stata posta in essere in aperto contrasto con la disposizione di cui all’art. 1129, comma 13, c.c., così come novellato dalla legge di riforma n. 220 del 2012, che espressamente vieta alla compagine assembleare di nominare lo stesso amministratore previamente revocato giudizialmente.

Ancora, con il primo motivo si censurava la sentenza nella parte in cui la Corte d’Appello avrebbe dovuto, a fronte della preventiva revoca dell’amministratore rispetto alla costituzione in giudizio del convenuto, dichiarare l’interruzione del processo a mente dell’art. 299 c.p.c., ovvero in subordine disporre che venisse sanato il difetto di rappresentanza processuale ai sensi dell’art. 182 c.p.c..

La Corte di Cassazione riteneva tale motivo infondato.

L’art. 83 c.p.c. disciplina le modalità di conferimento della procura alle liti, orbene, detta procura – speciale o generale – costituisce l’atto di parte mediante il quale un soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, conferisce al proprio difensore lo ius postulandi, ossia la capacità di rappresentarlo.

Nel caso in cui, come nella fattispecie per cui è lite, a conferire la procura sia il rappresentante di una società ovvero di un ente, affinchè la stessa possa dirsi valida sarà sufficiente che nell’atto cui la procura si riferisce siano specificati i poteri rappresentativi del soggetto che la rilascia. Laddove si contesti la regolarità di tale conferimento, l’onere della prova relativo all’inesistenza del rapporto organico o della carenza dei poteri dichiarati spetta alla parte che invoca detti vizi.

Orbene, anche in materia di condominio è consolidato il principio in forza del quale si ammette che “la procura alle liti rilasciata dal legale rappresentante dell’ente o di una società, essendo atto proprio dell’ente e non dell’organo stesso rimane valida anche dopo la sostituzione o la cessazione della carica del soggetto che l’ha rilasciata”[1].

Logica conseguenza di quanto affermato, ed in questa sede confermato dalla Corte di legittimità, è che la procura alle liti validamente rilasciata dal soggetto che al momento del conferimento rivestiva legittimamente il ruolo di rappresentante della società – ovvero nel caso di specie di rappresentante dell’ente di gestione – resta riferibile all’ente stesso anche pro futuro fintanto che la stessa non venga successivamente revocata ed indipendentemente dalla sorte che nel frattempo abbia potuto subire l’organo che l’ha rilasciata”.

Detto principio come affermato dal Supremo Collegio, conformandosi al costante orientamento sul punto, “trova applicazione anche quando il mutamento avvenga dopo che la procura sia stata rilasciata, ma prima che il processo (o il grado del processo) sia attivato con il deposito in cancelleria o con la notificazione dell’atto)[2].

Nel caso di specie come risultante dagli atti, non poteva dubitarsi che il procuratore del condominio avesse indicato Calpurnio quale amministratore con implicito riferimento al momento in cui venne conferita la procura speciale alle liti per cui è causa.

Con il secondo motivo i ricorrenti rilevavano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1129, 1709, 1720, 1123, e 1135 c.c., e 112 c.p.c., per aver la Corte di Appello di Torino ritenuto insindacabile nel merito la delibera oggetto di impugnazione da parte della compagine assembleare in quanto espressiva della discrezionalità di merito della medesima compagine, senza valutare il denunciato vizio di eccesso di potere “per essere stato il compenso dell’amministratore previsto in misura del tutto abnorme, irragionevole e sproporzionata”, veniva rilevato, inoltre, che “il riconoscimento, ad opera della delibera, di uno specifico compenso in capo all’amministratore ed a carico dei singoli condomini per attività dagli stessi provocate introduce un criterio di ripartizione delle spese derogativo di quello legale, fondato sulle quote di proprietà, ed incide inammissibilmente sui diritti individuali dei condomini”.

La Corte di Cassazione riteneva tale motivo fondato.

A ben vedere, per eccesso di potere si intende il vizio contraddistinto dal perseguimento ad opera della maggioranza assembleare di interessi estranei a quelli del condominio in sé ed a vantaggio solo di parte della compagine condominiale ovvero di soggetti terzi. La giurisprudenza sul punto infatti afferma che “in tema di condominio negli edifici, ciò che rende viziata per eccesso di potere una delibera assembleare, non è l’esercizio discrezionale del potere di decisione, ma l’esercizio arbitrario della discrezionalità, ossia il suo abuso sicché la decisione raggiunta risulti dannosa per il condominio[3].

Secondo il Collegio, a fronte della denuncia di un siffatto vizio, onere del giudice investito della controversia è quello di verificare se l’anzidetta volontà sia stata effettivamente ispirata a perseguire interessi estranei al condominio arrecando pregiudizio alla restante parte di compagine assembleare.

Ove il vizio di eccesso di potere sia riferibile ad una “eccessiva, sproporzionata ed irragionevole” determinazione del compenso dell’amministratore, il giudice ha l’obbligo di verificare nel caso concreto e sulla base delle prove addotte dalle parti o dalle indicazioni fornite dalle stesse “in ordine ad esempio, ai parametri di mercato in vigore per i condominii di analoghe dimensioni, se, nel determinare la misura del compenso, la delibera abbia effettivamente perseguito l’interesse dei partecipanti del condominio ovvero sia stata ispirata dall’intento di recare vantaggi all’amministratore in carica[4].

Nella presente vertenza, i condomini ricorrenti denunciavano non solo la quantificazione del compenso ma anche i criteri utilizzati per la determinazione dello stesso avuto riguardo a singole prestazioni rese da parte dell’amministratore, ivi rilevandone l’illegittimità nonchè la sproporzione a loro sfavore. Il giudice del merito, al contrario di quanto anzidetto, non analizzava detti profili limitando unicamente la propria pronuncia ad un giudizio di non arbitrarietà e dannosità di quanto deliberato.

La Corte di legittimità, pertanto, accoglieva detto motivo di ricorso rinviando alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione, alla quale è stata rimessa la decisione sul punto in base ai criteri sopra indicati nonché a decidere sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

[1] Sul punto ex multis Cass. Civ. n. 17216/17

[2] Cass. Civ. n. 26935/08.

[3] Corte d’Appello di Ancona n. 1651/23.

[4] Cass. Civ. n. 15492/07.

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