Azione di riduzione e non configurabilità di un litisconsorzio necessario
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. 6, Ordinanza n. 32197 del 05 novembre 2021
Limiti dell’azione del legittimario – Recupero dai convenuti della quota del beneficiario non convenuto; richiesta verso i beneficiari della differenza tra beni relitti e donati; recupero da donatario anteriore di beni recuperabili dal posteriore – Esclusione.
L’azione di riduzione non dà luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né dal lato passivo, e può, quindi, essere esercitata nei confronti di uno solo degli obbligati alla integrazione della quota spettante al legittimario; tuttavia, qualora quest’ultimo non abbia attaccato tutte le disposizioni testamentarie lesive, non potrà recuperare, a scapito dei convenuti, la quota di lesione a carico del beneficiario che egli non abbia voluto o potuto convenire in riduzione, e potrà pretendere dai donatari solo l’eventuale differenza tra la legittima, calcolata sul “relictum” e il “donatum”, e il valore dei beni relitti – giacché la loro sufficienza libera i donatari da qualsiasi pretesa – né potrà recuperare a scapito di un donatario anteriore quanto potrebbe pretendere dal donatario posteriore, giacché se la donazione posteriore è capiente le anteriori non sono riducibili, ancorché la prima non sia stata attaccata in concreto dall’azione.
Disposizioni applicate: Articoli 553, 554, 555, 559 e 564 cod. civ.
[1] Tizione, con il proprio testamento, aveva lasciato al nipote Caio, figlio della figlia premorta del de cuius Tizia, alcuni beni immobili in Velletri.
All’interno della scheda testamentaria, il de cuius aveva precisato che il lascito a favore del nipote fosse sufficiente ad eguagliare la quota di legittima a lui spettante in rappresentazione della madre premorta; precisava, inoltre, di avere già soddisfatto – mediante atti di donazione – le quote di riserva riconosciute dalla legge agli altri suoi cinque figli, ai quali attribuiva la parte disponibile del proprio patrimonio.
Caio conveniva in giudizio i soli Sempronio e Calpurnio, nei confronti di quali chiedeva la riduzione delle disposizioni testamentarie e donazioni in favore degli stessi. I convenuti, nel costituirsi in giudizio, precisavano di detenere, in qualità di depositari, una somma pari ad euro 100.000 circa, da ritenere compresa nell’asse, dichiarandosi disponibili a ripartirla secondo le disposizioni del Tribunale. Veniva ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Mevia, Caia e Filana, che si costituivano in giudizio.
Quindi il Tribunale, operata la riunione fittizia dei beni relitti ai beni donati, accertava che l’attore aveva effettivamente subito una lesione dei propri diritti di legittima pari ad euro 75.000,00; accertava, poi, che l’importo, del quale i convenuti avevano ammesso di avere la disponibilità, costituiva oggetto di disposizione testamentaria, in linea di principio riducibile per l’importo corrispondente alla lesione. Per il giudice di primo grado, la riduzione, però, doveva essere circoscritta nei limiti della quota dei soli Sempronio e Calpurnio, essendo esenti da riduzione gli altri beneficiari posto che, benché chiamati in giudizio, l’attore non aveva esteso la domanda nei loro confronti.
Caio proponeva appello, ma la Corte confermava la decisione di primo grado, negando, tra l’altro, l’interesse di Caio a dolersi del fatto che il Tribunale avesse ritenuto la somma, in possesso dei convenuti Sempronio e Calpurnio, oggetto di disposizione testamentaria invece che di donazione in favore degli stessi convenuti.
[2] Caio ha proposto ricorso per la Cassazione della sentenza, fondandolo su cinque motivi, dei quali, nella presente sede, rilevano i primi quattro, riferendosi l’ultimo alla regolamentazione delle spese processuali.
Con i primi tre motivi il ricorrente denunciava, sotto il profilo della violazione di legge e della motivazione apparente, l’interpretazione della domanda da parte dei giudici di merito, nella parte in cui gli stessi avevano negato che l’attore avesse esteso la domanda di riduzione, in origine proposta nei confronti dei soli Sempronio e Calpurnio, nei confronti degli altri coeredi chiamati a intervenire nel giudizio.
Con il quarto veniva impugnata la decisione nella parte in cui il Giudice di seconde cure aveva negato l’interesse dell’appellante a far valere la diversa natura del lascito della somma in possesso dei convenuti: donazione e non lascito testamentario. A giudizio del ricorrente, invece, tale interesse, doveva rinvenirsi poiché, una volta riconosciuto che la somma era stata donata ai due convenuti in riduzione, la disposizione avrebbe dovuto assoggettarsi a riduzione per l’intera entità della lesione di legittima. Infatti, evidenziava la difesa di Caio, era stata proprio la ricomprensione della somma nei beni relitti a giustificare la riduzione solo parziale del lascito, avendo i giudici di merito ritenuto che la domanda di riduzione non fosse stata proposta nei confronti dei coeredi chiamati, contitolari, al pari dei convenuti originari, del relativo importo.
[3] La Suprema Corte, esaminando congiuntamente i primi tre motivi del ricorso, li ha ritenuti infondati.
Nell’argomentare la propria decisione, gli Ermellini ricordano come, per giurisprudenza unanime e costante, l’azione di riduzione non dia luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo, né dal lato passivo.[1] L’azione, pertanto, può ben essere esercitata nei confronti anche di uno solo degli obbligati alla reintegrazione della quota spettante al legittimario e spiegare effetto solamente nei suoi confronti in caso di accoglimento.[2]
Chiarisce la Suprema Corte che “non è consentito al legittimario di far ricadere il peso della riduzione in modo difforme da quanto dispongono gli articoli 555, 558 e 559 cod. civ.. Consegue che: a) il legittimario, il quale non abbia attaccato tutte le disposizioni testamentarie lesive, non potrà recuperare, a scapito dei convenuti, la quota di lesione a carico del beneficiario che egli non abbia voluto o potuto convenire in riduzione (…); b) il legittimario può pretendere dai donatari solo l’eventuale differenza fra la legittima, calcolata sul relictum e sul donatum, e il valore dei beni relitti: se questi sono sufficienti i donatari sono al riparo da qualsiasi pretesa, qualunque sia stata la scelta del legittimario nei riguardi dei coeredi e beneficiari di eventuali disposizioni testamentarie; c) il legittimario non può recuperare a scapito di un donatario anteriore quanto potrebbe prendere dal donatario posteriore: se la donazione posteriore è capiente le anteriori non sono riducibili, anche se la prima non sia stata attaccata in concreto con l’azione di riduzione.”
[4] Il legislatore, effettivamente, ha previsto un rigoroso ordine di riduzione delle disposizioni lesive. Qualora, infatti, anche dopo l’adeguamento automatico delle quote dei successori legittimi previsto dall’art. 553 cod. civ., sia ancora rinvenibile una lesione della quota di un legittimario – ovvero per il caso, come quello di specie, in cui non si apra una successione legittima ma vi sia un testamento che la regoli interamente – trova applicazione il disposto degli artt. 554 e seguenti del Codice civile. Tali norme prevedono che debbano, innanzitutto, ridursi le disposizioni testamentarie, siano esse a titolo universale o particolare. Caratteristica di tale riduzione è che essa avviene proporzionalmente. Ciò si giustifica in ragione del fatto che tutte le disposizioni testamentarie producono effetto nello stesso momento e non è, dunque, possibile individuare quale di esse sia lesiva dei diritti del legittimario: tutte hanno contribuito al verificarsi della lesione.
Solo qualora la riduzione di tali disposizioni non sia sufficiente a reintegrare i diritti del legittimario si potranno aggredire le donazioni, per le quali è, invece, previsto un ordine di “preferenza” tra le diverse liberalità. Il criterio stabilito dal nostro codice è di tipo cronologico: si aggrediscono prima quelle più recenti e, se non sufficienti, si riducono quelle anteriori. La ratio alla base di questa scelta legislativa viene individuata nella considerazione che sia la donazione più vicina all’apertura della successione ad aver intaccato la quota riservata al legittimario. Solo in caso di donazioni coeve trova nuovamente applicazione il criterio della proporzionalità, proprio in considerazione dell’impossibilità di stabilire quale donazione sia stata causa della lesione.
È appena il caso di rimarcare che le regole poste dal legislatore sono tassative e non è concesso né al testatore né ai legittimari o agli eredi di modificarle. Un limitato potere di intervento è concesso solo al de cuius, limitatamente alle disposizioni testamentarie: egli, infatti, può derogare al principio di proporzionalità, stabilendo che una debba avere preferenza rispetto alle altre (art. 558 cod. civ.).
L’esistenza di tale tassativo ordine, in uno con la natura personale dell’azione di riduzione e la conseguente non configurabilità di un litisconsorzio necessario tra legittimari e/o beneficiari delle disposizioni lesive, fa sì che solo la corretta chiamata in causa dei soggetti a favore dei quali sia stato disposto un lascito od una liberalità possa portare all’effettivo rispristino dei diritti del legittimario leso.
Al di là dei casi in cui la mancata chiamata in giudizio di un soggetto dipenda da una “mancanza procedurale” della parte, possono, tuttavia, verificarsi ipotesi in cui non sia effettivamente possibile convenire il beneficiario di una disposizione lesiva: si pensi al legittimario che, chiamato all’eredità e trovandosi nel possesso di beni ereditari, non abbia proceduto nei termini di legge all’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario (condizione per l’azione ex art. 564 cod. civ.). Costui non potrebbe agire nei confronti di un legatario o donatario non coerede. In simili ipotesi, giova al soggetto leso poter, comunque, aggredire eventuali ulteriori disposizioni lesive; purtroppo, dovrà esser consapevole che la disposizione non aggredibile – se da ridurre prima delle altre – peserà negativamente sulla sua effettiva reintegrazione, poiché “egli non può aggredire la donazione meno recente (…) se non nei limiti in cui risulti dimostrata l’insufficienza della donazione più recente a reintegrare la quota di riserva, non potendo ricadere le conseguenze negative del mancato espletamento di quell’onere su soggetti estranei all’assolvimento dello stesso.”[3]
[5] In merito all’estensione o meno della domanda di riduzione anche nei confronti degli altri chiamati in giudizio, la sentenza in epigrafe precisa che, sebbene sia vero che i più recenti assesti della giurisprudenza di legittimità non richiedano più l’esatta determinazione della misura monetaria della lesione subita[4], è pur sempre necessario che la lesione di legittima sia enunciata in termini concreti e non come pura eventualità. “Il ricorrente, invece, come risulta dal tenore degli scritti difensivi, nei confronti dei coeredi chiamati a intervenire nella lite pendente, aveva proposto la domanda in termini generici, prospettando la lesione quale pure eventualità: “qualora all’esito dell’espletando istruttoria dovessero emergere eventuali disposizioni mortis causa o eventuali donazioni di beni mobili effettuate dal de cuius a favore dei convenuti tutti, successivamente al 9.6.98 (…).”
Il ricorrente lamentava, al riguardo, come la Corte di merito avesse attribuito rilevanza decisiva al contenuto della propria comparsa conclusionale, omettendo di tenere in giusta considerazione le deduzioni formulate nell’atto di chiamata in causa e nelle memorie.
Nella prospettiva della Suprema Corte, tuttavia, “nel momento in cui la comparsa conclusionale fu depositata, l’istruttoria era stata completata e si deve presumere che l’attore fosse nelle condizioni di argomentare in modo puntuale sulla sua intenzione di assoggettare a contributo anche i coeredi chiamati in causa. Nondimeno, nello scritto difensivo finale l’attuale ricorrente aveva usato espressioni di difficile compatibilità con l’intenzione di assoggettare a riduzione i soggetti chiamati in causa. La Corte d’appello, pertanto, nel richiamare tali espressioni, con cui si rimarcava che la domanda era stata proposta nei soli confronti dei convenuti originari, non ha fatto altro che prendere atto della interpretazione data dalla stessa parte, senza minimamente violare il principio che assegna alla comparsa conclusionale solo valore illustrativo.” [5]
[6] Il quarto motivo di ricorso è stato, invece, ritenuto inammissibile.
L’attore aveva sostenuto che se la somma in possesso dei convenuti fosse stata considerata come oggetto di donazione, la liberalità sarebbe stata riducibile in misura più ampia, avendone beneficiato solamente i convenuti originari. Secondo tale impostazione, l’accertamento della diversa natura del lascito avrebbe reso, perciò, irrilevante la mancata estensione della domanda nei confronti dei coeredi chiamati in causa.
Giustamente, il Giudice di legittimità sottolinea come, in realtà, una qualificazione del lascito in termini di donazione avrebbe potuto portare a conseguenze deteriori per l’attore. Come sopra evidenziato, infatti, il nostro legislatore prevede un tassativo ordine di riduzione. Le donazioni, infatti, si riducono – nel rispetto del citato criterio cronologico – solo quando i beni relitti non siano sufficienti a reintegrare il legittimario. Nel caso in esame, pertanto, la capienza del relictum, in caso di domanda formulata direttamente ed esclusivamente solo nei confronti dei donatari e con oggetto la liberalità stessa, avrebbe “potuto sortire persino un risultato sfavorevole per il legittimario.”
Infine “la sussistenza del concreto interesse dell’attuale ricorrente, verso la diversa qualificazione del lascito, implicava una specifica presa di posizione sulla concreta riducibilità di quella supposta specifica donazione che conseguisse dalle regole sopra indicate. Tale presa di posizione avrebbe dovuto essere già proposta dinanzi alla Corte d’appello e illustrata in questa sede a giustificazione della censura.”
[1] Si vedano: Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 8529 del 27/09/1996; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 2174 del 27/02/1998; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 27414 del 13/12/2005; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 27770 del 20/12/2011. Si veda, altresì, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 20143 del 03/09/2013; Cass. Civ., Sez. 6, Ordinanza n. 15706 del 23/07/2020.
[2] In tal senso, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 2006 del 28/07/1967.
[3] Così Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 22632 del 03/10/2013.
[4] In tal senso, si vedano Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 17926 del 27 agosto 2020 e Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 18199 del 02/09/2020 (in relazione a tale ultima pronuncia si rimanda a RAMPONI, Azione di riduzione e onere di imputazione in EC Legal del 17/11/2020).
[5] Si veda anche Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 5402 del 25/02/2019
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia