28 Agosto 2018

Assunzione diretta dei pubblici servizi e arbitrato obbligatorio: illegittimità della norma che esclude il ricorso all’autorità giudiziaria

di Mara Adorno Scarica in PDF

Corte cost. 13 giugno 2018, n. 123; Pres. Lattanzi; Est. Prosperetti

Arbitrato – Arbitrato e compromesso – Servizi pubblici – Determinazione indennità di riscatto – Arbitrato obbligatorio – Esclusione (Cost. art. 24, 1° comma, 102, 1° comma; r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578, Approvazione del testo unico della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province, art. 24, 7° e 8° comma).

[1] Va dichiarata l’illegittimità dell’art. 24, 7° e 8° comma, r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578 (Approvazione del testo unico della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province), nella parte in cui non riconosce il diritto di ciascuna parte di adire l’autorità giudiziaria ordinaria, in caso di mancato accordo sulla determinazione dell’indennità di riscatto degli impianti afferenti l’esercizio dei servizi pubblici.

CASO

[1] Il Collegio arbitrale di Milano, con ordinanza resa in data 7 marzo 2017, prospettava questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, 7° e 8° comma, r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578, nella parte in cui demandava ad un collegio arbitrale la determinazione dell’ammontare dell’indennità di riscatto degli impianti afferenti l’esercizio dei servizi pubblici locali, precludendo la possibilità di adire l’autorità giudiziaria ordinaria e ponendosi così in evidente contrasto con l’art. 24, 1° comma, e con l’art. 102, 1° comma, Cost., «i quali postulano che il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti e non può ricercarsi in una legge ordinaria o in una volontà autoritativa».

Il procedimento arbitrale veniva instaurato a seguito della dichiarazione di incompetenza del Tribunale ordinario di Brescia, inizialmente adito dal ricorrente sulla base della previsione dell’art. 24 del r.d. n. 2578 del 1925, che devolveva ad un collegio arbitrale, in difetto di accordo tra le parti, la determinazione dell’ammontare dell’equa indennità di riscatto dovuta ai concessionari di pubblici servizi.

L’Avvocatura generale dello Stato deduceva, tra le altre censure di inammissibilità della questione di costituzionalità, «la natura irrituale dell’arbitrato previsto dalla norma censurata o la natura di arbitraggio», posto che «solo agli arbitri di un arbitrato rituale sarebbe consentito sollevare incidente di legittimità costituzionale».

SOLUZIONE

[1] Respinta la censura di inammissibilità, sulla base dell’assunto secondo cui l’art. 24 del r.d. n. 2578 del 1925 configura una forma di arbitrato rituale, nell’ambito del quale l’art. 819 bis c.p.c. consente di promuovere questione di legittimità costituzionale (cfr., v. Cass. 1° marzo 2002, n. 3026, Foro it., Rep. 2002, voce Concessioni amministrative, n. 33), la Corte costituzionale, investita della questione innanzi rappresentata, accoglie il dubbio di incostituzionalità della normativa denunciata, sollevato dal collegio rimettente, dichiarando l’illegittimità costituzionale del censurato art. 24, 7° e 8° comma, r.d. n. 2578 del 1925, nella parte in cui non riconosce il diritto di ciascuna parte di adire l’autorità giudiziaria ordinaria, in caso di mancato accordo sulla determinazione dell’indennità di riscatto degli impianti afferenti l’esercizio dei servizi pubblici.

QUESTIONI

[1] Con l’odierna pronuncia il Giudice delle leggi si allinea all’orientamento prevalente della giurisprudenza secondo cui «le ipotesi di arbitrato previste dalla legge sono illegittime solo se hanno carattere obbligatorio, e cioè impongono alle parti il ricorso all’arbitrato, senza riconoscere il diritto di ciascuna parte di adire l’autorità giudiziaria ordinaria» (cfr., tra le altre richiamate in motivazione, Corte cost. n. 8 giugno 2005, n. 221, id., Rep. 2005, voce Acque pubbliche n. 47; 24 luglio 1998, n. 325, id., 1998, I, 2332; 11 dicembre 1997, 381, ibid., 3; 9 maggio 1996, n. 152, id., 1996, I, 1908).

In particolare, questo orientamento ha inaugurato il filone interpretativo che rinviene il fondamento di qualsiasi arbitrato nella libera scelta delle parti: la deroga all’esercizio della giurisdizione statale, di cui all’art. 102, 1° comma, Cost., deve essere espressione di una libera scelta (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24, 1° comma, Cost.) e non può trovare fondamento in un obbligo di legge.

Ne consegue che la «fonte» dell’arbitrato non può essere individuata in una legge ordinaria o in una volontà autoritativa, poiché solo la scelta dei può derogare al precetto contenuto nell’art. 102, 1° comma, Cost.: il che «corrisponde al criterio di interpretazione sistematica del testo costituzionale (nel quale la portata di una norma può essere circoscritta soltanto da altre norme dello stesso testo o da altre ancora ad esse parificate); e corrisponde anche alla garanzia costituzionale dell’autonomia dei soggetti […], autonomia che, […] nella materia che ne occupa e per le situazioni per le situazioni di vantaggio compromettibili è appunto garantita dall’art. 24, primo comma, della Costituzione».