Brevi note sulla clausola floor inserita nei contratti di mutuo
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFLa clausola floor, talora apposta ai contratti di mutuo a tasso variabile, è un meccanismo di redditività minima scollegato dalla variabilità dell’interesse corrispettivo; configura un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono scendere, anche in presenza di una sensibile riduzione dei tassi di interesse di periodo.
Tale clausola ha una evidente funzione di salvaguardia della banca mutuante, in quanto garantisce all’istituto bancario interessi almeno pari al valore percentuale individuato dalla clausola stessa, anche laddove il tasso di interesse (variabile e di regola parametrato all’Euribor) fosse inferiore al valore del tasso assunto dalla clausola floor. In sostanza, il mutuatario non potrà mai beneficiare a pieno di un calo dei tassi d’interesse, poiché si impegna a pagare interessi almeno pari al limite fissato nella clausola floor.
Un potenziale contrappeso alla clausola floor è rappresentato dalla clausola cap. Questa pattuizione prevede un limite percentuale al di sopra del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono salire. La clausola cap garantisce, infatti, che gli interessi corrispettivi non superino il valore percentuale individuato dalla clausola stessa, anche laddove il parametro di calcolo degli interessi fosse maggiore del valore del tasso assunto dalla clausola cap.
In altri termini, tali clausole stabiliscono un limite massimo (clausola cap, a favore del cliente) e minimo (clausola floor, a favore della banca) al di sopra e al di sotto del quale i tassi di interesse del mutuo non possono salire o scendere.
Le clausole floor – che come detto impediscono che il mutuatario possa beneficiare di riduzioni dei tassi vantaggiose per il debitore ma non per l’istituto di credito – sono oggetto di contestazione da parte della clientela bancaria.
L’elaborazione giurisprudenziale e i responsi dell’ABF hanno sostanzialmente avvalorato la legittimità della clausola floor – se è rispettato, da parte della banca, il dovere di ’clare loqui’ –, escludendo al contempo che il “tasso pavimento” configuri una opzione, e quindi un derivato implicito, con applicazione della disciplina, in tema di obblighi contrattuali e informativi, prevista dal Testo unico della finanza, D.Lgs. n. 58/1998, c.d. TUF.
In dottrina (Gentili, Le clausole di determinazione del tasso tra tub e tuf: finanziarizzazione della trasparenza bancaria?, in Rivista di diritto bancario, 7/2018, in dirittobancario.it) è rilevato che « come è rimesso all’autonomia privata, attraverso la scelta dell’indicizzazione, aprire ad una disciplina dei contratti e degli interessi esposta a rovesciare la normalità del tasso positivo e della remunerazione del mutuante, così è rimesso all’autonomia privata limitare o correggere questi possibili effetti dell’indicizzazione, attraverso clausole apposite. È certamente legittimo il ricorso a clausole floor nei contratti di investimento e di finanziamento, ma con due limiti: uno certo, la trasparenza, l’altro possibile, l’equilibrio ».
Un obbligo di trasparenza, al riguardo, è raccomandato anche dalla Corte di Giustizia europea (Decisione del 9.7.2020, causa C‑452/18), secondo cui « al momento della conclusione di un contratto di mutuo ipotecario a tasso variabile, che prevede una clausola “di interesse minimo”, il consumatore deve essere posto in grado di comprendere le conseguenze economiche che derivano nei suoi confronti dal meccanismo indotto da tale clausola “di interesse minimo”, in particolare, grazie alla messa a disposizione di informazioni relative all’evoluzione, nel passato, dell’indice in base al quale viene calcolato il tasso di interesse ».
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