Aumento di capitale sociale e obbligo di conferimento in natura di un determinato bene
di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDFTribunale di Roma, Sezione Specializzata in materia di Impresa, Ordinanza del 18 febbraio 2020.
Parole chiave: Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Deliberazione assemblea – Aumento di capitale sociale – conferimento in natura – Patto parasociale – Illegittimità della delibera –
Massima: È illegittima la deliberazione di aumento del capitale sociale di una società a responsabilità limitata che preveda, con riguardo ad un singolo socio, l’obbligo di sottoscrizione mediante conferimento in natura di un suo preciso bene, prevedendo altresì la facoltà degli altri soci di sottoscrivere la porzione di capitale eventualmente inoptata con conferimenti in denaro.
Disposizioni applicate: articoli 2378, 2464, 2479-ter, 2481, 2481-bis c.c.
Con il giudizio in esame un socio di minoranza di una S.r.l. ha impugnato una delibera di aumento del capitale della società che gli riservava il diritto di sottoscriverlo unicamente mediante conferimento in natura di una quota indivisa della proprietà di una licenza di marchio e del diritto d’autore relativo a 3 brevetti industriali, prevedendo altresì che l’eventuale parte inoptata dell’aumento avrebbe potuto essere sottoscritta dagli altri due soci, anche mediante versamenti in denaro o impiego parziale di una riserva di capitale.
Il socio ricorrente ha dedotto l’illegittimità di tale delibera adducendo: a) l’abuso della maggioranza in proprio danno; b) la violazione del suo diritto di opzione ex art. 2481 bis c.c.; c) l’illegittima facoltà degli altri soci di sottoscrivere il capitale inoptato mediante conferimento in denaro e d) la sottostima del valore economico del marchio figurativo e dei brevetti che avrebbero dovuto costituire oggetto del suo conferimento in natura.
A fronte di tali circostanze, il Tribunale delle Imprese di Roma ha osservato – mediante richiamo all’art. 2481 bis c.c. che disciplina l’aumento di capitale delle s.r.l. rinviando, per i conferimenti di beni in natura o di crediti, al disposto del quinto comma dell’art. 2464 c.c. – che è certamente possibile che un determinato conferimento in natura sia previsto in una delibera di aumento di capitale, ma non è tuttavia ammissibile che un socio possa essere “costretto” a conferire beni di sua esclusiva proprietà, risolvendosi diversamente la deliberazione in una sorta di “espropriazione” del bene del socio.
Ciò a maggior ragione per il fatto che una determinata delibera può essere assunta a maggioranza del capitale e non all’unanimità, con la conseguenza che il socio che intendesse partecipare all’aumento di capitale non avrebbe altra strada che conferire il proprio bene individuato nella deliberazione della maggioranza.
Sarebbe infatti illegittima un’operazione che ponga il socio dinanzi all’alternativa tra perdere la proprietà di un suo bene e mantenere “intatta” la propria partecipazione al capitale di una società, ovvero perdere o vedersi diluita la partecipazione al capitale e mantenere la proprietà sul bene che la società gli chiede di conferire.
Il Tribunale ha quindi individuato il limite di una simile operazione nella impossibilità di disporre un aumento di capitale scindibile con la previsione, in favore degli altri soci, di esercitare la prelazione sull’inoptato.
E’ invece ammissibile una deliberazione che consenta ad un determinato socio di partecipare all’aumento mediante conferimento di uno specifico bene di sua proprietà, ma a condizione che a tale operazione non si ricolleghi la possibilità per gli altri soci di acquistare l’inoptato mediante versamenti in denaro e, più in generale, che in caso di diniego del socio a conferire il suo specifico bene, non si preveda l’efficacia dell’intera operazione, in modo tale che, al rifiuto del socio, non conseguirebbe nessuno svantaggio, poiché l’intera operazione sarebbe posta nel nulla.
A fronte di tali conclusioni, i soci convenuti si sono difesi unicamente adducendo che la deliberazione sarebbe stata legittima in quanto il suo contenuto era conforme agli obblighi assunti dai soci con la sottoscrizione di due patti parasociali (con i quali, appunto, si erano impegnati a deliberare l’aumento di capitale mediante conferimento al patrimonio della società dei brevetti industriali e del marchio sopra indicati).
Il Tribunale ha tuttavia rigettato anche tale eccezione, confermato quindi l’illegittimità della delibera, ed evidenziando come i patti parasociali impegnino i patiscenti soltanto nei loro reciproci rapporti, senza tuttavia poter determinare il comportamento degli stessi nei confronti della società.
Il vincolo che discende dai patti parasociali opera, infatti, su un terreno esterno a quello dell’organizzazione sociale, con la conseguenza che al socio non può in alcun modo essere impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l’interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento del patto (così come confermato anche dalle sentenze della Corte di Cassazione 22 marzo 2010, 6898 e 5 marzo 2008, n. 5963).