Codatorialità, illegittimo il licenziamento intimato da un solo datore di lavoro
di Evangelista Basile Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione Lavoro, 11 febbraio 2019, n. 3899
Licenziamento individuale – codatorialità – reintegra e risarcimento – in solido – responsabilità
MASSIMA
Qualora uno stesso dipendente presti servizio contemporaneamente a favore di diversi datori e l’attività sia svolta in modo indifferenziato, si configura l’unicità del rapporto di lavoro e tutti i fruitori dell’attività del lavoratore devono essere considerati solidalmente responsabili nei suoi confronti per le obbligazioni relative, ai sensi dell’articolo 1294 c.c..
COMMENTO
Una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatole dall’azienda presso cui era formalmente alle dipendenze, durante il periodo di gravidanza. L’azienda, pur non contestando la gravidanza faceva valere, ai sensi dell’art. 54, legge n. 151/2001, l’esonero dal divieto di licenziamento per cessazione dell’attività. La lavoratrice riteneva versarsi in una situazione di rapporto di lavoro di fatto contestuale con altre aziende facenti capo al medesimo centro di interessi. Il giudice di primo grado rigettava l’impugnazione, ma la Corte d’Appello, decidendo il reclamo proposto dalla lavoratrice lo accoglieva, condannando le aziende resistenti in solido alla reintegrazione della lavoratrice ed al pagamento delle indennità risarcitorie conseguenti. Proponendo ricorso per cassazione, tutte le imprese ricorrenti sostengono che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sussistente una situazione di unicità del rapporto di lavoro, dovendosi distinguere il concetto di codatorialità da quello di unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro – da intendersi, questo, come un’unica struttura organizzativa e produttiva, con integrazione delle attività esercitate dalle varie imprese, un interesse comune alle stesse, coordinamento tecnico e amministrativo e unicità d direzione. Il Supremo Collegio adito ritiene che, a prescindere dall’esistenza nel caso in decisione di un vero e proprio gruppo societario, sia stato accertato in giudizio che la lavoratrice abbia reso la prestazione lavorativa per oltre dieci anni in favore, contestualmente, sia della società datrice di lavoro formale che delle altre aziende convenute. Secondo i giudici di legittimità si è dunque in presenza di una situazione di cosiddetta “codatorialità”; si ha unicità del rapporto di lavoro qualora uno stesso lavoratore presti contemporaneamente servizio per due o più datori di lavoro e la sua opera sia tale che in essa non possa distinguersi quale parte sia svolta nell’interesse di un datore di lavoro e quale nell’interesse dell’altro, con la conseguenza che tutti i fruitori della forza lavoro devono essere considerati solidalmente responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, ai sensi dell’art. 1294 c.c.. Tale disposizione stabilisce una presunzione di solidarietà in caso di obbligazione con pluralità di debitori, ove dalla legge o dal titolo non risulti diversamente. Lo stesso dicasi qualora tra più società vi sia un collegamento economico-funzionale tale da far ravvisare un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti, quando si accerti l’utilizzazione contemporanea delle prestazioni lavorative da parte delle varie società titolari delle distinte imprese. Il collegamento economico funzionale tra imprese appartenenti ad un medesimo gruppo societario e l’utilizzo da parte delle stesse delle prestazioni lavorative, fanno sì che sia individuabile un unico rapporto di lavoro alle dipendenze di più datori di lavoro e tutti i fruitori dell’attività del lavoratore dovranno essere considerati solidalmente responsabili nei suoi confronti per le relative obbligazioni. Alla luce di tale ragionamento la Suprema Corte ha ritenuto che, nel caso de quo, essendo cessata l’attività soltanto per una delle imprese resistenti – ovvero quella che fungeva da datore di lavoro in senso formale – potrà essere invocato l’esonero dal divieto di licenziamento unicamente da quest’ultima. Mentre per le altre imprese, concludono i giudici, essendo incontestato che il recesso è stato intimato durante il periodo di maternità della lavoratrice, ricadranno su di esse le conseguenze derivanti dalla nullità del licenziamento. Il ricorso proposto è stato così ritenuto infondato e rigettato.