9 Luglio 2024

Cancellazione della società dal registro delle imprese in corso di causa: non costituisce rinuncia tacita al diritto litigioso

di Francesca Scanavino, Avvocato e Assistente didattico presso l’Università degli Studi di Bologna Scarica in PDF

Cassazione civile, Sezione I, Ordinanza n. 16607 del 14 giugno 2024.

Parole chiave: cancellazione volontaria dal registro delle imprese – rinuncia in corso di causa – cessazione della materia del contendere – remissione del credito – volontà remissoria –

Massima: “La mera cancellazione di una società dal registro delle imprese non può, di per sé sola, per la sua evidente equivocità, reputarsi sufficiente a dedurne la remissione del credito fatto valere in giudizio, la quale deve essere, invece, allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione dichiarazione ad uno specifico creditore. Ne consegue che, in difetto di altri indici univoci sulla volontà remissoria, può ragionevolmente ritenersi che sia avvenuta, per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese, un trasferimento dei diritti di quest’ultima ai soci”.

CASO

La pronuncia in esame affronta il tema della valenza/effetti della cancellazione di una società dal Registro delle Imprese in corso di causa.

Segnatamente, il liquidatore della società “Alfa Snc” aveva proceduto alla cancellazione volontaria dal registro delle imprese della società stessa, prima che un credito vantato in giudizio avverso la banca “Zeta” fosse accertato.

In ragione dell’anzidetta cancellazione, la Corte d’Appello di Bari aveva accolto l’impugnazione della banca “Zeta” contro la sentenza del Tribunale di Trani, sez. distaccata di Andria (che aveva condannato quest’ultima al pagamento in favore di Alfa della somma di Euro 74.092,05) ritenendo che l’intervenuta cancellazione della società Alfa Snc, prima che il credito vantato in giudizio fosse accertato – e senza che il credito sub judice fosse incluso nel bilancio finale di liquidazione – costituisse espressione della volontà di rinuncia tacita al diritto litigioso.

Pertanto, ad avviso del giudice d’appello, la rinuncia in corso di causa alla pretesa creditoria aveva comportato la cessazione della materia del contendere, essendosi verificato un fatto sopravvenuto che aveva eliminato ogni contrasto tra le parti.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ex socio della società estinta e, come tale, successore della medesima, sostenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente ritenuto che la cancellazione della società dal registro delle imprese denotasse la volontà della stessa di rinunciare al credito azionato nei confronti della banca.

La Corte di Cassazione ha affermato di non condividere l’impostazione giuridica promossa dal giudice di secondo grado, secondo cui la cancellazione dal registro delle Imprese costituirebbe una presunzione di rinuncia della società rispetto al credito vantato nei confronti della banca, con conseguente intrasmissibilità del medesimo ai soci.

E invero, la Suprema Corte, con sentenza n. 9464/2020, proprio in un’analoga fattispecie in cui era stata proposta una domanda di ripetizione di indebito bancario, aveva enunciato il principio secondo cui l’estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare.

La predetta pronuncia aveva osservato che tali requisiti devono essere riscontrati nel comportamento della società nel momento in cui essa si cancella dal registro delle imprese, e ciò al fine di individuarvi anche la rinuncia in ordine ai diritti di credito ancora non esatti o non liquidati, con la conseguenza che, ove difettino indici univoci sulla volontà remissoria, deve essere esclusa la volontà di remissione del debito.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza con rinvio, ribadendo il principio secondo cui la mera cancellazione di una società dal registro delle imprese non può, di per sé sola, per la sua evidente equivocità, reputarsi sufficiente a dedurne la remissione del credito fatto valere in giudizio, la quale deve essere, invece, allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione dichiarazione ad uno specifico creditore.

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