17 Novembre 2020

Azione di riduzione e onere di imputazione

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sez. 2, sentenza n. 18199 del 02/09/2020

Successioni mortis causa – Successione necessaria – Lesione della quota di riserva dei legittimari – Reintegrazione della quota di riserva – Azione di riduzione – In genere – Onere di allegazione a carico dell’attore – Omessa indicazione nell’atto introduttivo di beni costituenti il ‘relictum’ e di donazioni – Conseguenze – Rigetto della domanda – Esclusione – Fondamento

In tema di azione di riduzione, l’omessa allegazione nell’atto introduttivo di beni costituenti il “relictum” e di donazioni poste in essere in vita dal “de cuius”, anche in vista dell’imputazione “ex se”, ove la loro esistenza emerga (come nella specie) dagli atti di causa ovvero costituisca oggetto di specifica contestazione delle controparti, non preclude la decisione sulla domanda di riduzione, dovendo il giudice procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione, avuto riguardo alle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l’attività di allegazione e di prova. Ne consegue che, ove il silenzio serbato in citazione sull’esistenza di altri beni relitti ovvero di donazioni sia dovuto al convincimento della parte dell’inesistenza di altre componenti patrimoniali da prendere in esame ai fini del riscontro della lesione della quota di riserva, il giudice non può solo per questo addivenire al rigetto della domanda, che è invece consentito se, all’esito dell’istruttoria, e nei limiti segnati dalle preclusioni istruttorie, risulti indimostrata l’esistenza della dedotta lesione.

Nel caso di esercizio dell’azione di riduzione, il legittimario, ancorché abbia l’onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all’uopo l’indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva.

Disposizioni applicate

Articoli 540, 553, 564 cod. civ.

[1] Tizio, privo di discendenti, disponeva delle proprie sostanze a mezzo di testamento olografo. Alla sua morte, la di lui moglie, ritenendo di esser stata beneficiata esclusivamente di un legato in sostituzione di legittima, rinunciava a detto legato e conveniva in giudizio Mevio e Sempronia, beneficiari testamentari di beni del defunto, al fine di accertare il diritto a conseguire la metà dei beni caduti in successione, con altresì il diritto di abitazione sulla casa familiare, procedendo quindi alla divisione dell’asse relitto, previa dichiarazione di inefficacia delle disposizioni testamentarie in quanto lesive della sua quota di legittima.

Mevio e Sempronia contestavano la fondatezza della domanda attorea, assumendo che l’attrice non avesse imputato alla propria quota le donazioni ricevute in vita dal de cuius; chiedevano altresì che l’attrice fosse condannata a dare esecuzione alle disposizioni testamentarie e aggiungevano che l’attrice non aveva accettato l’eredità con beneficio di inventario ed inoltre che la medesima aveva accettato il legato in sostituzione di legittima disposto in suo favore, essendo inefficace la rinuncia poi effettuata del lascito.

Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria, dichiarava che l’eredità di Tizio era regolata dal testamento olografo, accertando altresì la nullità della rinuncia al legato ex articolo 551 cod. civ., formulata da parte dell’attrice (posto che la stessa era stata in realtà istituita erede con attribuzione anche del diritto di usufrutto generale sugli immobili).

Per l’effetto rigettava la domanda di riduzione, disponendo che si procedesse a dare attuazione alle volontà testamentarie.

Tale sentenza veniva impugnata da Caia, ma la Corte d’Appello rigettava il gravame, ritenendo che correttamente era stata disattesa la domanda di riduzione in quanto l’attrice non aveva in alcun modo allegato l’esistenza di donazioni ricevute in vita dal de cuius, impedendo in tal modo di poter verificare l’applicabilità dell’istituto dell’imputazione ex se. Inoltre, non aveva fornito gli elementi di fatto necessari per verificare se sussistesse o meno la dedotta lesione della quota di riserva.

[2] Caia proponeva, dunque, ricorso in Cassazione fondandolo su sei motivi, dei quali il terzo e quarto saranno oggetto della presente analisi.

Veniva, quindi, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 564 cod. civ., comma 2, laddove la sentenza gravata aveva ritenuto che non fosse accoglibile la domanda di riduzione per insuperabili carenze assertive e probatorie, poiché’ l’attrice non aveva fatto alcuna dichiarazione positiva o negativa circa l’esistenza eventuale di donazioni ricevute in vita dal de cuius, come imposto dall’articolo 564 cod. civ.. Inoltre, si contestava alla ricorrente di non avere fornito la prova di tutti gli elementi necessari per accertare la lesione della legittima, non provando l’inesistenza di altri beni mobili.

Caia deduceva in proposito che l’imputazione ex articolo 564 cod. civ. è una mera operazione contabile imposta solo laddove il legittimario abbia ricevuto donazioni, ma nel caso in esame, come specificato con l’atto di appello, la ricorrente non aveva ricevuto alcuna liberalità dal de cuius.

Il quarto motivo denunciava, invece, la violazione dell’articolo 540 cod. civ., laddove la sentenza di merito ha escluso che fosse possibile determinare l’esatta entità della lesione della quota di riserva dell’attrice, sebbene dalle risultanze della CTU, e tenuto conto dei beni relitti, quali individuati negli atti di ultima volontà, risultasse evidente che alla ricorrente fossero stati attribuiti beni in misura inferiore rispetto alla quota di legittima.

[3] La Suprema Corte, con la sentenza qui in commento ha cassato la pronuncia d’appello, ribadendo un recente orientamento che, apparentemente, si pone in contrasto con i precedenti della Cassazione stessa.

Come anche richiamato, infatti, dal giudice di appello, sin dalla sentenza Cass. Civ. n. 11432/1992, si ritiene che “il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se sia o meno avvenuta ed in quale misura la lesione della quota di riserva, e quindi anche l’inesistenza nel patrimonio del “de cuius” di altri beni oltre quelli che formano oggetto dell’azione di riduzione, giacché in conformità del principio di cui all’art. 2697 cod. civ. anche i fatti negativi, quando costituiscono il fondamento del diritto che si vuol far valere in giudizio, debbono essere provati dall’attore come i fatti positivi”. La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo che l’attrice non avesse soddisfatto gli oneri di allegazione e probatori imposti, alla luce della prevalente giurisprudenza, a colui che intenda agire in riduzione.[1]

Gli Ermellini richiamano, poi, una ulteriore serie di precedenti dalla quale parrebbe emergere un orientamento costante teso ad affermare che “il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché quello della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva”.[2]

La Suprema Corte ha ritenuto, nel caso di specie, di dover meglio circoscrivere e riconsiderare i principi esposti, ricordando come, in realtà, già la sentenza da ultimo citata (n. 1357/2017) avesse precisato come la prova della consistenza dell’asse e della conseguente lesione dei diritti di legittimario possa essere fornita anche a mezzo di presunzioni purché munite dei requisiti di cui all’articolo 2729 cod. civ.[3]

Nel loro percorso argomentativo, gli Ermellini evidenziano come l’imputazione non sia una condizione dell’azione (a differenza della preventiva accettazione con beneficio di inventario, ove necessaria), ma una prodromica operazione di calcolo di natura esclusivamente contabile, diretta al riscontro della effettiva lesione della legittima ed ancor prima a determinare con precisione la stessa entità della legittima spettante al legittimario.

Ma, chiariscono, “va in ogni caso affermato che se la puntuale individuazione delle componenti patrimoniali, sulla scorta delle quali procedere alla ricostruzione del relictum ed eventualmente del donatum, costituisce un’attività riservata alla fase introduttiva del giudizio che soffre delle preclusioni legate alla fissazione del thema decidendum, (…)  ben potrebbe la stessa allegazione da parte dei convenuti degli elementi patrimoniali da prendere in considerazione ai fini della riunione fittizia o in particolare in vista dell’imputazione ex se, ove connotata da specificità (ad esempio con la puntuale individuazione delle donazioni non indicate in citazione ovvero dei beni relitti del pari non indicati dall’attore), consentire al giudice di poter comunque procedere, se del caso avvalendosi anche di una CTU (che proprio perchè chiamata a valutare ben individuati componenti patrimoniali non avrebbe carattere esplorativo) alla verifica della ricorrenza della lesione

La Suprema Corte ritiene, poi, di dover confutare l’affermazione spesso riscontrabile nelle pronunce di merito, secondo cui ai fini della stessa ammissibilità dell’azione di riduzione sarebbe necessario anche indicare in dettaglio i valori dei beni costituenti il relictum e di quelli oggetto delle donazioni (dirette o indirette), con la necessità altresì di specificare con precisione l’ammontare della lesione vantata.

Evidenzia, a tal proposito, come “l’onere di allegazione della parte effettivamente impone di offrire un quadro soddisfacente della situazione patrimoniale del de cuius ai fini del compimento delle operazioni di riunione fittizia e di imputazione. (…). Una volta soddisfatto tale onere (anche, come detto, per effetto, dell’attività di allegazione della altre parti del giudizio) deve reputarsi che l’attore soddisfi l’onere di specificità della domanda impostogli dalla legge una volta che, richiamata la misura della sua quota di legittima, quale dettata dalla legge, assuma che per effetto delle disposizioni testamentarie ovvero in conseguenza delle donazioni poste in essere in vita in favore di altri soggetti, ed al netto di quanto ricevuto allo stesso titolo, residui una lesione.

In tal senso non può però imporsi anche che la quantificazione in termini di valore dei vari elementi destinati ad essere presi in considerazione, sia ai fini della precisazione del relictum che del donatum, e che l’individuazione della lesione debba avvenire in termini matematici. (…).

Opinare diversamente significherebbe imporre al legittimario che agisce in riduzione di dover necessariamente esperire una preventiva perizia di parte ovvero di proporre discrezionali (se non addirittura arbitrari) valori per i vari beni implicati dalla vicenda, indicazioni tutte che comunque non rivestirebbero poi carattere vincolante nella successiva fase dinanzi al giudice, chiamato invece autonomamente (e di norma attraverso l’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio) a riscontrare l’effettività della lesione dedotta e la sua precisa entità”.

[4] Come anticipato, la pronuncia in commento si premura di sottolineare come essa sia semplice puntualizzazione dei precedenti giurisprudenziali che paiono richiedere un onere di allegazione per l’attore ben più stringente.

A ben vedere, si tratta di un orientamento già espresso nel corrente anno dalla stessa sezione della Suprema Corte[4] e può, pertanto, affermarsi essere quello ad oggi più di rilievo e di certo guardato con maggiore attenzione dagli interpreti.

Non può negarsi, tuttavia, che alcune perplessità permangono.

Se, infatti, a giudizio di chi scrive, troppo rigido è richiedere la quantificazione certa ed esatta della lesione subita[5], non pare, tuttavia, condivisibile il ragionamento posto alla base delle conclusioni cui la Corte giunge: non si ritiene un’assurdità il pretendere che l’attore debba effettuare una valutazione di parte dei beni al fine di verificare la lesione subita; anzi, si configura quale presupposto (anche solo logico e necessario) dell’agire in riduzione. È proprio per evitare l’arbitrarietà che tali valutazioni indubbiamente portano con sé che è demandata al giudice l’attività istruttoria. Ma un conto è affermare che tale attività possa meglio definire, provare o supportare le conclusioni attoree, altro è dirsi che essa (o, come sostenuto nella pronuncia epigrafata, dichiarazioni ed allegazioni introdotte dal convenuto) possa sopperire all’onere “di allegazione, in ordine ai fatti posti a fondamento della pretesa, che incombe alla parte che agisce in giudizio tempestivamente formulare”.[6]

Ha, dunque, forse colto più nel segno la sentenza del 31/07/2020 (n. 16535) che, con evidenti ragioni logiche, ha ritenuto non applicabile il principio “tradizionale” secondo cui il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, e in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva, “qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio con donazioni. In questo caso, infatti, il legittimario non ha altra via, per reintegrare la quota riservata, se non quella di agire in riduzione contro i donatari, essendo quindi la compiuta denuncia della lesione già implicita nella deduzione della manifesta insufficienza del relictum“.

[1] In particolare, si era rilevato come la appellante non avesse dimostrato l’inesistenza di ulteriori beni rientranti nell’asse ereditario. Anzi, era emerso in sede di CTU come la stessa fosse titolare di un rapporto bancario intestato solo ad ella, ma che, essendo coniugata con il defunto in regime di comunione legale dei beni, dovesse ritenersi compreso, per la quota di metà, nel patrimonio ereditario.

[2] Così Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 1357 del 19 gennaio 2017. Si vedano, nello stesso senso, tra le molte: Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 20830 del 14 ottobre 2016; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 14473 del 30 giugno 2011; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 13310 del 12 settembre 2002; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 11432 del 17 ottobre 1992; 2 Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 3661 del 9 ottobre 1975.

[3]ancorché il legittimario che agisca in riduzione abbia l’onere d’indicare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché’ quello della quota di legittima violata, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché’ gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva, aggiungendo altresi’ che una volta ravvisata la ricorrenza delle presunzioni come sopra connotate, risulta legittimo anche l’esperimento della C.T.U., atteso che, una volta che l’attore in riduzione ha assolto il suo onere probatorio, il giudice ha il dovere di disporre la C.T.U.,  per stimare il valore dei beni costituenti il relictum e il donatum” così Cass. Civ. n. 1357/2017. IL provvedimento in commento richiama, altresì, Cass. Civ. n. 1297/1971.

[4] Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 17926 del 27 agosto 2020

[5] Diversi e non infrequenti sono i casi in cui il legittimario sia effettivamente impossibilitato ad ottenere una compiuta quantificazione della massa su cui calcolare il valore della quota di riserva.

[6] Così Cass. Civ. n. 20830/2016 cit.

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