10 Dicembre 2024

Atti successivi alla perdita del capitale sociale e principio di adeguatezza degli assetti

di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDF

Sentenza n. 1772 del 04 giugno 2024, Tribunale di Venezia, Sezione Specializzata in materia di Impresa;

Parole chiave: Amministratore; liquidazione; perdita del capitale sociale; atti di distrazione; pagamento preferenziale; par conditio creditorum

Massima: È onere della parte convenuta dimostrare di aver proseguito l’attività in un’ottica meramente conservativa dopo il verificarsi di una causa di scioglimento e quindi dare prova che tali atti non comportino un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori) e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari”.

Riferimenti normativi: Art. 2476 cc, art. 2741 cc; art. 2484 cc; art. 2485 cc; art. 2486 cc; art. 2394 cc;

CASO 

La curatela aveva promosso azione sociale ai sensi dell’art. 146 L.Fall, in relazione agli articoli 2476 co 1 e 6 cc, nei confronti degli amministratori affermando che, a fronte della perdita del capitale sociale, era proseguita l’attività normale d’impresa con conseguente causazione di danno. L’amministratore della società fallita aveva resistito a tale azione sostenendo che la curatela aveva l’onere di indicare e provare le singole condotte, espressione dell’attività di impresa, che concretizzando attività non conservativa sarebbero state portatrici di danno.

SOLUZIONE

Il Tribunale ha respinto la tesi difensiva ed ha accolto la domanda attorea stabilendo che è a carico della parte convenuta dar prova di aver proseguito l’attività in un’ottica meramente conservativa dopo il verificarsi di una causa di scioglimento dimostrando quindi che tali atti non comportavano un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori) e fossero giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari.

QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA

Con la sentenza in commento, il Tribunale di Venezia affronta il tema di quale sia il punto di equilibrio tra la prosecuzione della attività in un’ottica meramente conservativa e ciò che costituisce un rischio ingiustificato di impresa, laddove avvenuta la perdita del capitale sociale.

Nel caso in esame, la curatela fallimentare aveva contestato all’amministratore di aver proseguito l’attività tipica d’impresa nonostante l’integrale perdita del capitale sociale, con conseguente violazione degli articoli 2485 e ss cc.

La difesa aveva replicato contestando che spettava alla curatela allegare specificamente le singole condotte portatrici di danno.

Il Tribunale lagunare ha risolto la questione in conformità con l’insegnamento della Corte di Cassazione (Cass. Civ. 198/2022).

La Suprema Corte ha avuto buona cura di sottolineare che colui che agisce ai sensi dell’art. 2486 cc ha l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda. Poiché detta azione ha ad oggetto l’accertamento di una attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale realizzata dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, l’attore – ossia la curatela nel caso in esame – ha l’onere di allegare e provare solo la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori.

In definitiva, quindi, l’attore non è anche tenuto a dar prova che tali atti non abbiano finalità liquidatorie e siano espressione della normale attività di impresa.

Rimane agli amministratori convenuti in giudizio dimostrare i singoli specifici atti che, seppur compiuti in epoca successiva allo scioglimento, non abbiano comportato un nuovo rischio di impresa e siano risultati necessari o giustificati dalla finalità liquidatoria.

Ne consegue che l’orientamento del Tribunale veneziano, conforme all’opinione della Suprema Corte, non è oppositivo al compimento di atti negoziali successivamente alla perdita del capitale sociale.

Anzi. Il provvedimento esprime la centralità degli amministratori nella gestione della società, sottolineando i criteri di prudenza e diligenza che informano il loro agire nel momento stesso in cui si verifica una causa di scioglimento; agire che dovrà essere soggetto all’obbligo di conservazione del patrimonio.

Starà quindi agli amministratori comprendere, di volta in volta, se l’atto negoziale successivo allo scioglimento sia anzitutto idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci, poiché tale situazione configura un’attività concretizzante un rischio di impresa.

Inoltre, agli amministratori spetterà comprendere se tali atti siano giustificati da finalità liquidatorie ovvero siano necessari, risolvendosi in entrambe le situazioni in un comportamento informato ed assoggettato all’obbligo di conservare il patrimonio sociale.

Ne consegue che spetterà agli amministratori stessi fornire la prova della necessità e/o giustificatezza di tali specifiche condotte in una prospettiva di conservazione del patrimonio, nonché della circostanza che non costituiscano ex se condotte pregiudizievoli per la conservazione del patrimonio e quindi per i creditori e i soci.

A margine risulta quantomai opportuno collegare la questione di cui si discute con il principio di adeguatezza degli assetti dettato dall’art. 2086 cc come novellato.

È ben vero che tale principio risulta funzionale a preservare la continuità dell’attività di impresa; è altresì vero che la corretta creazione degli assetti adeguati è funzionale anche alla rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità medesima.

Nel consentire la tempestiva rilevazione della perdita della continuità, identificabile nella perdita del capitale sociale, il principio dell’adeguatezza degli assetti opera automaticamente nell’imporre agli amministratori una reazione tempestiva, efficace ed efficiente alla conservazione del capitale sociale.

Il principio di gestione di cui all’art. 2086 cc si esplica in sede liquidatoria proprio nel valutare in modo adeguato quali siano gli atti che possano e debbano essere compiuti a favore della attività di protezione del patrimonio, la cui massimalizzazione è informata al miglior soddisfo dei creditori e dei soci.

In tal senso, il Tribunale veneziano e la Corte di Cassazione sono concordi nel non escludere di per sé la possibilità per gli amministratori di compiere atti, pur in presenza di una totale perdita del capitale sociale; la prova che tali singoli atti risultino essere idonei e giustificati in un’ottica liquidatoria transita quindi necessariamente per la corretta applicazione del principio di corretta amministrazione dettato all’art. 2086 cc.

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