7 Febbraio 2023

Cause di incompatibilità e ineleggibilità a sindaco di società di capitali

di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile sez. II – 10/10/2022, n. 29406

Parole chiave: sindaco – consulente – incompatibilità – ineleggibilità – collegio sindacale – società di capitali –

Massima: “Chi svolge in modo continuativo prestazioni di consulenza sull’oggetto che deve essere controllato da parte del collegio sindacale e sia comunque titolare di un rapporto di natura patrimoniale, si trova in una situazione che compromette in radice la sua imparzialità e indipendenza; la ratio sottesa alla causa di ineleggibilità risiede infatti nell’esigenza di garantire l’indipendenza di colui che è incaricato delle funzioni di controllo in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza, così che la compromissione dell’indipendenza del sindaco sussiste non solo quando il controllore sia direttamente implicato nell’attività sulla quale dovrebbe esercitare il controllo, ma anche quando l’attività di consulenza sia prestata da un socio o collaboratore dello studio di cui faccia parte il sindaco“.

Disposizioni applicate: 2399 c.c.

Il giudizio in esame prende le mosse da un decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una S.r.l. per il pagamento di Euro 80.286,04 a titolo di compensi professionali per l’attività di consulenza fiscale svolta da uno studio di commercialisti di cui, però, faceva parte anche il sindaco della società ingiunta.

Quest’ultima ha quindi proposto opposizione, chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo ed, in via riconvenzionale, di accertare la responsabilità professionale del consulente, con richiesta di risarcimento del danno, per l’incompatibilità del medesimo con la carica di sindaco da lui ricoperta all’interno della società, e con richiesta altresì di condanna alla restituzione di quanto in passato indebitamente percepito.

Il sindaco si è pertanto costituito nel giudizio di opposizione, precisando che tutte le attività di consulenza prestate in favore della società opponente erano in realtà riconducibili all’altro suo socio, con ciò escludendo ogni possibile motivo di incompatibilità/ineleggibilità alla carica di sindaco.

Giunto in Cassazione, con il terzo motivo di ricorso il sindaco ha lamentato la violazione dell’art. 2399 c.c. – secondo cui “non possono essere eletti alla carica  di  sindaco  e,  se  eletti, decadono dall’ufficio: […] c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle  sottoposte a comune controllo  da  un  rapporto  di  lavoro  o  da  un  rapporto continuativo di  consulenza  o  di  prestazione  d’opera  retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne  compromettano l’indipendenza” –  avendo la Corte d’Appello di Torino erroneamente ritenuto sussistente la sua ineleggibilità sulla base della mera partecipazione allo studio di cui faceva parte.

Secondo il ricorrente, tale circostanza non sarebbe stata di per sé sufficiente a considerare integrata la causa di ineleggibilità prevista dal suddetto articolo, occorrendo invece analizzare la fattispecie concreta e verificare la reale sussistenza di interessi patrimoniali che compromettano l’indipendenza del sindaco, dovendo inoltre considerare non solo il rapporto fra il compenso percepito dal sindaco e quello percepito dallo studio per l’attività di consulenza in favore della società, ma anche i ricavi che il professionista complessivamente ottiene nello svolgimento della sua attività ordinaria.

All’esito del giudizio, la Corte di Cassazione ha ritenuto l’impugnazione infondata, evidenziando che in appello era stato rilevato che il credito per la prestazione ingiunta, effettivamente svolta dall’altro socio, sarebbe comunque maturato, per accordi statutari interni, in capo allo studio, di cui il sindaco deteneva una quota pari al 70%, configurandosi in tal modo una violazione dell’art. 2399 lett. c) c.c., laddove prevede che non possono essere eletti alla carica di sindaco, non solo coloro che prestano attività di consulenza o prestazione d’opera retribuita, ma anche coloro che sono legati alla società “da altri rapporti patrimoniali che ne compromettano l’indipendenza“.

La Corte ha quindi richiamato l’orientamento già espresso in precedenza, secondo il quale chi svolge in modo continuativo prestazioni di consulenza sull’oggetto che deve essere controllato da parte del collegio sindacale e sia comunque titolare di un rapporto di natura patrimoniale, si trova in una situazione che compromette in radice la sua imparzialità e indipendenza; la ratio sottesa alla causa di ineleggibilità risiede infatti nell’esigenza di garantire l’indipendenza di colui che è incaricato delle funzioni di controllo in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza, così che la compromissione dell’indipendenza del sindaco sussiste non solo quando il controllore sia direttamente implicato nell’attività sulla quale dovrebbe esercitare il controllo, ma anche quando l’attività di consulenza sia prestata, come nel caso di specie, da un socio o collaboratore dello studio di cui faccia parte il sindaco (cfr., al riguardo, Cass. n. 9392/2015).

In conclusione, la Corte ha anche evidenziato che “l’espressione “altri rapporti patrimoniali che ne compromettano l’indipendenza” è indeterminata al punto che è rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito individuare il criterio da seguire nella fattispecie concreta, criterio che, nel caso in esame, la Corte d’appello aveva appunto individuato – con scelta condivisibile – nella percentuale (pari a ben il 70%) del credito che sarebbe spettato al sindaco per la consulenza svolta dallo studio in favore della società ingiunta.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha ravvisato l’incompatibilità del sindaco, respingendo il suo motivo di ricorso, ma cassando con rinvio alla Corte d’appello che aveva erroneamente dichiarato inammissibile l’intervento volontario dello studio di cui il sindaco faceva parte, quando in realtà non sussiste alcuna nostra del nostro ordinamento che limiti il suddetto intervento, poiché il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è un normale processo ordinario, con applicazione di tutte le norme che lo regolano, ivi compreso l’art. 105 c.p.c.

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