Atto di donazione nullo e usucapione
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ., Sez. 3, Ordinanza n. 9566 del 09/04/2024
Atto di donazione nullo – Interversio possessionis – Idoneità – Sussistenza – Opposizione del detentore – Necessità – Esclusione – Fattispecie
Massima: “In tema di usucapione, l’atto di donazione nullo, sebbene inidoneo a trasferire la proprietà, può costituire elemento idoneo a determinare l’interversione della detenzione in possesso, tale da rendere il successivo possesso atto all’usucapione, senza la necessità di alcun atto oppositivo da parte del detentore nei confronti del possessore”.
(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di usucapione abbreviata svolta dal detentore e basata sulla circostanza dell’informale donazione del fondo da parte dell’originaria proprietaria, trattandosi di donazione nulla per mancanza dell’atto pubblico, non ammettendo la prova testimoniale sul punto, senza considerare che quell’informale donazione, ove effettivamente dimostrata, avrebbe potuto determinare l’interversione nel possesso a favore del detentore)
Disposizioni applicate
Codice Civile, articoli 782, 1141, 1158, 1159 e 1159 bis
[1] Caio convenne in giudizio Tizio, chiedendo che fosse dichiarato risolto il contratto di colonia parziaria intercorso tra il convenuto e la dante causa dell’attore, Mevia, con condanna di Tizio al rilascio del fondo. A sostegno della domanda il ricorrente espose, tra l’altro, di essere proprietario, quale erede di Mevia, di un terreno agricolo che dagli anni 70 del secolo scorso era stato concesso in colonia parziaria da Mevia a Tizio. Aggiunse che, venuta a mancare Mevia e cessato per legge il rapporto contrattuale, questo era proseguito in via di fatto con l’attore, il quale intendeva però rientrare nel possesso del fondo. Si costituì in giudizio Tizio, chiedendo il rigetto della domanda. Il convenuto rilevò, innanzitutto, che il fondo oggetto di causa faceva parte di un fondo ben più ampio nel quale egli aveva svolto, effettivamente, l’attività di colono. Il fondo oggetto di causa era, rispetto a quello più grande, pari ad un “fazzoletto” di terreno, che Mevia aveva deciso di donargli informalmente, agli inizi degli anni 90 del secolo scorso, nel momento in cui la proprietaria aveva frazionato il terreno per poi venderlo. Aggiunse, pertanto, di aver posseduto il fondo in questione uti dominus almeno a partire dal 1990 e avanzò domanda riconvenzionale di riconoscimento, in suo favore, della maturata usucapione ai sensi degli artt. 1158 o 1159-bis cod. civ.. Chiese, in subordine, che l’attore fosse condannato al pagamento delle migliorie apportate al fondo. Il Tribunale rigettò le domande riconvenzionali di Tizio, dichiarò risolto per legge il contratto di colonia parziaria e condannò il convenuto al rilascio del fondo per il termine dell’annata agraria e al pagamento delle spese di lite.
La sentenza venne impugnata da Tizio, venuto poi a mancare nel corso del giudizio di secondo grado, che era proseguito dalla sua unica erede Tizia.
La Corte d’appello confermò la sentenza di primo grado, fondando il proprio convincimento, relativamente alla domanda di usucapione abbreviata, sul rilievo che, anche qualora effettivamente il fondo fosse stato oggetto di una donazione informale, essa avrebbe configurato un negozio nullo e, dunque, il Tribunale giustamente non aveva ammesso la prova testimoniale e, mancando ogni titolo idoneo all’acquisto, la pretesa usucapione decennale fosse da considerare inesistente. La Corte d’appello dichiarò infondata anche la domanda di usucapione ordinaria avanzata da Tizio, osservando che quest’ultimo, trovandosi nella situazione di mera detenzione legittima del fondo, avrebbe dovuto dare prova del mutamento della detenzione in possesso; prova che non era stata fornita.
[2] Avverso la sentenza della Corte d’appello, Tizia proponeva ricorso in Cassazione, affidandolo a sette motivi, dei quali, nella presente sede, assumono rilevanza il primo ed il quinto (venendo gli ulteriori assorbiti dall’accoglimento di essi).
In particolare, con il primo motivo la ricorrente osservava, in primis, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere dimostrata, per asserita non contestazione, l’esistenza del contratto di colonia parziaria. Ricordava, a tal proposito, come fosse stato dedotto già in comparsa di risposta che il defunto Tizio aveva svolto sì l’attività di colono su un fondo molto ampio di proprietà della Mevia, ma che quest’ultima gliene aveva donato una piccola parte, con atto informale, che era proprio quella oggetto della causa in corso ed osservava che la donazione informale aveva una sua rilevanza, poiché ai fini dell’usucapione il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di un atto traslativo della proprietà che sia nullo; né poteva la Corte di merito ignorare la circostanza che, avendo Tizio invocato la donazione informale, tale comportamento costituiva comunque valida contestazione dell’esistenza del contratto di colonia parziaria.
Con il richiamato quinto motivo rilevava, poi, che, non avendo la Corte d’appello ritenuto pacifici i fatti addotti per accogliere la domanda di usucapione, avrebbe dovuto ammettere le prove orali richieste. La sentenza, invece, avrebbe escluso le prove volte a dimostrare l’avvenuta traditio del bene in base all’erroneo rilievo che fosse stata avanzata domanda di usucapione ai sensi dell’art. 1159 cod. civ. (anziché dell’art. 1159-bis) e che si fosse richiesto di provare per testi la donazione, come fatto costitutivo della domanda. Poiché, invece, la traditio deve ritenersi possibile anche in riferimento ad un contratto nullo, essa avrebbe comunque determinato la trasformazione della posizione di Tizio da quella di detentore a quella di possessore. Si sarebbero, dunque, dovute ammettere le prove testimoniali richieste; e i limiti legali alla prova per testi inibivano a Caio di dimostrare con tale mezzo l’esistenza del contratto di colonia parziaria. La Corte d’appello, in definitiva, avrebbe dovuto o ammettere le prove o constatare che, mancando la prova dell’esistenza del contratto, rimaneva dimostrato il fatto pacifico del possesso e la conseguente usucapione.
[3] Accogliendo il primo (parzialmente) e quinto motivo, assorbiti gli altri, la Suprema Corte cassava con rinvio l’impugnata sentenza.
Gli Ermellini hanno, in particolare, evidenziato come la donazione informale, sebbene nulla per difetto di forma, avrebbe potuto comunque comportare la trasformazione della detenzione in possesso da parte di Tizio. A giudizio della Suprema Corte, infatti, “anche dopo l’invalido trasferimento della proprietà, l’accipiens può possedere il bene animo domini; ed anzi, proprio la circostanza che la traditio venga eseguita in virtù di un contratto che, pur se invalido, è comunque volto a trasferire la proprietà del bene, costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l’accipiens e la res tradita sia sorretto dall’animus rem sibi habendi”.[1]
Conseguentemente, erronea appare la sentenza d’appello avendo essa ritenuto non configurabile una situazione di possesso sul bene in ragione della nullità dell’atto di trasferimento.
Detto atto, “sebbene inidoneo al trasferimento della proprietà, avrebbe dovuto, tuttavia, essere ritenuto idoneo al trasferimento del possesso; o, meglio, a determinare quell’interversione, in capo a Tizio, tale da rendere il successivo possesso atto all’usucapione (primo motivo di ricorso). Ne consegue che la circostanza dell’intervenuta donazione informale ben avrebbe potuto e dovuto essere oggetto di prova testimoniale (quinto motivo di ricorso), non certo per dimostrare con tale prova l’esistenza della donazione (art. 782 cod. civ.), ma per dimostrare che da quel momento Tizio si era trasformato da detentore in possessore, con conseguente possibilità che il trascorrere del tempo determinasse in suo favore il maturarsi dell’usucapione”.
Veniva, pertanto, rinviata la causa al giudice di merito, al fine di verificare, anche attraverso assunzione della prova orale, l’esistenza di una situazione di possesso in capo a Tizio sul bene oggetto del giudizio.
[4] Siano allo scrivente consentite alcune brevi riflessioni in merito alla pronuncia in commento.
Ci si domanda, innanzitutto, quali conseguenze possano discendere da una pedissequa applicazione dei principi espressi dalla Cassazione nella sentenza epigrafata in ambito successorio. Si pensi, a mero titolo esemplificativo alle, di certo non infrequenti, ipotesi di atti di vendita simulati tra un genitore ed il proprio figlio, dissimulanti negozi donativi, ove non siano rispettati i requisiti di forma imposti dalla legge (atto pubblico con la irrinunziabile presenza dei testimoni). Una eventuale difesa del convenuto in giudizio/donatario in termini di intervenuta usucapione sarebbe sufficiente ad escludere l’applicabilità dei rimedi ed azioni a tutela dei diritti successori di un coerede? Qualora, infatti, fosse accertata l’usucapione del bene, trattandosi di acquisto a titolo originario e non derivativo/liberale, a rigore dovrebbe escludersi la possibilità di aggredire tale bene con l’azione di riduzione, né lo stesso sarebbe oggetto di collazione.
Certamente, la questione merita una più approfondita analisi, ma non si può sin d’ora non evidenziare come una simile conclusione appaia prima facie non condivisibile, posto che non solo priverebbe di effettiva tutela anche soggetti (i legittimari) cui è lo stesso legislatore a riconoscere preminenti strumenti di tutela, ma, ancor prima, sembrerebbe ridurre drasticamente le conseguenze dell’accoglimento della domanda di nullità.
Una giustificazione all’espresso principio potrebbe rinvenirsi nella circostanza che, nel caso di specie, Tizio già conducesse il fondo in forza di un rapporto contrattuale e, dunque, il negozio liberale nullo potesse fungere da elemento configurante la c.d. interversione del possesso; ma tale dato non emerge in modo chiaro dalla sentenza in commento, né sembra avere fondamento nelle norme del nostro codice.
Come osservato da attenta dottrina, infatti, deve rilevarsi come non sia corretto parlare di “interversione nel possesso” nel caso in esame, essendo tale locuzione tecnicamente riservata, “ai sensi dell’art. 1164 cod. civ., alla differente ipotesi di mutamento del titolo del possesso”.[2]
[1] Si vedano, in tal senso, anche Cass. Civ. n. 17388/2021; Cass. Civ. n. 14115/2013; Cass. Civ. n. 14395/20048
[2] Così, Minussi, “Nullità dell’atto di donazione e possesso ad usucapionem”, a commento della sentenza in epigrafe, https://www.e-glossa.it/news/nullit%C3%A0_dell’atto_di_donazione_e_possesso_ad_usucapionem._(cass._civ.%2c_sez._iii%2c_ord._n._9566_del_9__5220.aspx?utm_source=Newsletter&utm_medium=Email&utm_campaign=2024-11-05
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