Azione di simulazione ai fini dell’opposizione a negozio di donazione. rilevabilità d’ufficio di diversa causa di invalidità
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. 2, sentenza n. 22457 del 9 settembre 2019
SUCCESSIONI “MORTIS CAUSA” – SUCCESSIONE NECESSARIA – REINTEGRAZIONE DELLA QUOTA DI RISERVA DEI LEGITTIMARI – AZIONE DI RIDUZIONE (LESIONE DELLA QUOTA DI RISERVA) – Compravendita dissimulante una donazione – Azione di simulazione finalizzata alla trascrizione dell’atto di opposizione ex art. 563, comma 4, c.c. – Rilevabilità d’ufficio di una diversa causa di nullità della donazione.
Il giudice innanzi al quale sia stata proposta un’azione di simulazione di una compravendita in quanto dissimulante una donazione, azione finalizzata alla successiva trascrizione dell’atto di opposizione, ai sensi dell’art. 563, comma 4, c.c., deve rilevare d’ufficio l’esistenza di una diversa causa di nullità della donazione e, ove sia già pendente il giudizio di appello e sia, perciò, ormai inammissibile un’espressa domanda di accertamento in tal senso della parte interessata, deve rigettare l’originaria pretesa, previo accertamento della nullità, nella motivazione, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione.
Disposizioni applicate
Cod. Civ.: artt. 1418, 1419, 1421, 769, 782, 553, 1414, 1415, 563, 4° comma
[1] Tizione e Caiona, con due atti rubricati quali vendite, stipulati nel mese di ottobre 2007 vendevano alla propria figlia e genero alcuni immobili, per un prezzo dichiarato di € 545.000,00.
Le altre due figlie dei disponenti, Tizia e Caia, convenivano in giudizio i genitori, nonché la sorella ed il cognato, rilevando che, in realtà, gli atti di vendita dissimulavano delle donazioni e portando a sostegno della loro posizione una serie di elementi indiziari quali, tra gli altri, il rapporto di parentela tra le parti contraenti, l’affermazione contenuta in contratto secondo cui il prezzo era stato integralmente pagato prima della stipula degli atti, l’incongruità del prezzo pattuito rispetto all’effettivo valore dei beni venduti.
Deducevano quindi di avere interesse a far accertare la natura simulata degli atti, al fine di potersi avvalere, essendo ancora in vita i pretesi donanti, del rimedio dell’opposizione alla donazione di cui all’art. 563 c.c., onde poter conservare, all’esito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, l’azione di restituzione nei confronti dei terzi acquirenti dei beni donati.
Il giudice di primo grado accoglieva la domanda, ritenendo che le vendite in realtà dissimulavano delle donazioni.
Veniva adita la Corte d’Appello la quale accoglieva il gravame, rigettando la domanda attorea. In particolare, il giudice di seconde cure osservava che la domanda proposta era da intendersi come volta all’accertamento della simulazione relativa oggettiva, ma che non poteva essere accolta in ragione della nullità per vizi di forma dell’atto dissimulato (le vendite, infatti, non erano state stipulate per atto pubblico con l’irrinunciabile presenza dei testimoni).
[2] Tizia e Caia proponevano, dunque, ricorso per Cassazione fondandolo su tre motivi, gli ultimi due dei quali meritano di essere esaminati nella presente sede.
Con il secondo motivo, le ricorrenti lamentavano la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1414 e ss. c.c. in tema di azione di simulazione relativa e di effetti del suo accertamento in relazione al negozio dissimulato” sostenendo che “una volta introdotta la domanda di simulazione relativa oggettiva, l’accertamento di una causa di nullità del negozio dissimulato deve condurre alla relativa declaratoria, ancorchè si riscontri che il contratto dissimulato sia privo dei requisiti di forma ovvero di sostanza. Ne deriva che a fronte della deduzione di nullità del negozio dissimulato di cui all’atto di appello, la Corte distrettuale avrebbe dovuto dichiarare il gravame inammissibile per difetto di interesse, ovvero avrebbe dovuto indurre la Corte a “ricalibrare” il contenuto della pronunzia, accertando l’inidoneità dell’atto dissimulato a produrre i suoi effetti”.
Il terzo motivo denunciava, invece, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414 e ss., e 1418 e ss. c.c., lamentandosi la violazione dei principi in tema di rilievo d’ufficio della nullità. A giudizio delle ricorrenti, “l’ordinamento non può tollerare che un negozio nullo possa continuare a produrre i suoi effetti, così che, a fronte del riscontro della carenza di testimoni per l’atto di donazione, la sentenza non poteva rigettare la domanda, assicurando in tal modo che il contratto continui a produrre i suoi effetti”.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso ritenendo i motivi infondati, ma la sentenza epigrafata fornisce lo spunto per l’analisi di alcuni aspetti di massima rilevanza.
[3] E’ fondamentale evidenziare l’elemento principale che caratterizza l’intera vicenda: l’essere ancora in vita dei pretesi donanti.
In simili ipotesi, infatti, assai limitati sono, a parere della giurisprudenza, i poteri riconosciuti ai potenziali legittimari in merito al riconoscimento per via giudiziale della natura simulata di negozi compiuti dal proprio genitore o congiunto. Solo dopo la morte del donante, infatti, il legittimario ottiene pieno riconoscimento ad azionare i rimedi che l’ordinamento pone a tutela dei diritti di questi soggetti: solo dall’apertura della successione è possibile agire in riduzione per ottenere la declaratoria di inefficacia di un atto che abbia leso la quota di riserva di alcuno.
Per tale ragione, le attrici, in primo grado, chiedevano che venisse accertata la natura simulata delle vendite, non al fine di vedere tutelati i loro diritti di legittimarie (diritti non ancora lesi), bensì allo scopo “di poter procedere alla trascrizione dell’atto di opposizione alla donazione, di cui al quarto comma dell’art. 563 c.c., ed al fine di preservare l’azione di restituzione verso i terzi acquirenti, una volta intervenuto l’accoglimento dell’azione di riduzione (come detto, da proporsi in epoca successiva alla morte dei donanti)”.
Prima dell’intervento legislativo del 2005 che ha modificato la citata norma, nella visione della giurisprudenza non era consentito al (futuro e potenziale) legittimario l’esercizio dell’azione di simulazione, né relativa, né assoluta.
Sin dal 1987, gli Ermellini hanno avuto modo di affermare che “a norma del secondo comma dell’art. 1415 cod. civ., i terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti solo quando essa pregiudica i loro diritti. Pertanto, poiché al figlio non spetta alcun diritto sul patrimonio del genitore prima della morte e della accettazione dell’eredità dello stesso neppure in quanto legittimario, data la non configurabilità di una lesione di legittima in ordine ad un patrimonio non ancora relitto – deve escludersi la legittimazione del figlio a far valere la simulazione di una compravendita intercorsa tra il genitore, tuttora in vita, ed un altro figlio, senza l’adesione alla domanda del genitore, titolare del diritto, possa spiegare un effetto integrativo della carente legittimazione” (così Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 2968 del 27/03/1987).
Nel 2005 è stata introdotta la possibilità per i legittimari, allo stato solo potenziali, di notificare e trascrivere un atto stragiudiziale di opposizione ai negozi liberali compiuti dal futuro de cuius – anche quando questi è ancora in vita – per non vedere decorrere, nei loro confronti, il termine ventennale di cui alla norma in esame che vedrebbe pregiudicato il diritto di chiedere la restituzione del bene ai terzi subacquirenti del bene donato. Per la prima volta, dunque, veniva concesso ad un futuro legittimario una forma di “tutela” esercitabile anche prima della morte del donante.
La Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi successivamente alla introduzione della modifica legislativa, venendo ad affermare, con ragionamento lineare e condivisibile, che “per poter proporre l’opposizione, il coniuge o i parenti in linea retta del simulato alienante debbono previamente aver esperito con successo l’azione di simulazione relativa, onde far accertare che le parti abbiano effettivamente inteso realizzare una donazione, nei cui confronti è unicamente previsto l’atto di opposizione: sotto tale profilo è innegabile, alla luce delle recenti modifiche degli artt.561 e 563 cod. civ., nei termini sopra indicati, la proponibilità dell’azione di simulazione ancor prima dell’apertura della successione dell’alienante”. È indubbio che, per trascrivere l’atto di opposizione, nelle ipotesi di vendite simulate il futuro legittimario debba poter adire il giudice onde far accertare che le parti abbiano effettivamente inteso realizzare una donazione[1].
[4] Proseguendo nel ragionamento, gli Ermellini giungono ad una ulteriore affermazione, escludendo “che sia possibile in vita del donante esercitare l’azione di simulazione assoluta (volta a far valere l’apparente fuoriuscita del bene dal suo patrimonio) ovvero l’accertamento di una donazione dissimulata ma compiuta mediante un atto simulato che non abbia i requisiti di forma o di sostanza prescritti per l’atto dissimulato, in quanto, se il presupposto legittimante eccezionalmente l’azione di simulazione in vita dell’ereditando è l’esigenza di assicurare la trascrivibilità dell’atto di opposizione, è evidente che a fronte di un atto di donazione affetto da nullità, come nel caso in esame, non vi sia possibilità di trascrivere l’opposizione, e che quindi non sia consentito derogare al generale principio dell’inammissibilità delle azioni di simulazione ad opera del futuro legittimario”.
In sostanza, poiché solo in caso di donazione valida sarebbe notificabile e trascrivibile un atto di opposizione ed essendo rinvenibile una legittimazione attiva anteriore all’apertura della successione solo a tal fine, nessuna domanda di accertamento della simulazione avente diverso scopo sarebbe ammissibile.
Per tali ragioni la Cassazione ha respinto il ricorso di Tizia e Caia, ritenendo corretta la pronuncia della Corte di Appello laddove “ha rilevato la nullità degli atti dissimulati, non trovando tale dovere limitazione in ragione del grado di giudizio in cui trovasi la causa, non essendole però consentito, anche, in assenza di una domanda di accertamento della nullità già avanzata in primo grado, addivenire alla relativa declaratoria in grado di appello, alla luce della regola che vieta la proposizione di domande nuove in grado di appello, e che opera anche nel caso in cui il rilievo della nullità avvenga d’ufficio”.
[5] Ciò posto, tuttavia, gli Ermellini, sottolineano come “le Sezioni Unite[2] hanno chiarito che, laddove il rilievo della nullità intervenga in occasione della disamina di una domanda volta a far valere una diversa patologia negoziale, in assenza di una domanda di nullità, da avanzare però esclusivamente nel corso del giudizio di primo grado, il giudice deve rigettare la domanda proposta, sebbene dando atto in motivazione del fatto che il rigetto è determinato dal rilievo di una causa di nullità del negozio, che però non può essere dichiarata, mancando appunto un’espressa richiesta delle parti formulata nel rispetto delle regole di rito. In tal caso però (….) l’accertamento della nullità, ancorché non sfociato in una dichiarazione in dispositivo, acquisisce efficacia di giudicato tra le parti, precludendo in un successivo giudizio che possa essere posto nuovamente in discussione”.
Sulla base delle considerazioni svolte dalle Sezioni Unite, l’organo giudicante, pur rigettando il ricorso, precisa come l’accertamento dell’invalidità “anche in quanto legato al riscontro dell’effettiva volontà delle parti contraenti, divenga inoppugnabile nei rapporti tra le parti del presente giudizio, e quindi foriero di apportare vantaggi alle ricorrenti allorquando, una volta apertasi la successione dei donanti, si tratterà di verificare quale sia l’effettiva consistenza del loro patrimonio, includendo anche quei beni solo apparentemente fuoriusciti con la stipula degli atti oggetto di causa”.
In conclusione, se è pur vero che, vivente il donante, il (futuro) legittimario non può far valere l’azione di simulazione per scopi diversi da quelli legati alla notificazione e trascrizione dell’atto di opposizione, deve ritenersi che il giudice di merito debba e possa rilevare anche d’ufficio l’esistenza di una causa di invalidità del negozio simulato con una pronuncia che, pur comportando il rigetto dell’originaria pretesa, avrà efficacia di giudicato tra le parti, in assenza di impugnazione.[3]
[1] Interessante riportare il pensiero della Corte anche in ordine alla possibilità di esercizio dell’azione di restituzione verso terzi nell’ipotesi di vendite simulate ed in quelle di donazioni indirette, laddove ritiene che “debba fornirsi risposta positiva al quesito circa la proponibilità dell’azione di restituzione, nei confronti di terzi, da parte del legittimario che abbia vittoriosamente agito in riduzione, nei limiti di cui all’art. 563 cod. civ., comma 1, anche nell’ipotesi di atto formalmente oneroso che dissimuli una donazione, non potendosi invece reputare estensibile alla diversa ipotesi di cd. donazione indiretta, alla luce di quanto affermato da Cass., 12 maggio 2010, n. 11496, che ha appunto escluso che in tal caso al legittimario sia data anche una tutela recuperatoria di carattere reale, essendo i suoi diritti assicurati solo dall’obbligo del donatario di reintegrare la quota lesa con il suo controvalore economico”.
[2] Sentenze nn. 26242/2014 e 26243/2014
[3] La Suprema Corte, nella pronuncia in commenta, pronuncia il seguente principio di diritto: “il giudice innanzi al quale sia stata proposta un’azione di simulazione di una compravendita in quanto dissimulante una donazione, azione finalizzata alla successiva trascrizione dell’atto di opposizione, ai sensi dell’art. 563, comma 4, c.c., deve rilevare di ufficio l’esistenza di una diversa causa di nullità della donazione e, ove sia già pendente il giudizio di appello, e sia perciò ormai inammissibile un’espressa domanda di accertamento in tal senso della parte interessata, deve rigettare l’originaria pretesa, previo accertamento della nullità, nella motivazione, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione”.
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