Il codice del terzo settore. Tutto chiaro?
di Guido Martinelli Scarica in PDFLa lettura del codice del terzo settore (D.Lgs. 117/2017) continua ad incentivare nel lettore dubbi e incertezze. L’unica, parziale, consolazione appare essere che la gran parte delle novità, sia sotto il profilo degli adempimenti civilistici sia, soprattutto, per gli aspetti fiscali, entreranno in vigore non prima del 2019 o, per la parte fiscale, addirittura dal 2020.
Siamo consapevoli che ogni tentativo di interpretare il testo attuale potrebbe risultare vano e smentito nel giro di poco tempo direttamente dal Governo che potrà, entro il giugno del prossimo anno, emanare un decreto correttivo, fruendo della medesima delega, incidendo sulle norme appena emanate novellandole, e che dovrà comunque definire meglio la materia con i numerosi decreti che sono previsti in via di approvazione per completare la disciplina del codice del terzo settore e dell’impresa sociale. Ma alcune spigolature a mio avviso vale comunque la pena di analizzarle.
L’articolo 32 prevede che le organizzazioni di volontariato siano costituite “da un numero non inferiore a sette persone fisiche ...”. Analoga previsione viene indicata dall’articolo 35 per le associazioni di promozione sociale. Si ricorda che tali fattispecie di enti del terzo settore godono di un regime forfettario per la determinazione del reddito ex articolo 86 CTS, diverso e più favorevole di quello indicato dall’articolo 80 per la generalità degli enti del terzo settore di natura non commerciale.
Nulla viene indicato nel caso in cui l’ente, regolarmente iscritto al registro unico del terzo settore quale associazione di volontariato o di promozione sociale, possedendo i requisiti numerici sopra indicati, nel corso di un periodo di imposta, per recesso o esclusione venga a perdere uno o più degli associati scendendo al di sotto della soglia minima di sette.
Devo darne comunicazione al registro che mi potrebbe trasferire dalla sezione degli enti tipizzati a quella generica degli enti del terzo settore? Quali conseguenze potrebbero esserci per la disciplina fiscale fino a quel momento legittimamente applicata?
Ad avviso di chi scrive troverebbe applicazione comunque il comma quattordici del citato articolo 86 del CTSche prevede: “il regime forfetario cessa di avere applicazione a partire dal periodo di imposta successivo a quello in cui viene meno taluna delle condizioni di cui al comma 1”.
Ma se, poi, nel corso dello stesso esercizio il numero degli associati venisse ripristinato a sette, il venir meno di uno dei requisiti per un limitato periodo di tempo quali conseguenze potrebbe avere? Un chiarimento sul punto, appare essenziale.
Problema similare potrà nascere con la previsione di cui all’articolo 24, comma 5, CTS in cui viene concessa, agli enti con più di 500 associati, la possibilità di svolgere anche assemblee separate.
Ma se durante l’esercizio questo numero si riduce oltre alla soglia indicata, continuerà l’associazione a poter godere di tale diritto?
Ci si augura che non diventi necessario per le realtà maggiori dover prevedere in statuto una sorta di “doppio binario” per la convocazione degli organi sociali sulla base del numero degli associati esistenti al momento della assemblea.
Problema assai simile all’articolo 41 per le reti associative. Anche qui sono previsti dei limiti numerici di associati al fine del loro riconoscimento. È sufficiente godere di detto requisito al momento dell’iscrizione al registro o deve permanere? Un ente del terzo settore può far parte di più reti associative.
Un’ultima considerazione sugli obblighi previsti per i cori, le bande e le filodrammatiche. Queste realtà sono le uniche, oltre alle sportive, a poter riconoscere, ai propri direttori artistici e collaboratori tecnici non professionali, i compensi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), del Tuir.
Compensi che, come è ormai universalmente noto, non prevedono copertura assicurativa e previdenziale.
L’articolo 16 del codice del terzo settore prevede che: “I lavoratori degli enti del terzo settore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi”.
Ciò fa presumere che non ci sia spazio per “lavoratori” privi di tutela previdenziale. D’altro canto i volontari non possono percepire nulla.
Quindi, delle due l’una: o le realtà associative indicate entrano nel terzo settore e rinunciano ad utilizzare la disciplina sui compensi indicata, diventata incompatibile alla luce della previsione citata del codice, o restano fuori dal terzo settore perdendo le altre agevolazioni fiscali di cui oggi godono ma che perderebbero con il mancato ingresso nel registro unico.
Articolo tratto da “Euroconferencenews“