La riluttanza al cambiamento è particolarmente conclamata nei professionisti italiani. Credo di aver conosciuto poche categorie di persone così intimamente conservatrici e refrattarie a ogni tipo di mutamento e innovazione, soprattutto quelli di carattere organizzativo e di comunicazione.
Ogni anno svolgo decine e decine di seminari sul management e il marketing degli studi professionali, ai quali partecipano svariate migliaia di professionisti. Scrivo articoli su testate multimediali e cartacee e presto consulenza ormai praticamente a tempo pieno presso gli studi professionali.
Molti professionisti, tuttavia, continuano a rifiutare a priori le idee che espongo. Quando escono dai convegni dopo aver annuito e sorriso a denti stretti per i siparietti che adduco a mo’ di esempio, si smarcano adducendo che in ogni caso il loro studio è diverso da tutti gli altri.
Altro escamotage molto gettonato è di affermare che quello che dico è solo una bella mairrealizzabile teoria e che, anzi, è fastidioso sentir parlare di belle favole perché a qualcuno potrebbe venir voglia di realizzarle.
Non sarà, invece, che la persona che ci manda avanti lo studio e alla quale vent’anni fa abbiamo detto di arrangiarsi perché non avevamo tempo ormai si e ci gestisce in totale anarchia? E non sarà che non ci piace gestire lo studio e che speriamo tutti, in cuor nostro, che si gestisca in automatico?
Fare il manager è un lavoro pesante. È increscioso dover dire alle persone che sbagliano, è ancora più increscioso dire alle persone che non sono (più) adatte a fare un determinato lavoro e che devono cambiare o andarsene. Anziché affrontare il proprio orgoglio e comprendere che il mondo che ci circonda è mutato per sempre e non tornerà mai più lo stesso è molto più comodo dare la colpa alla crisi o sparare sui consulenti.
Anche i pochi illuminati che accettano di confidarsi e condividere un percorso di cambiamento spesso si arrendono con troppa facilità.
E così non sono pochi i professionisti che dopo avermi accolto nel loro studio perché sentono la necessità di cambiare la formula organizzativa o le modalità di comunicazione dello studio, rinunciano a implementare le innovazioni concordate perché non è ancora il momento. Non è mai il momento giusto. Sembra la pubblicità di un noto whisky scozzese di qualche tempo fa in cui la bottiglia andava a chiedere alla botte se fosse finalmente arrivato il momento di consumare…
E allora, ad esempio, oggi non è il momento di costruire le procedure di studio perché prima dobbiamo cercare e inserire una nuova persona. Oppure dobbiamo rinviare la stesura delle procedure a settembre perché adesso cominciano le dichiarazioni dei redditi.
Non dovrebbe essere, invece, vero che conviene fare le procedure prima di affrontare le nuove emergenze, visto che le istruzioni scritte servono enormemente per agevolare l’inserimento di una persona e possono essere costruite non solo propedeuticamente ma anche magari parallelamente al suo inserimento?
Stesso discorso quando suggerisco di prendersi una giornata per pianificare il lavoro dei dichiarativi. La risposta è sempre quella: ora non abbiamo tempo!
In altri casi ad andarci di mezzo è la comunicazione dello studio. Dato il risicato budget a disposizione quest’anno abbiamo deciso che non faremo il piano di marketing, preferiamo investire il denaro che abbiamo in pubblicità.
Magari se avessimo scelto il piano di marketing ci saremmo accorti che non ha alcun senso fare pubblicità nel mercato di riferimento ma che avremmo dovuto, invece, differenziare le prestazioni professionali che offriamo oppure avremmo scoperto che un approccio di comunicazione attraverso i social media è molto meno costoso ed ha un tasso di ritorno più promettente…
“Caro collega, grazie mille del progetto di cambiamento che ci hai proposto, è molto lucido e interessante. Però ora abbiamo una operazione straordinaria da gestire quindi ce ne occuperemo dopo.” Pensate a quanto tempo si risparmierebbe, invece, gestendo una operazione straordinaria con criteri di project management.
E così l’urgente ha sempre e comunque il sopravvento sull’importante. E la pianificazione è utilissima, ma guardacaso sempre e solo a posteriori.
Le scuse che i professionisti italiani utilizzano per non cambiare raggiungono vette paragonabili solo alle barriere che un partner frigido saprebbe snocciolare per evitare qualsiasi forma di amplesso. Mi manca solo di sentirmi dire che non si cambia perché oggi ho il male di testa…
Anch’io – per quanto mi sforzi – alle volte ci casco. Compro un corso di formazione pensando che ipso facto cambierà il comportamento dei miei collaboratori o penso che dotarmi di una licenza software e metterla su uno scaffale sia sufficiente a farmi lavorare in modo diverso. Aspetto magari un mese per redarguire un collaboratore, perché adesso ha un grosso lavoro da concludere.
Nel libro “Le sette regole per avere successo” Stephen Covey suggerisce emblematicamente di prendersi sempre il tempo per affilare la propria lama, cioè per mantenere la nostra efficacia, anzi meglio aumentarla attraverso momenti di ricarica e crescita.
Covey narra la storiella di un avventore che cammina nel bosco. Ad un certo punto questo avventore incontra un boscaiolo intento a segare un albero. Il boscaiolo è affaticato ed è evidente che ha fretta di finire il lavoro. L’uomo notando che la lama non taglia bene chiede al boscaiolo: “perché non si ferma ad affilare la lama della sua sega, non vede che non taglia più?”. Il boscaiolo stizzito risponde “caro mio signore non si rende conto che ho fretta, non ho tempo di fermarmi per affilare la lama, devo abbattere questo albero velocemente!”
Non dobbiamo aspettate il momento giusto per apportare i cambiamenti necessari nel vostro studio, perché quel tempo magico non arriverà mai. Se crediamo veramente che il cambiamento sia necessario, il momento giusto per cambiare è ora.