21 Dicembre 2021

Caducazione del titolo esecutivo, condanna alle spese nel giudizio di opposizione all’esecuzione e responsabilità aggravata per esecuzione forzata ingiusta: intervengono le Sezioni Unite

di Paolo Cagliari, Avvocato

Cass. civ., sez. un., 21 settembre 2021, n. 25478 – Pres. Spirito – Rel. Cirillo

Esecuzione forzata – Titolo esecutivo provvisoriamente esecutivo – Caducazione – Giudizio di opposizione all’esecuzione – Cessazione della materia del contendere – Declaratoria – Regolazione delle spese di lite – Criterio della soccombenza virtuale

[1] In caso di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un titolo giudiziale non definitivo, la sopravvenuta caducazione del titolo per effetto di una pronuncia del giudice della cognizione (nella specie: ordinanza di convalida di sfratto successivamente annullata in grado di appello) determina che il giudizio di opposizione all’esecuzione si debba concludere non con l’accoglimento dell’opposizione, bensì con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, per cui il giudice di tale opposizione è tenuto a regolare le spese seguendo il criterio della soccombenza virtuale, da valutare in relazione ai soli motivi originari di opposizione.

Esecuzione forzata – Titolo esecutivo provvisoriamente esecutivo – Caducazione – Domanda di condanna per responsabilità aggravata – Giudice competente

[2] L’istanza con la quale si chiede il risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 96, comma 2, c.p.c., per avere intrapreso o compiuto l’esecuzione forzata senza la normale prudenza, in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo successivamente caducato, deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio in cui si è formato o deve divenire definitivo il titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente e non vi siano preclusioni di natura processuale. Ricorrendo, invece, quest’ultima ipotesi, la domanda andrà posta al giudice dell’opposizione all’esecuzione e solamente quando sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione della domanda anche in sede di opposizione all’esecuzione, potrà esserne consentita la proposizione in un giudizio autonomo.

CASO

Dopo avere ottenuto la convalida dello sfratto intimato, i proprietari di un immobile avviavano l’azione esecutiva per il rilascio nei confronti del conduttore.

Quest’ultimo, nel frattempo, aveva proposto distinte opposizioni avverso il provvedimento di convalida e all’esecuzione, entrambe rigettate in primo grado.

Riformata, in secondo grado, la sentenza con cui era stata respinta l’opposizione avverso l’ordinanza di convalida di sfratto, il conduttore impugnava anche la pronuncia che aveva rigettato l’opposizione all’esecuzione, facendo valere il sopravvenuto venire meno del titolo esecutivo: la corte d’appello, tuttavia, non accoglieva il gravame (perché la sentenza che aveva caducato l’ordinanza di convalida non era ancora stata pronunciata allorché venne emessa quella che aveva deciso, rigettandola, l’opposizione all’esecuzione e che doveva, pertanto, reputarsi corretta) e non accordava la condanna al risarcimento dei danni chiesta dall’opponente ai sensi dell’art. 96 c.p.c.

Avverso tale sentenza veniva proposto ricorso per cassazione, assegnato alle Sezioni Unite per la particolare rilevanza delle questioni a esso sottese, riguardanti gli effetti della caducazione del titolo esecutivo nel corso del giudizio di opposizione all’esecuzione, ai fini della decisione e della liquidazione delle spese di lite, nonché l’individuazione del giudice competente a disporre la condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96, comma 2, c.p.c., in caso di esecuzione intrapresa sulla base di un titolo giudiziale provvisorio e successivamente venuto meno.

SOLUZIONE

[1] [2] La Corte di Cassazione, pur accogliendo il ricorso incidentale con il quale era stata dedotta la tardività dell’impugnazione da cui era scaturita la sentenza gravata e ritenendo, quindi, inammissibile il ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse, ha enunciato, per la particolare rilevanza delle questioni sottopostele, i principi di diritto riportati nelle massime.

QUESTIONI

[1] Sulla prima delle due questioni poste al vaglio delle Sezioni Unite, un orientamento sosteneva che la caducazione del titolo esecutivo occorsa durante la pendenza del giudizio di opposizione all’esecuzione fa venire meno l’interesse alla sua prosecuzione e deve condurre alla pronuncia della cessazione della materia del contendere, con regolazione delle spese di lite secondo il criterio della soccombenza virtuale; un diverso orientamento, invece, pur condividendo la necessità di emettere una pronuncia di cessazione della materia del contendere, vi reputava sottesa una sostanziale fondatezza dell’opposizione, con conseguente preclusione per il giudice di porre le spese di giudizio a carico della parte opponente.

Il contrasto, a ben vedere, non riguardava l’esito decisorio (che, per entrambi gli orientamenti, si identificava con una pronuncia di cessazione della materia del contendere), bensì la conseguente regolazione delle spese di lite.

Nel confermare la correttezza e la condivisibilità del principio in base al quale – in caso di sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo giudiziale posto a fondamento dell’esecuzione forzata a causa di un provvedimento pronunciato (nel medesimo grado o in sede di impugnazione) nell’ambito del giudizio di cognizione in cui si è formato – l’opposizione all’esecuzione non può essere accolta, ma dev’essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, le Sezioni Unite affermano che la regolazione delle spese di lite va effettuata secondo il criterio della soccombenza virtuale.

Il giudizio di opposizione all’esecuzione, infatti, è – al pari di ogni altro giudizio di cognizione – retto dal principio della domanda e si fonda sui motivi addotti dall’opponente; poiché la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo può essere dovuta a ragioni diverse da quelle sottese all’opposizione, quest’ultima non può considerarsi senz’altro fondata e, dunque, condurre alla condanna del creditore opposto alla rifusione delle spese di lite, in applicazione del principio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.

In altre parole, la caducazione del titolo esecutivo giudiziale rappresenta un evento che comporta necessariamente l’arresto dell’azione esecutiva, ma rispetto al quale i motivi dell’opposizione all’esecuzione possono coincidere o meno, sicché reputare quest’ultima fondata a prescindere, sia pure ai limitati fini della regolazione delle spese di lite, equivarrebbe ad accoglierla per motivi diversi da quelli proposti, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c.

Tale impostazione, che esclude l’automatismo che si verrebbe a instaurare nel caso in cui non si facesse applicazione del criterio della soccombenza virtuale, ha il pregio di scoraggiare opposizioni meramente strumentali, cioè proposte in reazione ad azioni esecutive avviate sulla base di un titolo giudiziale non definitivo al solo fine di lucrare le relative spese in caso di sua successiva caducazione, quand’anche i motivi addotti fossero completamente diversi e pretestuosi.

Inoltre, per le Sezioni Unite, la liquidazione delle spese del giudizio di opposizione all’esecuzione secondo il criterio della soccombenza virtuale è quella sostanzialmente più giusta, pur comportando un aggravio di attività a carico del giudice, giacché consente a quest’ultimo di scrutinare se e in quale misura l’opposizione sia fondata o meno, a prescindere dalla caducazione del titolo avvenuta in altra sede.

[2] Con riguardo, invece, alla questione relativa all’individuazione del giudice competente a decidere la domanda di risarcimento dei danni fondata sul difetto di normale prudenza in capo al creditore che abbia agito sulla base di un titolo provvisoriamente esecutivo e successivamente caducato, le Sezioni Unite hanno evidenziato che la fattispecie contemplata dal comma 2 dell’art. 96 c.p.c. integra una particolare forma di illecito extracontrattuale, per la cui ricorrenza è sufficiente la colpa lieve del creditore (intesa, secondo la dizione normativa, come assenza di normale prudenza).

Secondo una consolidata giurisprudenza, la domanda di condanna per responsabilità processuale aggravata dev’essere proposta al giudice della causa nel cui ambito si è manifestato il comportamento scorretto (vuoi perché nessuno meglio di lui è in grado di giudicarlo, vuoi per esigenze di concentrazione dell’attività processuale), fatta eccezione per i soli casi nei quali ciò non può avvenire per ragioni non imputabili alla parte interessata (quando, per esempio, il procedimento non pervenga alla fase conclusiva della decisione, o i danni si manifestino in uno stadio processuale in cui non sia più possibile farli valere tempestivamente innanzi al giudice che deve conoscere o ha conosciuto il merito della causa): in tali ipotesi, deve reputarsi consentito svolgere la domanda in un’altra sede, del tutto autonoma.

In questa cornice di riferimento, le Sezioni Unite hanno innanzitutto confermato la regola generale per cui della richiesta di condanna ai sensi dell’art. 96, comma 2, c.p.c. deve conoscere il giudice avanti al quale pende il giudizio di merito in cui si consuma l’illecito processuale, anche quando la domanda risarcitoria si fondi sulla successiva caducazione del titolo esecutivo giudiziale, onde evitare la situazione paradossale per cui il giudice dell’opposizione all’esecuzione, chiamato a esaminarne il fondamento ai fini del giudizio di soccombenza virtuale per la regolazione delle spese di lite, reputi infondata l’opposizione e, ciononostante, condanni il creditore alla responsabilità aggravata per l’esecuzione intrapresa.

Se, tuttavia, la domanda risarcitoria non è più proponibile davanti al giudice della cognizione (non per negligenza dell’interessato, ma per ragioni esogene), in questo caso – e solo in questo – essa andrà proposta, in via del tutto eccezionale, al giudice dell’opposizione all’esecuzione, che dovrà dare corso alla fase di merito del relativo giudizio, senza potere ricorrere al meccanismo di estinzione anticipata del processo delineato dall’art. 624, comma 3, c.p.c. (visto che la domanda risarcitoria è stata proposta dal debitore esecutato, il quale, dunque, non può dolersi del conseguente allungamento dei tempi processuali).

Nel contempo, le Sezioni Unite si premurano di chiarire, da un lato, che le due sedi processuali indicate non debbono considerarsi alternative, ma subordinate, potendo il debitore esecutato proporre la domanda risarcitoria al giudice dell’opposizione all’esecuzione solo se non sia più proponibile davanti a quello della cognizione; dall’altro lato, che il problema non si pone in caso di esecuzione forzata compiuta in base a un titolo esecutivo stragiudiziale, ipotesi nella quale ogni contestazione sul titolo potrà avere luogo solo in sede di opposizione all’esecuzione (che, di conseguenza, rappresenta pure quella in cui andrà introdotta la domanda di condanna ex art. 96, comma 2, c.p.c., non essendo consentito, anche in questo caso, proporla in via autonoma; così, di recente, Cass. civ., sez. VI, 2 luglio 2021, n. 18832).

Infine, solo qualora nessuna delle due soluzioni sopra indicate sia concretamente perseguibile, per questioni di fatto (perché, per esempio, il danno non si era ancora manifestato e non era ragionevolmente prevedibile, allorquando l’azione esecutiva è stata avviata) o di diritto (ossia in ragione di preclusioni di carattere processuale), il debitore, in via del tutto eccezionale e quale extrema ratio, potrà proporre la domanda risarcitoria in un giudizio autonomo (per alcune considerazioni al riguardo v. Tedoldi, Esecuzione forzata, Pisa, 2020, 20 ss.).

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