Il coerede che apporta miglioramenti al bene ereditario ha solo diritto al rimborso delle spese
di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDFCassazione civile sez. VI, 17/01/2023, n. 1207 – LOMBARDO – Presidente – TEDESCO – Relatore
(C.c. artt. 1110, 1150, 713, 720, 728)
Massima: “Il coerede, il quale abbia apportato miglioramenti al bene ereditario da lui posseduto, non può invocare la disciplina dell’art. 1150 c.c. – la quale attribuisce al terzo possessore di buona fede una indennità pari all’aumento di valore della cosa per effetto dei miglioramenti – ma, quale mandatario o utile gestore degli altri compartecipi alla comunione ereditaria, ha unicamente il diritto di essere rimborsato delle spese fatte per la cosa comune, dal momento che lo stato di indivisione riconduce all’intera massa i miglioramenti apportati dal coerede; ne consegue che al momento dell’attribuzione delle quote l’apporto si ripartisce, insieme con le spese, tra i vari condividenti, secondo il principio nominalistico.”
CASO
Nella causa di scioglimento di comunione tra i fratelli A.L. e A.L., A.L. pretendeva il rimborso delle spese sostenute per la manutenzione di uno degli immobili comuni. La Corte di Appello di Trieste, confermando la decisione del giudice di primo grado, negava che A.L. potesse chiedere il rimborso di tali spese e ciò in base al rilievo che le spese stesse erano state sostenute per l’immobile già adibito ad abitazione del medesimo A.L., nella prospettiva dell’attribuzione del cespite a lui in sede di divisione, poi effettivamente realizzatasi, così non ricorrendo l’ipotesi delle spese sostenute nell’interesse comune.
A.L. propone ricorso denunciando che le ragioni indicate dalla Corte di Appello lasciavano fermo il fatto giustificativo del rimborso e cioè che il singolo compartecipe avesse sostenuto la spesa di manutenzione durante lo stato di indivisione e che pertanto avesse diritto al rimborso di tali spese.
A.L. resiste con controricorso.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ritiene il motivo fondato.
In primo luogo rileva che nel caso di specie non possa trovare applicazione la disciplina dell’art. 1150 c.c. la quale riserva al coerede, il quale abbia apportato miglioramenti al bene ereditario da lui posseduto, quale terzo possessore di buona fede, un’indennità pari all’aumento del valore della cosa per effetto dei miglioramenti, ma viceversa che debba trovare applicazione il principio per cui il comunista, quale mandatario o utile gestore degli altri compartecipi alla comunione ereditaria, ha unicamente il diritto di essere rimborsato delle spese fatte per la cosa comune, dal momento che lo stato di indivisione riconduce all’intera massa i miglioramenti apportati dal coerede. Da ciò ne consegue che al momento dell’attribuzione delle quote l’apporto si ripartisce, insieme con le spese, tra i vari condividenti, secondo il principio nominalistico.
In secondo luogo la Corte rileva che, nel giudizio di divisione ereditaria di un bene riscontrato non divisibile, le migliorie apportate da uno dei condividenti vengono a far parte dello stesso per il principio dell’accessione, con la conseguenza che di esse deve tenersi conto non solo ai fini della stima del bene medesimo, ma anche della determinazione delle quote e della liquidazione dei conguagli.
La Corte ritiene inoltre infondato il timore, espresso dalla Corte di Appello, per cui, qualora il rimborso fosse stato frutto di un accordo, l’altro condividente sarebbe penalizzato a favore dell’altro se risultasse assegnatario di un bene in stato di manutenzione peggiore. Tale timore non avrebbe ragion di esistere in virtù del fatto che il valore dell’attribuzione del bene è pur sempre quello effettivo, derivante dai miglioramenti o dallo stato deteriore di esso, il che esclude in radice la possibilità di ingiusti arricchimenti o depauperamenti.
Indifferente per la Corte anche che le spese siano state sostenute per un bene in possesso esclusivo o di uno dei coeredi o per un bene oggetto di compossesso.
Per tutte queste ragioni la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa l’ordinanza impugnata.
QUESTIONI
La Corte di legittimità, con l’ordinanza in esame, torna a pronunciarsi sul tema del rimborso spese sostenute dal compartecipe alla comunione ereditaria, di fatto non allontanandosi dal suo orientamento precedente e ribadendo gli enunciati principi di diritto.
Il nostro Legislatore da una parte prevede che il partecipante alla comunione che, per trascuranza degli altri partecipanti o dell’amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, abbia diritto al rimborso delle stesse (art. 1110 c.c.), dall’altra parte prevede che il possessore del bene abbia diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie, nonché al diritto di indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purchè sussistano al tempo della restituzione (1150 c.c.). In più si prevede che, per il possessore di buona fede, come di fatto è il compartecipe alla comunione, l’indennità debba essere corrisposta nella misura dell’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti.
Partendo dalla normativa civilistica in materia e dalla stessa definizione di migliorie come opere che, con trasformazioni o sistemazioni diverse, apportano al bene un aumento di valore, accrescendone il godimento, la produttività e la redditività, senza presentare una propria individualità rispetto alla cosa in cui vanno ad incorporarsi e potenziando la stessa res qualitativamente (cass. 21223/2014), la dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sulla sorte dei miglioramenti e sul conseguente diritto al rimborso integrale o pro quota.
Quanto alla sorte dei miglioramenti apportati alla cosa comune non divisibile da parte di uno dei condividenti la dottrina e la giurisprudenza sembrano unanimi nel riconoscere che tali miglioramenti vengono a far parte dello stesso bene per il principio dell’accessione. La stessa corte di legittimità, con sentenza a sezioni unite, sul punto ha ribadito che anche nel caso di “costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune” la stessa “diviene, per accessione, ai sensi dell’art. 934 c.c., di proprietà comune agli altri comproprietari”, i quali “sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione delle rispettive quote di proprietà, le spese sostenute per l’edificazione dell’opera” (cass., ss. uu., n. 3873/2018).
Se, come affermato dalla Suprema Corte, i miglioramenti diventano parte del bene da dividere allora si dovrà procedere alla divisione tenendo conto di tali miglioramenti non solo ai fini della stima del bene, ma anche della determinazione delle quote e della liquidazione dei conguagli (cass. n. 12345/1991). Non si escluderebbe però, come sostenuto dalla dottrina minoritaria, che la divisione possa aver luogo in base al valore che il bene aveva prima dei miglioramenti, restituendo i miglioramenti separatamente.
Risolta tale questione e indipendentemente dalla modalità di divisione accolta, la dottrina si è interrogata sulle modalità di restituzione dei miglioramenti. Richiamando Cass. SS. UU. n. 3873/2018 e Cass. n. 21223/2014 sembra evidente che, anche in base al principio per cui i miglioramenti non presenterebbero una propria individualità rispetto alla “res” in cui vanno ad incorporarsi, l’eventuale restituzione dei miglioramenti non possa essere integrale ma solo pro quota. Colui che ha effettuato il miglioramento riceverà, in altri termini, solo le quote degli altri condividenti, non potendo chiedere il rimborso dell’intero valore, ma solo, proporzionalmente, delle quote altrui.
Altra questione, a cui la sentenza in esame ha dato risposta ribadendo i precedenti orientamenti, è se il rimborso del miglioramento – anche se pro quota – abbia ad oggetto la spesa sostenuta per eseguire il miglioramento oppure l’incremento di valore del bene dopo il miglioramento. Il principio di diritto più volte affermato è che il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non l’applicazione dell’articolo 1150 c.c. – secondo cui è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti – ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per la cosa comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore. (cfr. Cass. n. 6982/2009, Cass. n. 16206/2013, Cass. 5135/2019).
La Corte di legittimità risolve perciò la questione nel senso di escludere l’applicazione dell’art. 1150 c.c., escludendo quindi il diritto a chiedere un’indennità pari all’aumento del valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti: ciò sul presupposto che il coerede, compartecipe alla comunione, svolgerebbe le funzioni di semplice mandatario o gestore della comunione, avendo unicamente il diritto di chiedere il rimborso spese. Sarebbe perciò indifferente che le spese siano state sostenute per un bene in possesso esclusivo di uno dei coeredi o per un bene oggetto di compossesso.
Quanto detto porta a concludere che non vi sia necessaria coincidenza tra l’ammontare delle somme che possono essere richieste a titolo di rimborso e gli effetti delle migliorie eseguite sulla stima del bene che (conforme Cass. 6982/2009).
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