7 Settembre 2021

Il bonifico bancario effettuato per errore ad una società poi fallita non può essere oggetto di rivendicazione

di Andrea Cassini, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione Civile, Sez. I, Ordinanza n. 13511/2021 del 18/05/2021 (Ud. 10/10/2021), Pr. A. Scaldaferri – Rel. L. Caradonna.

Parole chiave: Fallimento – beni mobili – denaro – accredito su conto corrente – rivendicazione – restituzione – esclusione – amissione al passivo – chirografo – configurabilità.

Massima:In sede fallimentare le cose mobili fungibili, compreso il denaro, sono rivendicabili solo se sia intervenuto un fatto che abbia determinato la loro individuazione ed evitato la confusione con il patrimonio del fallito, essendo ammissibile, nel caso di avvenuta confusione, soltanto una domanda di insinuazione allo stato passivo per un credito pari al valore dei beni appresi al fallimento. (La S.C. ha espresso il principio in giudizio in cui il creditore affermava di avere effettuato un bonifico, in favore della società poi fallita, per mero errore)” (massima ufficiale).

Disposizioni applicate: Artt. 93 e 103 l. fall.; artt. 812 e 2033 c.c..

CASO

La società Alfa ha presentato opposizione allo stato passivo in ragione del rigetto da parte del Giudice delegato della domanda di restituzione della somma di USD 510.000,00 disposta con bonifico bancario, per mero errore, qualche giorno prima della sentenza dichiarativa di fallimento di Beta. Tuttavia, il Giudice ha accolto la domanda subordinata di ammissione al passivo in chirografo, ritenendo provato il carattere di indebito del pagamento, non riconoscendo, però, né la prededuzione, atteso che il bonifico era stato eseguito prima del fallimento, né il privilegio, per mancata allegazione.

Il Tribunale di Udine ha confermato lo stato passivo, respingendo così l’opposizione proposta da Alfa per un molteplice ordine di ragioni. In linea di principio si è affermato che la domanda di restituzione ex art. 103 l. fall. non può avere ad oggetto una mera somma di denaro, anche se disposta con bonifico con valuta estera, ad eccezione dei casi in cui vi sia un fatto distinto che ne consenta l’individuazione e ne impedisca la confusione con il patrimonio del fallito.

Non condividendo le ragioni del rigetto, Alfa ha presentato ricorso per cassazione, lamentando in primo luogo che il denaro non poteva essere della fallita perché la disposizione di pagamento era stata fatta per errore, di talché senza causa. Di poi, la ricorrente ha rilevato come nella fattispecie in esame non fosse configurabile la confusione del denaro con il patrimonio di Beta, stante la possibilità di individuare i riferimenti del bonifico e in considerazione del fatto che l’accredito era avvenuto in dollari americani e, quindi, non poteva confondersi con quanto presente sul conto corrente.

SOLUZIONE

Dopo un esame congiunto dei motivi, la Corte ha rigettato il ricorso di Alfa, confermando, in sostanza, i principi richiamati nel provvedimento del Tribunale di Udine e già espressi in altre precedenti pronunce della Cassazione. In particolare, per le fattispecie riguardanti le cose fungibili, in assenza di un titolo comprovante il trasferimento della proprietà, è ammessa l’azione di cui trattasi solo e soltanto quando vi sia un fatto idoneo a determinare l’individuazione dei beni rivendicabili e ad impedirne la confusione con il patrimonio del fallito.

QUESTIONI

La decisione sopra richiamata tratta alcuni aspetti rilevanti in merito all’azione di rivendicazione di cui all’art. 103 l. fall.. La pronuncia non fornisce però elementi positivi per comprendere in quali casi poter esperire la rivendica, ma, a contrario, elenca le circostanze di fatto che ne escludono l’esperibilità.

Preliminarmente, si deve ricordare che la giurisprudenza ritiene ammissibile tale azione con riferimento ai beni fungibili, e dunque anche al denaro, purché siano determinati nella loro “specifica e precisa individualità” e tenuti distinti dalle altre cose dello stesso genere. Tale principio vale non solo per le ipotesi di apposita previsione legislativa (come, ad esempio, l’art. 22 TUF, rubricato, per l’appunto, “separazione patrimoniale”), ma anche in relazione a casi “che abbiano origine e impronta di segno convenzionale”. Ciò che determina, dunque, il passaggio di proprietà a favore dell’accipiens è la conformazione concreta del titolo che ne disciplina la consegna e non la natura fungibile del bene.

Visti i presupposti in astratto, occorre allora verificare quali siano in concreto i fatti che ostacolano l’esperibilità dell’azione di rivendicazione di somme di denaro.

Nella fattispecie in esame, per la Corte, la circostanza che il bonifico sia stato disposto in valuta estera, e poi accreditato in euro, non ne impedisce la confusione con il patrimonio della società fallita, con l’evidenza che tale condizione non è idonea per l’accoglimento della richiesta di restituzione.

Allo stesso modo, è stata respinta la tesi secondo cui si sarebbe potuto individuare il pagamento tramite gli estremi del bonifico. Infatti, con l’accredito la somma è entrata nella disponibilità effettiva del correntista, risultando così avvenuta la traditio, che non deve essere necessariamente materiale.

Di poi, non è stata approvata neppure l’argomentazione per cui l’accreditamento sul conto corrente sia una mera operazione contabile e quindi invocabile per giustificare una domanda ex art. 103 l. fall., dal momento che l’acquisizione sul conto della società determina un vero e proprio trasferimento del possesso a favore del ricevente, con conseguente disponibilità di quanto accreditato già a partire dall’esecuzione del bonifico.

Ulteriore aspetto oggetto di trattazione concerne l’assenza di giustificazione ab origine del pagamento, che, secondo la ricorrente, dovrebbe comportare per il correntista solo la disponibilità materiale delle somme e non la titolarità giuridica, essendo tale ipotesi diversa rispetto a quella in cui la causa verrebbe meno in un momento successivo. Per la Corte siffatto ragionamento non merita di essere condiviso perché la nozione di difetto dell’obbligo concerne sia l’inesistenza originaria sia quella successiva. Sicché, si deve ritenere che il denaro fosse entrato nella titolarità giuridica della società poi fallita a far data dall’accredito.

In conclusione, in assenza di specifici fatti idonei a determinare l’individuazione della res intesa come denaro, si verifica la confusione della stessa con il patrimonio del fallito, con la conseguenza che per ottenerne la restituzione il creditore dovrà presentare domanda di ammissione al passivo secondo le regole concorsuali e non quella di rivendicazione ai sensi dell’art. 103 l. fall..

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