Cessione d’azienda e la successione del cessionario nei contratti conclusi dal cedente
di Francesco Luppino, Dottore in legge e cultore della materia di diritto privato presso l'Università degli Studi di Bologna Scarica in PDFCassazione civile, sez. II, sentenza 14.10.2022 n. 30296. Presidente R. M. Di Virgilio. – Estensore M. Bertuzzi
Massima: “La cessione di azienda prevede la successione del cessionario d’azienda in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio della stessa, con la sola espressa eccezione di quelli aventi carattere personale, di quelli aventi ad oggetto prestazioni già concluse o esaurite e di quelli rispetto ai quali le parti abbiano, con espressa pattuizione, escluso che si verifichi l’effetto successorio, e che tale effetto si produce di diritto, ipso iure, con riguardo a tutti i rapporti contrattuali inerenti l’azienda ceduta, come effetto naturale della fattispecie traslativa d’azienda. A differenza della ipotesi generale della cessione del contratto ex articolo 1406 del codice civile, la cessione d’azienda prescinde del tutto dalla volontà, espressa o tacita, delle parti stipulanti e neppure richiede, per il suo perfezionamento, il consenso del contraente ceduto. Il che evidentemente risponde all’intenzione del legislatore di realizzare, con tale meccanismo, l’interesse di carattere generale di favorire la circolazione di complessi aziendali completi ed efficienti. Interesse che rischierebbe di rimanere frustrato se si ritenesse necessaria, ai fini del prodursi del fenomeno successorio, un’accettazione espressa dei contratti e delle pattuizioni per la cui validità è richiesta la forma scritta”.
CASO
La società Alfa e la società Beta concludevano un contratto preliminare di compravendita immobiliare in base al quale i contraenti pattuivano la data per la stipula del contratto definitivo e prevedevano la facoltà per la società Alfa di differire tale data, subordinata al pagamento, in conto prezzo, dell’importo di euro 300mila entro la scadenza della prima data pattuita e ulteriori euro 300mila entro un anno prima della seconda scadenza.
La promissaria acquirente Alfa versava la somma di euro 200mila un mese dopo il giorno fissato per la prima scadenza e una ulteriore somma di euro 50mila dopo altri dieci giorni dal primo pagamento, senza comunicare alla società Beta, promissaria venditrice, di volersi avvalere del differimento della data prevista per la stipula del contratto definitivo, come, invece, era stato in origine pattuito.
La società Beta contestava ad Alfa di non aver comunicato preventivamente il differimento della data di stipula del definitivo e di non aver adempiuto all’obbligo di versamento dell’ulteriore caparra secondo gli importi convenuti in sede di preliminare di vendita, comunicando, altresì, la propria volontà di recedere dal contratto e di trattenere le somme ricevute da Alfa.
Nel frattempo Beta trasferiva il ramo d’azienda del settore immobiliare, comprendente anche il contratto preliminare concluso con la società Alfa, alla società Gamma, costituita poco tempo prima da Beta con specifico atto notarile.
La società Alfa citava in giudizio Beta domandando al Tribunale che accertasse l’illegittimità del recesso manifestato da Beta, chiedendo la condanna di Beta al pagamento di una somma pari al doppio della caparra che aveva corrisposto alla promissaria venditrice e agli acconti sul prezzo da essa incassati, esercitando a sua volta il diritto di recesso dal contratto preliminare di vendita per inadempimento di Beta.
Il Tribunale accoglieva tutte le domande proposte dalla società Alfa e condannava Beta al pagamento delle somme richieste dall’attrice.
La soccombente Beta impugnava la pronuncia del Tribunale chiedendo alla Corte d’Appello di Milano di riformare la sentenza del giudice di prime cure.
La Corte d’Appello di Milano confermava il capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato legittimo il recesso esercitato da Alfa con la conseguente condanna di Beta al pagamento delle somme di cui sopra.
In particolare, la corte milanese ritenne che il recesso manifestato da Beta non fosse legittimo, poiché incassando gli assegni per il complessivo importo di euro 250mila essa aveva accettato, per facta concludentia (per comportamento concludente), il pagamento di un importo inferiore rispetto a quello pattuito nel preliminare e nel contempo aveva acconsentito al differimento del termine per la stipula del contratto definitivo di vendita anche in assenza della comunicazione di Alfa. Inoltre, secondo il giudice d’appello la condotta tenuta da Alfa non costituiva un grave inadempimento, dal momento che il pagamento era avvenuto con solo una decina di giorni di ritardo e l’importo mancante era molto ridotto rispetto al totale della rata prevista. Infine, l’avvenuta cessione da parte di Beta del ramo d’azienda comprendente anche il preliminare de quo alla società Gamma non poteva considerarsi produttivo di effetti sulla legittimazione sostanziale e processuale della società Beta, atteso che quest’ultima aveva comunque incassato gli assegni emessi da Alfa e aveva anche esercitato il recesso dal contratto.
La società Beta ricorreva per Cassazione con ricorso articolato in sette motivi.
La società Alfa resisteva con controricorso.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione con sentenza n. 30296 del 14 ottobre 2022 ha accolto il quinto motivo di ricorso, assorbiti tutti gli altri, e, dal momento che ne sussistevano le condizioni, ritenendo che non fossero necessari nuovi accertamenti di fatto, ha cassato la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento del suddetto motivo, decidendo la causa nel merito con relativa pronuncia sulle spese di tutti i tre gradi di giudizio.
QUESTIONI
La controversia oggetto della sentenza in commento verte sul tema degli effetti che produce il contratto di cessione d’azienda o di ramo d’azienda, in particolare, quelli concernenti la successione del cessionario d’azienda in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio dell’attività produttiva e le relative eccezioni.
I giudici di piazza Cavour hanno esaminato primariamente il quinto motivo di ricorso in quanto poneva una questione avente priorità logica e giuridica sui temi investiti dagli altri motivi.
Con tale motivo la ricorrente Beta denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 2558 c.c. nonché vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, poiché i giudici dell’appello avevano considerato irrilevante l’atto notarile prodotto in giudizio, con il quale Beta aveva costituito la società Gamma conferendole il ramo d’azienda relativo al settore immobiliare, comprendente, perciò, anche il contratto preliminare di vendita concluso con la società Alfa. Beta contestava la pronuncia impugnata poiché la Corte milanese aveva ritenuto che, nonostante l’intervenuta cessione del ramo d’azienda e dei relativi contratti, la società Beta avesse conservato la propria legittimazione sostanziale e processuale per aver incassato l’importo di euro 250mila di cui agli assegni della società Alfa e per aver manifestato successivamente la propria volontà di recedere dal predetto contratto.
In altri termini, Beta denunciava l’erroneità del ragionamento posto in essere dalla corte territoriale per non aver questa rilevato che si era prodotta, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2558 c.c., una successione del contratto preliminare in capo alla società Gamma, quale conseguenza della costituzione della nuova società del ramo d’azienda del settore immobiliare. Dunque, per effetto della successione Gamma -e non più Beta che, invece, era stata convenuta in giudizio- era diventata parte del negozio e titolare in via esclusiva del relativo rapporto contrattuale. Secondo la ricorrente Beta in virtù degli effetti dell’art. 2558 c.c. la Corte d’Appello non avrebbe dovuto considerare prevalenti le circostanze relative all’incasso degli assegni eseguito da Beta prima dell’iscrizione dell’atto di costituzione della società Gamma nel registro delle imprese e il recesso dal preliminare comunicato anche dalla cessionaria d’azienda.
Pertanto, secondo la tesi prospettata da Beta la corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare il difetto di legittimazione passiva della ricorrente e respingere le domande formulate da Alfa e dichiarare comunque privo di efficacia il recesso dal contratto preliminare esercitato da Alfa, in quanto comunicato a Beta e non anche alla nuova società Gamma, titolare del ramo d’azienda comprendente il preliminare.
Secondo gli Ermellini il motivo di ricorso in oggetto è ammissibile e fondato.
Ammissibile, perché, diversamente da quanto dedotto da Alfa nel rispettivo controricorso, la questione posta dal motivo non è risultata proposta per la prima volta nel giudizio di legittimità, essendo stata oggetto di specifico motivo dell’appello proposto da Beta nonché di esame e decisione da parte della sentenza impugnata dalla ricorrente.
Invece, per quanto riguarda la fondatezza del motivo in oggetto, gli Ermellini hanno preliminarmente svolto alcune premesse.
La società Alfa aveva proposto domanda di accertamento della legittimità del proprio recesso dal contratto preliminare e di condanna al pagamento del doppio della caparra versata esclusivamente nei confronti della società Beta, promissaria venditrice, e non anche nei confronti di Gamma e la domanda oggetto della verifica svolta dai giudici della Cassazione risultava introdotta in una data successiva all’atto di costituzione della società Gamma, perciò, successivamente anche al conferimento del ramo d’azienda comprendente, come aveva accertato anche la Corte d’Appello, il contratto preliminare di vendita.
Venendo invece al merito dell’accertamento condotto dai giudici di legittimità è opportuno precisare che vige un orientamento giurisprudenziale consolidato per cui «il conferimento di un’azienda o di un ramo di essa ad una società rientra nella più ampia e generale figura della cessione d’azienda, realizzando il trasferimento e quindi la successione a titolo particolare della stessa»[1].
Prendendo spunto dal suesposto principio gli Ermellini hanno concluso che nel caso di specie trova applicazione la disciplina prescritta dagli artt. 2557 e 2558 c.c. In particolare, quest’ultimo prevede che «se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale». Pertanto, il Supremo Collegio ha precisato che la cessione di azienda prevede la successione del cessionario d’azienda in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio della stessa, ad eccezione di quelli aventi carattere personale, di quelli aventi a oggetto prestazioni già concluse o esaurite e di quelli rispetto ai quali le parti abbiano espressamente escluso che si verifichi l’effetto successorio, con la conseguenza che tale effetto si produce di diritto nei confronti di tutti i rapporti contrattuali inerenti l’azienda ceduta e ciò come «effetto naturale» della fattispecie traslativa del contratto in oggetto.
Infatti, a differenza dell’ipotesi generale della cessione del contratto ex art. 1406 c.c., la fattispecie speciale della cessione d’azienda è del tutto indipendente dalla volontà, espressa o tacita, dei contraenti e, ai fini del suo perfezionamento, non richiede nemmeno il consenso del contraente ceduto. Tale impostazione risponde all’interesse di carattere generale di favorire il più possibile la circolazione di complessi aziendali completi ed efficienti; principio che, per converso, rischierebbe di essere compresso se fosse necessaria un’accettazione espressa dei contratti e delle pattuizioni per la cui validità e richiesta la forma scritta[2].
Nei contratti di cessione d’azienda il cedente non conserva la titolarità di una situazione giuridica, ad eccezione dei debiti riguardanti l’azienda ceduta in caso di morte del cedente (ipotesi prevista dall’art. 2660 c.c.), nel qual caso la giurisprudenza di legittimità ha più volte ricondotto l’applicazione della norma citata «quando si tratta di debiti in sé soli considerati, e non anche quando, viceversa, essi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558, dal momento che in tale fattispecie la responsabilità si inserisce nell’ambito della più generale sorte del contratto»[3].
Pertanto, alla luce dei principi sopra richiamati gli Ermellini hanno condiviso le censure denunciate dalla ricorrente con il quinto motivo di ricorso, affermando che la corte territoriale non aveva tratto le corrette e dovute conseguenze dall’avvenuto conferimento del ramo d’azienda realizzato dalla società Beta in favore della cessionaria Gamma, omettendo, altresì, di considerare gli effetti giuridici previsti dall’art. 2558 c.c. con riguardo al contratto preliminare di compravendita immobiliare dedotto in giudizio, i quali si sono trasferiti in capo Gamma quale unica titolare del negozio dedotto in giudizio per effetto dell’intervenuta cessione.
[1] Cassazione civile, sez. 6 TRI, ordinanza 1 agosto 2018, n. 20415 e Cassazione civile, sez. TRI, sentenza 9 aprile 2009, n. 8644.
[2] Cassazione civile, sez. II, ordinanza 3 gennaio 2020, n. 15 e Cassazione civile, sez. I, sentenza 28 marzo 2007, n. 7652.
[3] In tali termini si è pronunciata Cassazione civile, sez. 6 3, ordinanza 30 marzo 2018, n. 8055; Cassazione civile, sez. II, sentenza 6 aprile 2018, n. 8539; Cassazione civile, sez. I, sentenza 16 giugno 2004, n. 11318.
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