Il caso Champanillo – Protezione delle dop ad ampio raggio: l’inclusione dei servizi connessi
di Alberto Iadanza, AvvocatoFrancesco Pastena, Avvocato Scarica in PDFIn data 9 settembre 2021 la Corte di Giustizia UE ha deciso sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte Provinciale di Barcellona) sull’interpretazione dell’art. 103, paragrafo 2, lettera b)[1] del regolamento n. 1308/2013.
La domanda trae origine dalla controversia insorta tra il Comitè Interprofessionnel du Vin de Champagne (CIVC) e una società spagnola che utilizzava il nome “Champanillo” in una catena di locali dediti alla somministrazione di cibo e bevande. Come immaginabile la questione poneva problemi in relazione al nome dei locali, ritenuto evocativo del noto prodotto Champagne.
È quindi intervenuto il CIVC[2] che tra le altre ha come finalità la gestione degli interessi comuni dei produttori del vino Champagne attraverso diverse azioni tra le quali, per quanto qui di interesse, la protezione della denominazione “Champagne” ovunque nel mondo.
Sulla base di tale legittimazione il CIVC ricorreva allo Juzgado mercantil de Barcelona (Tribunale di commercio di Barcellona) affinché intimasse la cessazione dell’uso (inclusi i social network) del segno Champanillo, il ritiro dal mercato e da Internet di ogni insegna e documento pubblicitario o commerciale sui quali fosse raffigurato detto segno, nonché la soppressione del nome di dominio “champanillo.es”. Si costituiva dunque in giudizio la società spagnola che si opponeva alle doglianze del Comitato affermando che il segno Champanillo veniva utilizzato come nome commerciale di locali adibiti a ristorazione (tapas bar), senza alcun rischio di provocare confusione nel consumatore e senza alcuna volontà di sfruttare la rinomanza di tale denominazione.
Il Giudice di prime cure respingeva tutte le doglianze del CIVC, rinviando in particolar modo al precedente espresso dal Tribunal Supremo iberico con la sentenza Champin del 2016, nella quale la Corte spagnola era stata chiamata a giudicare se l’uso del termine Champin per commercializzare una bevanda gassata senza alcool a base di frutta violasse la DOP Champagne. Nella sentenza considerata dirimente per lo Juzgado Mercantil, il Tribunal Supremo affermava che “il prodotto a cui si applica il segno Champín ed i suoi destinatari differiscono così tanto dai prodotti coperti dalla denominazione Champagne, che la somiglianza fonetica dei segni non provoca l’evocazione”[3].
Risultato soccombente, il CIVC impugnava la sentenza di primo grado avanti all’Audiencia provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona). La Corte, rilevando che l’art. 103, paragrafo 2, lettera b) del Reg. 1308/2013 tutela le DOP contro “qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili”, sospendeva il giudizio e rimetteva alla Corte di Giustizia UE quattro questioni pregiudiziali.
Tra queste, la questione, qui di interesse, si poneva il seguente problema: “se la portata della protezione di una denominazione di origine consente di tutelarla non solo rispetto a prodotti simili, ma anche nei confronti di servizi che potrebbero essere connessi alla distribuzione diretta o indiretta di tali prodotti”.
La Corte di Giustizia, accogliendo le conclusioni dall’Avvocato Generale G. Pitruzzella[4] e quindi le ragioni del CIVC ha quindi enunciato il seguente importante principio di diritto:
“L’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che protegge le denominazioni di origine protetta (DOP) da condotte relative sia ai prodotti che ai servizi”.
Dal principio espresso emerge dunque che la tutela delle DOP non debba limitarsi unicamente ai prodotti che ne sfruttano la notorietà, dovendo altresì intendersi come operante anche in favore dei servizi connessi alla distribuzione del prodotto tutelato come, nel caso di specie, quelli relativi alla somministrazione di cibi e bevande all’interno di una catena di “tapas bar”.
Nonostante i possibili risvolti pratici dell’interpretazione estensiva della norma in commento, a ben vedere quanto statuito dalla Corte risulta perfettamente coerente con quanto riportato nel considerando 97[5] del medesimo regolamento, il quale auspica che vi sia una tutela ad ampio raggio per le denominazioni di origine e per le indicazioni geografiche registrate.
L’affermazione di tale principio potrebbe, a ben vedere, dispiegare effetti anche con riferimento alla tutela penale, ovviamente nazionale, chiamando in causa l’applicazione dell’art. 517 quater c.p. titolato “Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari”.
Il reato sopra citato è stato infatti pensato dal Legislatore a presidio e tutela di tutti i consumatori e punisce chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari, e/o chi introduce nello stato, detiene o pone in vendita i medesimi prodotti con le indicazioni e le denominazioni contraffatte. In diverse sentenze[6] la Cassazione afferma che l’art. 517 quater c.p. attua una tutela orientata anche alla tutela degli interessi economici dei produttori e non si fonda solo sull’idoneità della condotta ingannevole verso il singolo consumatore. La ratio è quella di difendere l’utilizzo delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche. Assume quindi centralità la tutela verso condotte che manifestino un’attitudine ingannatoria circa l’origine dei prodotti.
In tale prospettiva, il principio sopra espresso dalla Corte di Giustizia UE, potrebbe aprire nuovi spazi applicativi e di tutela anticipata anche usando, seppur quale extrema ratio, lo strumento messo a disposizione dal codice penale.
Sarà quindi opportuno nel proseguo valutare con attenzione l’uso che le corti nazionali faranno della pronuncia sopra citata.
[1] “2. Le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette e i vini che usano tali denominazioni protette in conformità con il relativo disciplinare sono protette contro:[#]
b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili…;”.
[2] La Comité Interprofessionnel du vin de Champagne (CIVC) è un’organizzazione creata dal legislatore francese che raggruppa gli attori della produzione e del commercio dello Champagne – coltivatori, cooperative e commercianti – sotto la direzione del governo. Ulteriori informazioni sul CIVC si possono reperire sul sito https://www.champagne.fr/it/comite-champagne/chi/il-comite-champagne.
[3] Traduzione del testo originale “el producto al cual se aplica el signo Champín y sus destinatarios difiere tanto respecto de los productos amparados por la denominación Champagne, que la semejanza fonética de los signos no provoca la evocación”.
[4] Il quale afferma al punto 33 che “l’interpretazione letterale dell’art. 103 paragrafo 2, lettera b), del Regolamento n. 1308/2013 milita dunque nel senso di una protezione delle DOP contro le pratiche che rientrano nel suo ambito di applicazione anche laddove tali pratiche riguardino servizi”.
[5] “Le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche registrate dovrebbero essere protette dagli usi che sfruttano la notorietà dei prodotti conformi. Per incoraggiare la concorrenza leale e non trarre in errore i consumatori, la protezione dovrebbe essere estesa anche ai prodotti e ai servizi non disciplinati dal presente regolamento, inclusi quelli non compresi nell’allegato I dei trattati”.
[6] Ex multis Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 49889 del 10 dicembre 2019 “Il delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, di cui all’art. 517-quater cod. pen., è configurabile non solo nel caso di falsificazione del marchio IGP/DOP, ma anche quando non sia rispettato il relativo disciplinare di produzione con riferimento alle materie prime utilizzate, al luogo di produzione, al metodo di ottenimento e alle principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche e organolettiche del prodotto. “
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