14 Marzo 2023

Caparra confirmatoria e clausola penale: gemelli diversi

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II., 29 novembre 2022, n. 35068 – Pres. Di Virgilio – Rel. Trapuzzano

Parole chiave: Contratto preliminare – Clausola penale e caparra confirmatoria – Coesistenza – Ammissibilità – Dazione differita della somma pattuita a titolo di caparra – Ammissibilità – Produzione degli effetti ex art. 1385 c.c. – Posticipazione al momento della dazione

[1] Massima: “In tema di contratto preliminare, la clausola penale e la caparra confirmatoria rivelano il comune intento di indurre l’obbligato all’adempimento e, pertanto, ambedue possono coesistere nell’ambito dello stesso contratto, pur differendo quanto ad ambito di applicazione, giacché la caparra confirmatoria trova applicazione quando, per effetto del recesso, il contratto non possa essere più adempiuto, mentre la clausola penale è applicabile quando colui che non è inadempiente preferisca domandare l’esecuzione del contratto o la risoluzione dello stesso. La funzione di anticipazione della prestazione dovuta e di rafforzamento del vincolo obbligatorio propria della caparra confirmatoria – che si perfeziona con la consegna che una parte fa all’altra di una somma di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d’inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto principale cui la caparra è collegata – ben può essere assolta anche da una dazione differita, così posticipandosi la consegna a un momento successivo alla conclusione del contratto principale, a condizione che il momento di tale consegna sia anteriore al termine di scadenza delle obbligazioni con esso pattuite e con la conseguenza che, nelle more della consegna, non si producono gli effetti che l’art. 1385, comma 2, c.c. ricollega alla consegna, in conformità alla natura reale del patto rafforzativo del vincolo”.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1351, 1382, 1385

CASO

A seguito della conclusione di un contratto preliminare di compravendita in virtù del quale il promissario acquirente era tenuto a versare, entro una data prestabilita, una somma a titolo di caparra confirmatoria e acconto prezzo, il promittente alienante, stante l’inadempimento di tale obbligo, proponeva ricorso monitorio al fine di ottenere il pagamento della somma dovuta.

Il promissario acquirente interponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo così emesso, sostenendo che, in virtù di quanto previsto dal preliminare, quest’ultimo si era risolto in conseguenza del mancato versamento della caparra, sicché non poteva esserne preteso il pagamento.

Il Tribunale di Lecce respingeva l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo, ma la sentenza di prime cure veniva riformata dalla Corte d’appello di Lecce, secondo cui la mancata dazione della somma pattuita a titolo di caparra precludeva la possibilità di esercitare il recesso e di avvalersi delle facoltà previste dall’art. 1385, comma 2, c.c.

Il promittente venditore impugnava la pronuncia con ricorso per cassazione, sostenendo che, a differenza di quanto avevano ritenuto i giudici di secondo grado, l’azione promossa non era volta a fare valere il diritto di recesso conseguente all’inadempimento del promissario acquirente e le facoltà a esso connesse, ma a ottenere l’esecuzione dell’obbligo – previsto dal contratto preliminare – di pagamento della somma pattuita a titolo di caparra, a fronte della scadenza del termine all’uopo previsto.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che, in caso di conclusione di un contratto preliminare, può essere prevista tanto la dazione di una caparra confirmatoria (anche con versamento non immediato, ma differito, purché prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, onde non frustare la funzione rafforzativa del vincolo obbligatorio assegnata alla caparra dall’art. 1385 c.c.), quanto l’inserimento di una clausola penale (con lo scopo di predeterminare il danno risarcibile quando la parte non inadempiente agisca per ottenere l’esecuzione o la risoluzione del contratto) e che, nel caso di specie, il promittente alienante, con il ricorso per ingiunzione di pagamento, non aveva manifestato la volontà di recedere dal contratto preliminare, ma aveva inteso ottenere, in via coattiva, l’esecuzione dell’ivi stabilito obbligo di versamento della caparra confirmatoria da parte del promissario acquirente.

QUESTIONI

[1] Con l’ordinanza che si annota, i giudici di legittimità hanno esaminato, da un lato, i rapporti tra clausola penale e caparra confirmatoria e, dall’altro lato, alcuni aspetti peculiari della disciplina caratterizzante quest’ultimo istituto.

Dal primo punto di vista, è stato affermato che è consentito prevedere congiuntamente, nello stesso contratto, il versamento di una somma a titolo di caparra confirmatoria e una clausola penale.

Quando ciò accada, i due istituti mantengono comunque funzioni diverse: la caparra confirmatoria, infatti, oltre a integrare un’anticipata parziale esecuzione della prestazione convenuta, ha lo scopo di predeterminare il risarcimento del danno in caso di mancato adempimento, legittimando la parte non inadempiente a recedere (ovvero a provocare la risoluzione ex lege, in via stragiudiziale, del vincolo negoziale, avvalendosi del potere all’uopo conferitole) e a trattenere quanto versatole a titolo di caparra, ovvero a pretendere il pagamento del doppio di quanto dalla stessa versato al medesimo titolo (secondo quanto stabilito, rispettivamente, dai commi 2 e 3 dell’art. 1385 c.c.); anche la clausola penale, in verità, assolve alla funzione di individuare in anticipo e in via convenzionale l’entità del risarcimento del danno a beneficio di chi risulterà averne diritto, ma, a differenza della caparra confirmatoria, destinata a trovare applicazione nel caso in cui il contratto non debba più essere adempiuto per effetto dell’avvenuto esercizio del diritto di recesso, opera quando il contraente non inadempiente, anziché esercitare il recesso, ha preferito domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto.

Da ciò si è tratta la conseguenza per cui la domanda di risoluzione originariamente proposta non può essere convertita in domanda di recesso (per riattivare surrettiziamente il meccanismo legale di cui all’art. 1385 c.c.) e, specularmente, che è inammissibile la domanda di risoluzione giudiziale introdotta dopo essersi avvalsi della tutela speciale accordata dall’art. 1385, comma 2, c.c., anche perché, una volta esercitata la facoltà di recesso ivi contemplata, il contratto si è definitivamente sciolto, sicché non può provocarsene la risoluzione.

D’altro canto, i due istituti si differenziano anche perché, una volta scelto il rimedio previsto dall’art. 1385, comma 2, c.c., non è possibile agire per ottenere il risarcimento dell’eventuale maggiore danno (il principio è stato affermato da Cass. civ., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553 e recentemente ribadito, tra le altre, da Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2021, n. 28298), com’è invece consentito dall’art. 1382 c.c. (beninteso, quando le parti lo abbiano espressamente previsto): in questo senso, chi aspira a ottenere l’integrale risarcimento del danno, vale a dire in misura superiore rispetto alla somma corrispondente alla caparra versata, perché reputata insufficiente, dovrà esperire un’azione costitutiva di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c. e provare il pregiudizio subito secondo le regole ordinarie, indipendentemente dalla precedente liquidazione operata in via convenzionale e stragiudiziale.

Inoltre, mentre quando l’importo pattuito a titolo di penale risulti manifestamente sproporzionato ed eccessivo, al giudice, in virtù di quanto stabilito dall’art. 1384 c.c., è consentito – anche d’ufficio, a prescindere dalla domanda di parte – ridurlo, un simile potere non compete con riferimento alla caparra confirmatoria.

Dal secondo punto di vista, la Corte di cassazione ha osservato che la funzione di anticipazione della prestazione dovuta e di rafforzamento del vincolo obbligatorio che caratterizza la caparra confirmatoria – che configura un patto avente natura reale, che si perfeziona con la consegna della somma di denaro o della quantità di cose fungibili stabilita dalle parti – può essere assolta anche quando la dazione non sia contestuale alla conclusione del contratto principale cui la caparra accede, ma successiva, a condizione che il momento di tale consegna sia comunque anteriore a quello di scadenza dell’obbligazione il cui adempimento la caparra confirmatoria mira a salvaguardare (nel caso del contratto preliminare, la stipulazione del contratto definitivo).

Infatti, nell’ambito della loro autonomia negoziale, alle parti non può precludersi di differire – in tutto o in parte – la dazione della caparra confirmatoria, fermo restando che, prima di tale momento, non si producono gli effetti che l’art. 1385, comma 2, c.c. ricollega alla consegna, in conformità alla natura reale del patto rafforzativo del vincolo contrattuale.

Pertanto, se è vero che l’ipotesi ordinaria prevista dalla norma è quella della dazione immediata della caparra al destinatario al momento della conclusione del contratto, nulla esclude che, onde consentire il migliore regolamento degli interessi voluto dalle parti, la traditio venga convenzionalmente effettuata con modalità e in momenti diversi, purché compatibili con il conseguimento degli scopi previsti dall’art. 1385 c.c.: pertanto, essa può essere concretamente effettuata anche con dazioni ripartite o differite, oppure avvenire a mani di un terzo, mandatario di entrambe le parti, con incarico di procedere all’attribuzione all’avente diritto previo accertamento del verificarsi di determinate condizioni, senza che ciò influisca sulla natura giuridica e sull’efficacia della caparra.

Un tanto, secondo quanto precisato dai giudici di legittimità, trova giustificazione nel fatto che le funzioni di anticipazione della prestazione dovuta e di rafforzamento del vincolo obbligatorio, sebbene accomunate nel medesimo istituto, sono e restano distinte, sicché la seconda – che si realizza, in caso d’inadempimento, in base alla regola dettata dall’art. 1385, comma 2, c.c. – non viene meno una volta che la somma dovuta sia stata concretamente messa a disposizione del destinatario da parte del soggetto tenuto alla prestazione, uscendo dal suo patrimonio, per il solo fatto che la prima non si realizzi contestualmente, quando, come nella fattispecie oggetto dell’ordinanza che si annota, la materiale immissione nella disponibilità della somma stessa da parte del destinatario sia pattiziamente e legittimamente differita a un momento successivo alla conclusione del contratto cui la pattuizione accede.

Peraltro, in presenza di un contratto preliminare con effetti (parzialmente) anticipati, con previsione dell’obbligo di corrispondere una parte del prezzo – da valere anche come caparra confirmatoria – a una certa data successiva e antecedente a quella fissata per la stipula del contratto definitivo, è ben possibile che il contraente non inadempiente agisca in giudizio per pretendere il pagamento di tale importo, anche se, in quel momento, il definitivo non possa ancora essere concluso (non essendo scaduto il relativo termine): in questo caso, infatti, la parte tenuta al versamento deve effettuarlo tempestivamente, sicché, qualora non vi provveda, è da considerarsi inadempiente, legittimando l’altra parte ad avvalersi dei rimedi attribuitigli dall’ordinamento.

In altre parole, può configurarsi inadempimento coercibile del preliminare non solo rispetto all’obbligazione (principale) di conclusione del contratto definitivo, ma anche rispetto a quelle (eventuali) accessorie, ovvero interlocutorie, che trovano anch’esse la propria fonte immediatamente nel preliminare e che sono dirette, in tutto o in parte, ad anticipare gli effetti del contratto definitivo.

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