Casa coniugale in comproprietà con soggetti terzi e diritto di abitazione del coniuge superstite ex art. 540, 2° comma, cod. civ.
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. 2, sentenza n. 15000 del 28 maggio 2021
SUCCESSIONI – Morte di uno dei coniugi – Diritto di abitazione della casa del de cuius – Comunione con la prima moglie – Comproprietà con soggetti terzi – diritto di abitazione ed uso ex art. 540 c.c. – sussistenza – esclusione – diritto a conseguire la valorizzazione monetaria – sussistenza – esclusione
*A norma dell’art. 540 c.c., il presupposto perché sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del “de cuius” o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo.
L’impossibilità di configurare quel diritto di abitazione e d’uso in favore del coniuge superstite implica conseguentemente l’impossibilità di conseguire la richiesta valorizzazione monetaria.
* Massima non ufficiale
Disposizioni applicate
Articoli 540, 2° comma, cod. civ
[1] Veniva a mancare Tizio, senza lasciare disposizioni testamentarie.
La moglie (Tizia) e i figli di primo letto (Caio e Sempronio) del de cuius, convenivano in giudizio la moglie di seconde nozze, Caia, domandando la divisione dei beni immobili ereditari; in particolare, dell’abitazione occupata da Caia, nei cui confronti chiedevano, altresì, condanna al pagamento di indennità per occupazione. Tizia, inoltre, domandava la restituzione di mobili e gioielli contenuti nella già casa coniugale.
Costituitasi in giudizio, Caia aderiva alla domanda di divisione chiedendo in via riconvenzionale il riconoscimento del proprio diritto di abitazione sul suddetto appartamento e, in via subordinata, la dilazione della divisione della medesima unità immobiliare ai sensi dell’art. 1111 c.c..
Il giudice di primo grado, con sentenza non definitiva, dichiarava aperta la successione ed individuava i beni costituenti l’asse ereditario, rigettando la domanda di restituzione di Tizia e le domande riconvenzionali formulate da Caia.
Successivamente, provvedeva alla divisione.
Avverso la succitata sentenza, le parti del giudizio di primo grado proponevano appello, Caia in via principale e gli attori del giudizio di primo grado in via incidentale.
La Corte d’Appello adita rigettava l’appello principale e dichiarava inammissibile – in quanto tardivo- quello incidentale.
In relazione al punto di interesse nell’odierna sede, la sentenza di secondo grado escludeva l’acquisto, da parte di Caia, del diritto di abitazione ed uso degli arredi della casa coniugale già di comproprietà del defunto e di terzi (nella concreta fattispecie la moglie di primo letto).
Veniva presentato ricorso in Cassazione, la cui Sezione Sesta disponeva con ordinanza la rimessione alla pubblica udienza, rilevando la necessaria risoluzione “di un contrasto di giurisprudenza (interno alla Sezione) inerente la possibilità o meno dell’acquisizione del diritto di abitazione in favore del coniuge di defunto in caso di comproprietà con terzi dell’immobile adibito ad abitazione familiare“.
[2] Nel proprio ricorso, Caia lamentava, innanzitutto, una errata lettura di quanto richiesto con l’appello ovvero non il mancato riconoscimento del diritto di uso, “bensì la (sua) mancata valorizzazione (in) controvalore pecuniario“.
A giudizio degli Ermellini tale censura era infondata, non sussistendo alcuna “possibilità di autonoma “valorizzazione pecuniaria” se NON (n.d.r.: la sentenza non riporta la negazione “non”, ma si tratta di evidente refuso) viene riconosciuto (come in ipotesi) il diritto all’abitazione ed uso, che della invocata valorizzazione è elemento prodromico necessario”.
La Suprema Corte, sul punto, condivide il principio posto alla base della sentenza di secondo grado, e già espresso da Cass. Civ. n. 6691 del 23 maggio 2000: “a norma dell’art. 540 c.c., il presupposto perchè sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del de cuius o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo“.[1]
[3] Trattandosi di decisione assunta a seguito di rimessione alla pubblica udienza in ragione di un contrasto esistente in giurisprudenza, il giudice di legittimità prende posizione su tale contrasto, richiamando le posizioni espresse nella sentenza della Sezione 2 n. 2474 del 10 marzo 1987, laddove si affermava che “la titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall’art. 540 c.c., capov., al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare (…) ha necessario riferimento al diritto dominicale spettante sull’abitazione al de cuius. Pertanto, nel caso in cui la residenza familiare del de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, con la conseguenza che ove per l’indivisibilità dell’immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell’immobile spettante e l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario di quel diritto senza che – non ricorrendo l’ipotesi di legato di prestazione obbligatoria – possa verificarsi l’effetto estintivo per impossibilità della prestazione, previsto dall’art. 673 c.c., comma 2”. In base a tale ricostruzione, pertanto, dovrebbe riconoscersi il diritto di abitazione qualora fosse possibile il frazionamento di una porzione materiale dell’immobile (corrispondente alla quota di comproprietà del defunto) da attribuire al coniuge superstite, dovendosi altrimenti procedere alla liquidazione dell’equivalente valore in denaro.
Nella sentenza epigrafata, tale orientamento non viene considerato condivisibile, ritenendosi di dover, invece, aderire alle posizioni espresse nella decisione n. 6691 del 23/05/2000, sopra richiamate e rfierite come indirizzo giurisprudenziale più recente e dominante.
Tuttavia, preme evidenziare come esista un’ulteriore e più recente decisione che – sebbene venga richiamata anche nelle motivazioni del giudizio in esame al fine di precisare che dalla lettura di tale sentenza “non appaiono emergere (…) elementi ostativi all’adesione, nella concreta fattispecie al dictum di cui a Cass. n. 6691/2000” – pare esprimersi nel senso divisato nella pronuncia del 1987.[2]
Non ritenuto decisivo (né pertinente) anche tale precedente, gli ermellini ribadiscono che “L’impossibilità di configurare, nella fattispecie quel diritto di abitazione e d’uso in favore del coniuge superstite, implica conseguentemente l’impossibilità di conseguire (come ipotizzato sotto altro profilo di censura del motivo in esame) la richiesta valorizzazione monetaria”;
[4] La sentenza epigrafata è l’occasione per un sintetico excursus tra i diversi orientamenti rinvenibili in dottrina e giurisprudenza con riferimento alla possibilità (o meno) di riconoscere il diritto di abitazione a favore del coniuge superstite per il caso di immobile in comproprietà con altro soggetto.
Nel caso de qua, la posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità aderisce ai concetti già espressi anche da parte della dottrina e da alcune corti di merito. [3]
Si è, altresì, dato conto delle differenti conclusioni raggiunte dalla Cassazione nelle pronunce del 1987 e 2014, che, pur negando il sorgere in ogni caso dei diritti in oggetto, ammettono un diritto del coniuge superstite ad ottenerne l’equivalente in denaro (ovviamente, calcolato in proporzione alla quota di comproprietà spettante al de cuius).
Occorre ora riportare di una terza corrente di pensiero, la quale ritiene che i diritti in esame debbano essere riconosciuti al coniuge superstite anche in caso di comproprietà con soggetti terzi rilevando in maniera decisiva la sola circostanza che l’immobile sia, in concreto, adibito a residenza della famiglia. Secondo i sostenitori di tale teoria, ragionando diversamente si consentirebbe al coniuge di eludere il diritto riservato ex art. 540 c.c. all’altro coniuge semplicemente alienando anche una piccola porzione del bene-casa coniugale. [4]
[1] Si veda, altresì, in senso conforme: Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 8171 del 22 luglio 1991: “i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la arredano, previsti in favore del coniuge superstite, presuppongono per la loro concreta realizzazione l’appartenenza della casa e del relativo arredamento al “de cuius” o in comunione a costui e all’altro coniuge, non potendo estendersi a carico di quote di soggetti estranei all’eredità nel caso di comunione degli stessi beni tra il coniuge defunto e tali altri soggetti”
[2] Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 14594 del 30/07/2004: “il principio della conversione del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite nel suo equivalente monetario nell’ipotesi in cui la residenza familiare del “de cuius” sia ubicata in un immobile in comproprietà, – e, per la l’indivisibilità dell’immobile, non possa attuarsi il materiale distacco della porzione spettante al coniuge qualora l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente – è applicabile anche all’ipotesi (quale quella di specie) in cui, a seguito della vendita all’incanto dell’immobile ritenuto indivisibile, si verrebbe inevitabilmente a creare la convergenza sullo stesso bene del diritto di proprietà acquisito dal terzo aggiudicatario e del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite (risultando concretamente impossibile la separazione della porzione dell’immobile spettante a quest’ultimo).“
Non ritenuto decisivo tale precedente, gli ermellini ribadiscono che “opinandosi diversamente sarebbe palese la creazione (non prevista) di uno statuto speciale del diritto di proprietà dell’ex coniuge non previsto da alcuna disposizione di legge, né configurabile in assenza di apposita previsione normativa. L’impossibilità di configurare, nella fattispecie quel diritto di abitazione e d’uso in favore del coniuge superstite, implica conseguentemente l’impossibilità di conseguire (come ipotizzato sotto altro profilo di censura del motivo in esame) la richiesta valorizzazione monetaria
[3] Escludono il sorgere dei diritti di abitazione ed uso ex art. 540, 2° comma, cod. civ., in dottrina: FERRI, Dei Legittimari, Artt. 536-564 in Commentario al Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, 1981, pagg. 58 ss.. In giurisprudenza, oltre alle sentenze citate: Trib. Roma, 26/03/2003, Trib. Nocera Inferiore 4/10/2000.
[4] MENGONI, Successioni per causa di morte – Parte speciale – Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale a cura di Cicu e Messineo, 2000, pag. 177; PALAZZO, Le successioni, 2000, pag. 469.