Circa l’autenticazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti
di Carlo Trentini, Avvocato Scarica in PDFCorte d’Appello di Milano, 14 gennaio 2022 – Pres. A. M. Vigorelli – Est. M. Busacca
Parole chiave: Accordi di ristrutturazione dei debiti – testi documentali degli accordi – autenticazione delle sottoscrizioni – necessità – non sussiste
Massima: “L’autenticazione dei testi negoziali degli accordi sottoscritti non costituisce requisito necessario per l’ammissibilità della domanda di omologazione e per la regolarità della procedura, allorquando i documenti contrattuali siano stati trasmessi per posta elettronica certificata, che è di regola elemento sufficiente per avere certezza della provenienza dell’atto, e la provenienza degli atti dalle parti che appaiono aver sottoscritto non sia mai stata contestata da alcuno”.
Riferimenti normativi: Legge fallimentare art. 182-bis l.fall.; Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza art. 57
CASO
Avverso il decreto che aveva dichiarato inammissibile la domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti e la pedissequa sentenza che aveva aperto la procedura di fallimento, viene proposto reclamo dall’imprenditore, che lamenta, tra l’altro, l’erroneità delle decisioni di primo grado che avevano ritenuto difettare la forma prescritta in alcuni degli accordi depositati con la domanda siccome non conclusi in forma notarile, e solo scambiati tra le controparti negoziali a mezzo posta elettronica certificata. La corte d’appello, in accoglimento del reclamo, motiva, sul punto, la sua decisione osservando che se la forma notarile assolve senz’altro la funzione di assicurare la certezza della provenienza degli atti, ciò non di meno non può ravvisarsi alcun vizio procedurale nel caso in cui gli atti risultino sottoscritti da coloro i quali, in forza delle risultanze camerali, risultino titolari dei poteri di firma per le società creditrici; i testi negoziali siano stati trasmessi a mezzo posta elettronica certificata, che consente d’individuare la provenienza dell’atto senza dubbi di sorta; e se nessuna opposizione e comunque contestazione sia stata sollevata da alcuno nel corso del procedimento di primo grado.
QUESTIONI
La decisione in commento offre l’occasione di fare il punto su una questione controversa sin dall’introduzione, nel 2005, dell’istituto degli accordi di ristrutturazione, i.e. se gli accordi di ristrutturazione (da intendersi nel senso negoziale) debbano presentare o meno forma notarile o, detto in altri termini (ma la sostanza è la stessa), se le sottoscrizioni di detti contratti debba essere o meno autenticata.
Un punto di partenza pare abbastanza evidente: gli accordi devono avere forma scritta.
Di per sé, nulla escluderebbe, per il principio della libertà delle forme, che gli accordi finalizzati alla ristrutturazione dei debiti possano presentare forma libera.
Per altro verso, un primo limite è rappresentato dalla natura specifica dei singoli negozi: se, per esempio, un particolare accordo ha natura squisitamente transattiva (come nel caso in cui vi sia una controversia tra le parti e l’accordo abbia come finalità quella di prevenire la lite), secondo la regola di diritto comune, la transazione richiederà la forma scritta ad probationem[1].
In secondo luogo, gli accordi s’inseriscono nell’ambito di un procedimento rispetto al quale particolari requisiti di forma sono coessenziali suo stesso svolgimento.
Se si pone mente alla circostanza che gli accordi debbono essere iscritti nel registro delle imprese[2] e che debbono essere presentati al tribunale per essere omologati[3], non si vede come si possa negare che gli accordi debbano necessariamente rivestire forma scritta[4].
A tale riguardo, basti osservare che gli accordi debbono essere omologati dal tribunale (e non si vede come potrebbero essere omologati accordi conclusi in forma verbale ovvero per facta concludentia); è stato poi avanzato un secondo argomento, sia pure sottilmente lessicale, secondo cui l’impiego del termine “stipulato” (e quindi del verbo “stipulare”[5]) anziché del più generico termine “concluso” (come invece si rinviene nell’art. 1326 c.c.) designa accordi raggiunti per iscritto, e non mediante altre forme[6].
Più di un Autore, ragionando specificamente sempre sulla forma, ha sostenuto che non sarebbe invece richiesta la forma dell’atto pubblico[7] (gli accordi potrebbero senz’altro essere stipulati anche per corrispondenza[8]), né pare necessaria, com’è invece stato sostenuto[9], la data certa: e infatti tale requisito non è certamente richiesto ai fini della pubblicazione nel registro delle imprese, mentre, una volta avvenuta la pubblicazione e prima ancora il deposito in cancelleria[10], tali eventi attribuiscono data certa al documento negoziale[11].
La necessità dell’autenticazione delle sottoscrizioni degli accordi è questione, concettualmente, distinta.
Per quanto superfluamente, osserviamo che una cosa è la validità – e la prova, tra le parti – del negozio, e differente questione è quella dei requisiti di forma delle produzioni documentali nell’ambito del procedimento, tanto ai fini della pubblicazione nel registro delle imprese quanto allo scopo di consentire al tribunale la verifica della provenienza delle dichiarazioni negoziali e quindi dei presupposti per l’omologazione del concordato (in particolare, per quanto attiene l’esistenza degli accordi, la loro validità e il raggiungimento delle percentuali di adesione, del 60%, del 75% e del 30%).
In più di una pronunzia[12], la giurisprudenza maggioritaria ha affermato la necessità dell’autenticazione[13] della sottoscrizione degli accordi (a norma dell’art. 11, quarto comma, d.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581), e ciò sul presupposto che essa sarebbe necessaria sia per la garanzia della genuinità delle sottoscrizioni[14] (anche ai fini dell’opponibilità ai terzi)[15], sia per procedere alla pubblicazione nel registro delle imprese, e configurerebbe conseguentemente un requisito di ammissibilità dell’accordo[16].
Altri AA. hanno osservato che, per la pubblicità nel registro delle imprese, è necessario che sia autenticata soltanto la sottoscrizione del richiedente, e quindi del debitore ovvero del legale rappresentante della società debitrice, mentre non sembra necessario che siano autenticate anche le sottoscrizioni dei singoli creditori[17]. In altri termini, per la pubblicazione presso il registro delle imprese occorrerebbe distinguere a seconda del tipo di atti: vi sono atti per i quali la legge prescrive la forma dell’atto pubblico ovvero della scrittura privata autenticata (ad esempio, ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese, la cessione d’azienda, per le imprese soggette a registrazione, ai sensi dell’art. 2556 c.c.), e vi sono atti per i quali la pubblicazione non richiede l’autentica di tutte le firme, quali, ad esempio, i verbali di assemblee societarie per i quali non è previsto che le firme del presidente e del segretario dell’assemblea debbano essere autenticate[18] (al proposito va ricordato che la legge ha modificato la disciplina precedente eliminando l’obbligo dell’autenticazione della sottoscrizione del richiedente e sostituendola con l’inoltro per via telematica mediante invio da parte di soggetto abilitato con firma digitale e con l’impiego di una smart card)[19].
È stato poi osservato che la norma non prescrive alcun requisito di forma al riguardo, di talché l’autenticazione non dovrebbe ritenersi richiesta[20]. In tal senso, è stato ricordato che, per il principio di libertà delle forme, e più precisamente in forza dell’art. 1325 c.c., secondo cui una forma particolare è richiesta sotto sanzione di nullità soltanto ove la legge la esiga espressamente, se può, per le ragioni esposte, convenirsi per la necessità della forma scritta, non si vede da quale norma possa desumersi che gli accordi devono presentare una forma più solenne[21]. Di più, venivano invocate le norme degli artt. 152, terzo comma, e 160, quarto comma, l.fall. che, sia pure in tema di concordato, impongono forme particolari per la validità delle delibere in tema di presentazione della domanda di concordato, prescrizioni che dovrebbero interpretarsi nel senso che, affinché siano necessarie formalità particolari, occorre che la legge lo disponga espressamente[22].
Altri, infine, ha rilevato come la norma stabilisca che l’accordo vada “pubblicato nel registro delle imprese”, e che non compete al tribunale vagliare se sussistano i presupposti normativi per detta pubblicazione (la ricorrenza dei quali spetta di vagliare al Conservatore del registro delle imprese)[23].
Non riteniamo fondato l’argomento per cui l’autenticazione sarebbe necessaria per consentire al tribunale di vagliare la certezza della provenienza delle dichiarazioni negoziali[24], evitando così condotte che, se pure particolarmente gravi e quindi improbabili, non possono escludersi, anche tenuto conto dell’assenza della previsione di specifici reati per la falsificazione[25]; in senso contrario, – nella vigenza della legge fallimentare – è stato replicato esattamente che, in tema di concordato preventivo, nessun particolare requisito veniva richiesto per la verifica dell’autenticità dei voti favorevoli espressi, che, a norma dell’art. 178, quarto comma, l.fall., ben potevano pervenire mediante lettera, telefax, telegramma, posta elettronica, senza alcuna autenticazione notarile[26]. E non sembra irrilevante osservare che la revisione del 2012, che pure aveva radicalmente modificato l’art. 178, quarto comma, l.fall.[27], nulla mutò quanto alla forma delle adesioni); del pari, era stato osservato che le esigenze di certezza ben possono trovare soddisfazione per altra via, anche tenuto conto che, mediante la pubblicazione, i creditori sono posti in grado di contestare eventuali irregolarità anche sotto il profilo della genuinità e della provenienza degli accordi[28]. Va aggiunto che anche il CCII, nel prevedere che, nel concordato preventivo “il voto è espresso a mezzo posta elettronica certificata” (art. 107, comma 8) certamente non richiede che la sottoscrizione sia autenticata.
Di più, era stato esattamente ricordato[29] che nell’istituto della composizione delle crisi da sovraindebitamento[30], l’adesione alla proposta di composizione della crisi poteva pervenire mediante vari mezzi (telegramma, lettera raccomandata con avviso di ricevimento, telefax o posta elettronica certificata), in ogni caso senza alcuna necessità dell’autenticazione notarile.
Né pare probante l’ulteriore argomento, invocato a favore dell’autenticazione degli accordi, ravvisato nell’art. 474 c.p.c. (come modificato nel 2005), che attribuisce efficacia di titolo esecutivo[31] alle “scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute”. In senso contrario, va osservato che una simile interpretazione finirebbe per cercare di attribuire agli accordi delle finalità che sono palesemente estranee all’istituto.
La pronunzia della Corte d’Appello di Milano in commento si colloca nel solco dell’orientamento (per vero, minoritario) più liberale: partendo dalla definizione degli accordi di ristrutturazione alla stregua di “una procedura sostanzialmente snella, priva di termini perentori e non caratterizzata da preclusioni rigide”, attribuisce significato dirimente, per affermare la validità – ai fini della procedura – degli accordi prodotti, all’inoltro dei testi negoziali a mezzo posta elettronica certificata[32] nonché alla mancanza di contestazioni di sorta circa la provenienza degli atti.
Preso atto di tali ulteriori tasselli del mosaico argomentativo a sostegno della tesi meno rigorosa, riteniamo che un punto essenziale non sia stato adeguatamente considerato dai sostenitori della tesi secondo cui l’autenticazione non sarebbe necessaria.
Come abbiamo già sostenuto[33], “la questione deve risolversi nel senso della necessità che le sottoscrizioni degli accordi vadano autenticate: al proposito è decisiva la considerazione che, se la legge prevede – senza meglio precisare – la pubblicazione degli accordi, e se il termine, nella sua genericità, non consente di stabilire quale delle due forme sia prescritta, se l’iscrizione o il deposito (cfr. art. 2448 c.c.), ragioni d’interpretazione sistematica impongono di ritenere che la forma pubblicitaria richiesta è quella dell’iscrizione, che consente ai creditori ed ai terzi in genere di poter prendere visione, senza dover compiere ulteriori richieste o indagini, dell’atto pubblicato: e tale conclusione è da approvarsi, posto che non può pensarsi che la semplice notizia del deposito degli accordi, senza conoscenza specifica del contenuto degli stessi, possa considerarsi forma di pubblicità adeguata per le finalità di tutela delle ragioni dei creditori, onerati di proporre opposizione con termine decorrente dalla pubblicazione. Orbene, se la forma di pubblicità richiesta è quella dell’iscrizione, poiché, per la stessa, è necessario che tutte le sottoscrizioni siano autenticate[34], deve concludersi per la necessità dell’autenticazione delle sottoscrizioni degli accordi”.
E ancora: “tale tesi trova conferma nella prassi tanto dei tribunali quanto dei conservatori[35], che è – prevalentemente – nel senso di pretendere, sia ai fini della pubblicazione nel registro delle imprese, sia ai fini dell’omologazione, che le sottoscrizioni dei contraenti gli accordi siano autenticate. Va peraltro osservato che, in ogni caso, la mancata autenticazione degli accordi dovrebbe comunque configurare un’ipotesi di vizio sanabile, ritenendosi possibile chiedere al tribunale la concessione di un termine al riguardo[36]”.
E tale opinione qui ribadiamo, in dissenso rispetto alla tesi accolta dalla decisione in commento.
[1] Art. 1967 c.c.
[2] In tal senso Trib. Brescia 22 febbraio 2006, in Foro it., 2006, I, 2563 e in Fall., 2006, 669; E. Capobianco, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione delle crisi d’impresa. Profili strutturali e funzionali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, 313.
[3] E. Capobianco, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione delle crisi d’impresa. Profili strutturali e funzionali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, cit., 309. Non sarebbe nemmeno ipotizzabile che accordi conclusi oralmente o per fatti concludenti possano essere oggetto di omologazione: così S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, ed. 2007, commentario diretto da A. Jorio coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2007, tomo II, 2546.
[4] G. Falcone, in A. Didone, Le riforme delle procedure concorsuali, Milano, 2016, 1951; G. Balestra, Sul contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm., 2014, I, 288; I. L. Nocera, Riflessioni civilistiche sull’omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Corriere giur., 2013, 1580; C. E. Papadimitriu, Problemi in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2012, 719; C. Proto, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall., 2006, 132; G. U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 576; S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, ed. 2007, cit., 2546; L. Jeantet, L’accordo di ristrutturazione dei debiti e la privatizzazione dell’insolvenza, in Giur. comm., 2007, II, 219; V. Roppo, Profili strutturali e funzionali dei contratti “di salvataggio” (o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), in Dir. fall., 2008, I, 370; P. Pajardi A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, VII ed., Milano, 2008, 913; M. Arato, Gli accordi di salvataggio o di liquidazione dell’impresa in crisi, in Fall., 2008, 1238; P. Valensise, in AA. VV., La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, tomo III, Torino, 2010, 2264; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 606; G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. it., 2010, 2465; G. Scarselli, in E. Bertacchini L. Gualandi S. Pacchi G. Pacchi e G. Scarselli, Manuale di diritto fallimentare, II ed., Milano, 2011, 535; D. Benincasa, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, in Le procedure concorsuali, a cura di A. Caiafa, tomo II, Padova, 2011 1409. Secondo G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, VIII ed., Milano, 2011, 758, la forma scritta non sarebbe richiesta per la validità, ma “sul piano pratico”; che gli accordi debbano constare da documento scritto si ricava dalla necessità della loro pubblicazione e successivamente della loro omologazione. Per la necessità della forma scritta ad substantiam, M. Fabiani, Diritto fallimentare, Bologna, 2011, 692.
[5] “Stipulare un contratto/un accordo” ha, nella lessicografia degli italianisti, così come nella dottrina giuridica, il significato di “concludere in forma scritta”: cfr. G. Devoto G. C. Oli, Il dizionario della lingua italiana, Firenze, 1995, che dà la seguente definizione del lemma “stipulare”: “concludere formalmente il contratto, mediante la stesura del documento nelle debite forme”; in guisa sostanzialmente analoga, cfr. la definizione di Dizionario Italiano online Hoepli (http://dizionari.hoepli.it/Dizionario_Italiano): “concludere formalmente un contratto tramite la redazione del documento nelle forme dovute” .
[6] Per entrambi tali argomenti, rimandiamo ad S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, ed. 2007, cit., 2546 nonché ad S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, commentario sistematico diretto da A. Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2010, 1151. Cfr. anche G. Scarselli, in E. Bertacchini L. Gualandi S. Pacchi G. Pacchi e G. Scarselli, Manuale di diritto fallimentare, cit., 536.
[7] Può infatti certamente bastare la forma della scrittura privata: G. Scarselli, in E. Bertacchini L. Gualandi S. Pacchi G. Pacchi e G. Scarselli, Manuale di diritto fallimentare, cit., 536.
[8] G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 2645.
[9] G. Scarselli, in E. Bertacchini L. Gualandi S. Pacchi G. Pacchi e G. Scarselli, Manuale di diritto fallimentare, cit., 536.
[10] P. Pajardi A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, cit., 913.
[11] Del resto, la data certa è di regola richiesta per l’opponibilità ai terzi, e non si vede quale conflitto possa darsi in virtù degli accordi stipulati con gli aderenti, posto che, per definizione, essi valgono tra le parti e i possibili effetti nei confronti dei terzi non si producono se non con la pubblicazione.
[12] Trib. Rimini 22 maggio 2014, in Il Caso.it, p. 12.11.2014; Trib. Bergamo 19 dicembre 2013, in Il Fallimentarista.it; Trib. Rimini 23 settembre 2013, in Il Caso.it, p. 13.11.2014; Trib. Roma 20 maggio 2010, in Dir. fall., 2011, II, 352; in Giur. merito, 2011, 412; Trib. Milano 25 marzo 2010, in Dir. fall., 2011, II, 479 e in Fall., 2011, 92; Trib. Udine 21 settembre 2007, in Unijuris.it; Trib. Udine 22 giugno 2007, in Fall., 2008, 701; Trib. Bari 21 novembre 2005, in Fall., 2006, 174. Contra Trib. Ancona 20 marzo 2014, in Unijuris, p. 10.7.2014; Trib. Reggio Calabria 24 gennaio 2012, in Il Fallimentarista e in Dir. fall., 2012, II, 716; più recentemente, v. Trib. Bergamo 13 febbraio 2019, in Il Caso.it, p. 21.3.2019, che motiva la soluzione sulla base della considerazione che il principio generale è quello ella libertà delle forme e che per atti di natura privatistica quali gli accordi nessuna norma prevede, ai fini della validità dell’atto, forme particolari.
[13] S’intende, per “autenticazione”, l’autenticazione notarile. La precisazione potrebbe sembrare del tutto superflua, se non fosse che non è mancato, in dottrina, chi ha osservato che non sarebbe ammissibile un’autentica da parte dell’attestatore, ovvero del cancelliere o del conservatore del registro delle imprese (C. E. Papadimitriu, Problemi in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 719-720).
[14] G. Presti, L’art. 182 bis al primo vaglio giurisprudenziale, nota a Trib. Bari 21 novembre 2005, in Fall., 2006, 171; contra: G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 2466, che (scrivendo all’epoca) osservava, giustamente, che l’ipotesi di un imprenditore che falsifichi le sottoscrizioni dei creditori, esponendosi non soltanto alle possibili opposizioni, ma persino ad imputazioni penali, è scarsamente verosimile; di più, egli esattamente rileva che il tribunale non è tenuto ad una verifica della legittimità delle firme e men che meno alla relativa certificazione; ed infine che, nel concordato preventivo, le firme nelle dichiarazioni di voto dei creditori (che potevano pervenire con i mezzi più svariati, dalle lettere ai fax ai telegrammi alla posta elettronica) non soltanto non erano autenticate, ma, addirittura, accadeva che, in certi casi, nemmeno recassero le sottoscrizioni (così per i telegrammi o la posta elettronica).
[15] Trib. Bergamo 19 dicembre 2013, cit.
[16] La necessità che le firme siano autenticate è condivisa da D. Restuccia, Natura giuridica e struttura degli accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi del novellato art. 182 bis l. fall., in Riv. notariato, 2012, 1292-1293; G. Presti, L’art. 182 bis al primo vaglio giurisprudenziale, cit., 174; L. Jeantet, L’accordo di ristrutturazione dei debiti e la privatizzazione dell’insolvenza, cit., 219; P. Valensise, in AA. VV., La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 2265; A. Didone, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis legge fallim.) (presupposti, procedimento ed effetti dell’anticipazione delle misure protettive dell’impresa in crisi), in Dir. fall., 2011, I, 21, che cita a favore Trib. Milano 25 marzo 2010, cit.; da L. Fazzi, Questioni in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2011, II, 356; G. Scarselli, in E. Bertacchini L. Gualandi S. Pacchi G. Pacchi e G. Scarselli, Manuale di diritto fallimentare, cit., 536; B. Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fallim.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Dir. fall., 2012, I, 51. Contra: G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 2465; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, cit., 758; G. B. Nardecchia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ed il procedimento per la dichiarazione di fallimento, nota a Trib. Udine 22 giugno 2007, in Fall., 2008, 706 parla di “interpretazione rigorosa e formalista”; G. U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, cit., 577 che definisce la tesi accolta dalla giurisprudenza come “eccessiva e non fondata”.
[17] M. Fabiani, Diritto fallimentare, cit., 692. Critici per la soluzione accolta dalla giurisprudenza più rigorosa C. Proto, Accordi di ristrutturazione dei debiti, tutela dei soggetti coinvolti nella crisi d’impresa e ruolo del giudice, in Fall., 2007, 191, nota 10, che osserva che l’autenticazione non è prevista nemmeno per le adesioni alla proposta di concordato preventivo; M. Arato, Gli accordi di salvataggio o di liquidazione dell’impresa in crisi, in Fall., 2008, 1238, che osserva trattarsi “probabilmente… di una formalità eccessiva”, fonte di complicazioni pratiche. Egualmente, S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, ed. 2010, cit., 1152 parla di un’interpretazione troppo rigoristica che finisce per tradursi in “un ostacolo pressoché insormontabile all’omologazione” (vedi, precedentemente, per lo stesso Autore, in termini sostanzialmente non diversi, S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, ed. 2007, cit., 2547).
[18] G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 2465.
[19] G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 2465.
[20] I. L. Nocera, Riflessioni civilistiche sull’omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Corriere giur., 2013, 1581; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., 606; C. E. Papadimitriu, Problemi in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 719. così anche i primi commentatori: C. Proto, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 132, che richiama la natura privatistica degli accordi e un (presunto) intento semplificatorio della procedura. In giurisprudenza Trib. Reggio Calabria 24 gennaio 2012, cit.
[21] I. L. Nocera, Riflessioni civilistiche sull’omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 1581, che esattamente osserva altresì che pubblicazione è termine “atecnico utilizzato in maniera spesso ambigua”.
[22] Per tutte queste considerazioni, rimandiamo a G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 2465.
[23] L. Boggio, Firma autentica, “pubblicazione” nel registro delle imprese e sindacato del giudice dell’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, nota a Trib. Milano 25 marzo 2011, in Dir. fall., 2011, II, 490.
[24] Trib. Bari 21 novembre 2005, cit.
[25] M. Ferro, Art. 182-bis, la nuova ristrutturazione dei debiti, in Il nuovo dir. delle società, 2005, 24, 55.
[26] Trib. Reggio Calabria 24 gennaio 2012, cit.; G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 2466.
[27] Introducendo la regola contraria a quella prima vigente, e cioè che i creditori che non votano “si ritengono consenzienti”.
[28] L. Boggio, Firma autentica, “pubblicazione” nel registro delle imprese e sindacato del giudice dell’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, cit., 491.
[29] Trib. Reggio Calabria 24 gennaio 2012, cit.
[30] L’osservazione è stata formulata quando ancora era vigente, in attesa della (successivamente non intervenuta) conversione in legge, il decreto-legge n. 212/2011 (esattamente art. 6, primo comma).
[31] Per tale argomento G. B. Nardecchia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall., 2006, 674, cui aderisce L. Girone, L’accordo di ristrutturazione a seguito del decreto correttivo: la lettura retrospettiva di un provvedimento antecedente rivela che le modifiche introdotte dalla novella non sono meramente formali, in Dir. fall., 2008, I, 638; L. Girone, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Le altre procedure concorsuali Reati fallimentari Problematiche Comunitarie e trasversali Fallimento e Fisco, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto e coordinato da U. Apice, Torino, 2011, 544; B. Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fallim.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, cit., 50.
[32] In altre pronunzie è stato affermato che gli accordi possono essere conclusi mediante scambio di PEC: Trib. Rimini 27 giugno 2019, in One Legale; Trib. Benevento 30 gennaio 2019, in Il Caso.it, p. 3.4.2019.
[33] C. Trentini, Piano attestato di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2016, 334.
[34] D. Restuccia, Natura giuridica e struttura degli accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi del novellato art. 182 bis l. fall., cit., 1292-1293.
[35] Cfr. P. Pajardi A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, cit., 914 relativamente ai Conservatori della Regione Lombardia, definendo tale opzione alla stregua di una “prassi virtuosa”: idem, 921.
[36] Così G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, cit., 758, che cita Trib. Milano 25 marzo 2010, cit.
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