Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e cancellazione d’ufficio della società nel corso del procedimento: improcedibilità della domanda per cessata materia del contendere
di Gian Luca Grossi - Studio Pirola Pennuto Zei & AssociatiMarcello Guerzoni - Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Scarica in PDFTribunale di Vicenza, sentenza n. 869/2019 del 9 aprile 2019 e pubblicata il 17 aprile 2019
Parole chiave: azione di responsabilità – amministratore – cancellazione della società – improcedibilità domanda – cessazione materia del contendere;
Massima: “Ove venga promossa, nei riguardi degli amministratori di una s.r.l. e su iniziativa di un socio, l’azione sociale di responsabilità ai sensi dell’art. 2476 c.c. e tale società che si professa titolare di un diritto di credito, venga cancellata (o si lasci cancellare d’ufficio) dal Registro delle imprese nel corso del procedimento nel quale è in discussione proprio l’accertamento di una pretesa o di diritto di credito ancora illiquido, tale circostanza è interpretabile come atto di rinuncia al predetto accertamento e all’eventuale diritto, sicché appare del tutto condivisibile che il tribunale debba dichiarare l’improcedibilità della domanda per cessata materia del contendere”.
Disposizioni applicate: art. 2476, 2467, 2484, 2490 c.c.
Il Tribunale di Vicenza, con la sentenza in commento, si è pronunciato in merito alle possibili conseguenze processuali derivanti della cancellazione, ancorché d’ufficio, di una società dal Registro delle Imprese nel corso dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore (art. 2476 c.c.) promossa da uno dei soci.
Com’è noto l’art. 2490, c. 6, c.c. prevede che il mancato deposito del bilancio di liquidazione per tre anni consecutivi determina la cancellazione d’ufficio della società dal Registro delle Imprese con gli effetti previsti dall’articolo 2495 c.c., ossia la possibilità, per i creditori sociali non soddisfatti, di far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi ultimi. Ratio della norma è quella di tutelare l’interesse, pubblicistico, di “epurare” il Registro Imprese dalla perdurante inerzia e inattività di quegli enti, per i quali manchi solo un provvedimento formale, di cancellazione, che ne decreti l’estinzione (de facto già sopravvenuta). Il succitato termine (triennale) deve ritenersi maturato, secondo la Giurisprudenza, allorquando sia spirato anche di un solo giorno il termine per il deposito del terzo bilancio di liquidazione. La cancellazione è infatti ricollegata, ex lege, al mancato deposito dei bilanci per tre anni consecutivi, senza che possa ravvisarsi un margine di discrezionalità in capo al Conservatore (competente a procedere alla cancellazione d’ufficio).
Nel caso di specie, l’attore, titolare del 35% delle quote sociali, radicava azione di responsabilità, ex art. 2476 c.c., nei confronti dell’amministratore unico, asserito autore di numerose violazioni di legge: mancata convocazione dell’assemblea a fronte di perdite superiori al capitale sociale (art. 2482 ter c.c.); rimborso di finanziamenti soci postergati (art. 2467 c.c.); depauperamento del patrimonio sociale mediante affitto (evidentemente fittizio) di cespiti ad altra società della quale la figlia era socia; mancata redazione del bilancio d’esercizio (art. 2484 c.c.). Alle domanda attorea si associava anche la società, in persona del curatore speciale nominato (art. 78 c.p.c.).
A sua volta, il convenuto si costituiva richiedendo il rigetto di tutte le domande e la condanna dell’attore per lite temeraria; eccependo nel merito come fosse stato in realtà l’attore ad aver commesso gravissime irregolarità (quali atti di concorrenza sleale, avendo costituito una nuova società concorrente), tali da condurre ad un grave depauperamento del patrimonio sociale.
Il Collegio adito, con la pronuncia in commento – pur non tralasciando una puntuale disamina delle questioni di merito – rileva come nel corso del giudizio fosse avvenuta la cancellazione d’ufficio della società (art. 2490 c.c.).
Ne deriva, osserva il Tribunale, l’applicabilità dell’insegnamento delle Sezioni Unite di Cassazione secondo cui “qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, essi fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estinto” (cfr. Cassazione SS.UU. 12 marzo 2013 n. 6070).
A ben vedere, infatti, allorquando una società che si professa titolare di un credito, venga cancellata d’ufficio dal Registro Imprese (ovvero a fortiori lo richieda) proprio nel corso del procedimento nel quale è in discussione l’accertamento della pretesa e del relativo credito azionato (ancora illiquido), tale circostanza deve essere interpretata come un atto di rinuncia all’accertamento e, conseguentemente, allo stesso diritto di credito, per la sopravvenuta inesistenza del soggetto societario.
Da tale assunto il Collegio ha statuito, da un lato, l’improcedibilità e il rigetto della domanda e, dall’altro, ha compensato le spese di lite a carico dei due soci (corresponsabili del dissesto della S.r.l.).